Sfogliando le prime annate del quotidiano torinese "La Stampa" scopriamo che verso la fine dell'Ottocento contribuì a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione meridionale, segnalando continuamente la gravità di una situazione che rischiava di diventare irreversibile e dannosa per tutta la nazione. Il quotidiano partiva dalla convinzione della sanità morale delle masse del sud, soggette a gruppi di potere locali che prevaricavano in ogni aspetto della vita civile, sociale ed economica. Un editoriale del 28 febbraio 1898 denunciava con straordinaria lucidità ed efficacia di linguaggio le connivenze del governo centrale in Sicilia:
"Nei paesi dell'isola tutto si lascia fare e si lascia passare, senza controllo delle autorità superiori: soprusi, angherie, partigianerie delle amministrazioni locali, tutto si commette, impunemente, con la massima tracotanza. I prefetti hanno tutt'altro pel capo che preoccuparsi di queste inezie. Debbono pensare alle elezioni politiche, debbono lavorare per candidato ministeriale, incoraggiando anche le camarille locali a commettere rappresaglie contro gli avversari [...] La miseria esistente in tutti i paesi della Sicilia esce dalle proporzioni ordinarie. E’ qualcosa di indescrivibile, di spaventevole..."(28 febbraio 1898)
Pertanto per risolvere il problema del Mezzogiorno era urgente e prioritario epurare il sud dalle camorre e dai politici del malaffare:
"si potrà anche dimostrare colla storia che il fenomeno camorra nasce da cause antiche e remote, ma non si dimostrerà mai come di questa camorra si siano fatta un'arma quanti uomini si succedettero al governo, e come l'abbiano direttamente o indirettamente appoggiata e protetta, invece di combatterla e di distruggerla" (3 novembre 1900)
*cfr. V. Castronovo, La Stampa, 1867-1925. Un’idea di democrazia liberale, Milano, F.Angeli, 1987, pp.122 e 159; Dispense di Storia del giornalismo di M. Milan.
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Il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino e la sua scorta furono uccisi nell'attentato mafioso e di Via D'Amelio; due mesi prima la mafia con la stessa ferocia aveva eliminato il giudice Giovanni Falcone. Pochi mesi prima Paolo Borsellino aveva indicato il percorso per spezzare il legame tra mafia e politica:
"
L'equivoco su cui si gioca -si dice quel politico era vicino la mafioso, stato accusato di avere interessi, però non l'ha condannato, e allora quel politico è onesto... No, non funziona così, perché la magistratura può fare accertamenti solo di carattere giuridico, può dire "ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi", ma può non arrivare ad avere la certezza giudiziaria che consente di dire: quest'uomo è un mafioso" [...]."Non basta che la politica si sforzi di essere onesta, ma deve anche apparire onesta". (cit. in
Aprile.info)
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