Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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29 luglio 2008

Informazione di consumo


Mimmo Càndito
Giornalismo a colpi di abbagli
"La Stampa", 29 luglio 2008

La tempesta che in questi giorni si sta scatenando sui media italiani è certamente il riflesso di una specificità tutta nostra, ma è anche il riflesso d’una crisi che rischia di travolgere il giornalismo stesso. Quanto meno il giornalismo come l’abbiamo vissuto nella sua ipotetica identità virtuosa, di strumento cognitivo essenziale per una credibile rappresentazione del mondo (ma abbiamo davvero pensato mai che il 90 per cento di quanto noi chiamiamo oggi «conoscenza», cioè di quanto ci fa discutere, riflettere, decidere, passa attraverso la produzione dei mass media?). Oggi quell’identità virtuosa si mostra in panni laceri, stracciata dalla ricerca dello scoop, travolta soprattutto da una deriva che appare inarrestabile: la mutazione genetica provocata da due elementi correlati, la rapidissima accelerazione delle tecnologie elettroniche e l’egemonia del modello comunicativo della televisione. L’integrazione di questi due fattori ha prodotto una velocizzazione della comunicazione che a null’altro è interessata se non alla comunicazione stessa, da farsi e consumarsi «in tempo reale». Il pervasivo dominio della tv - la realtà qui e ora - crea una comunicazione sempre più indifferente alla natura reale dell’informazione offerta al consumo; la qualità del «messaggio» - cioè l’identità delle cose comunicate, che siano vere o solo verosimili - ai mass media rischia d’interessare sempre meno, travolti come sono dalla velocità con cui si connota il consumo del vissuto quotidiano, ma anche piegati da quell’«estetica dell’apparenza», il marchio della comunicazione tv. Ci eravamo abituati a pensare che altrove questa crisi venisse comunque vissuta meglio, e che lo sfascio fosse soprattutto roba di casa nostra, per l’accidia del sistema italiano dei mass media e per le sue tare genetiche (la mancanza di editori «puri», l’eccesso d’intrusione della politica, il dominio culturale della tv commerciale, la ridotta scolarizzazione del Paese nello standard europeo). Un’interessante corrispondenza di Maurizio Molinari da New York ci porta a pensare che il problema dev’essere affrontato con una consapevolezza più articolata: racconta Molinari come l’Associated Press - la più influente agenzia giornalistica del mondo - stia mutando il proprio stile informativo, segnato fino a oggi da quella «ipotetica identità virtuosa» (il rispetto dei fatti per com’essi sono), e si sposti invece verso qualcosa che approssimativamente si chiama «giornalismo europeo», dove la brillantezza della narrazione, la forzatura consapevole dei fatti, la piacevolezza del chiacchiericcio, prendono la preminenza sulla rappresentazione asciutta, fattuale, della realtà. Dice David Bailey, direttore d’un quotidiano americano: «Una nuova filosofia dove gli abbagli contano più della sostanza».Se può consolarci che questo giornalismo non è soltanto miserevole deriva italiana ma viene definito dai più autorevoli media americani come «giornalismo europeo», resta che serve ben più che una lamentazione per la crisi che ci travolge. Antonio Scurati suggerisce che dobbiamo intanto abituarci a convivere con una terza categoria della conoscenza, accanto a quelle finora usuali della «verità» e della «menzogna»; è la categoria della «non-verità», una struttura cognitiva che non è la menzogna ma, piuttosto, una dimensione nella quale i confini della certezza si fanno labili, approssimativi, accettati nella loro ambiguità. Più che un teorema per il futuro, questa appare già un’evidenza del nostro tempo; e si capisce bene, allora, quanto oggi l’uso e il maluso dei mass media possano decidere del nostro pensiero, e della nostra stessa (presunta) volontà.
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