“La Stampa”, 27 settembre 2009
"Quanto si parla di giornalismo! Ma quanto è difficile, per i non giornalisti, capire come funziona realmente il mondo dei giornali, della radio e della televisione, che cosa sia il lavoro dei giornalisti!
Circolano soprattutto degli slogan.
Sul palcoscenico del giornalismo si muoverebbero, come forze dominanti, in conflitto o in combutta fra loro, i «poteri forti», o i protagonisti di oscure congiure, o i manovratori di «macchine da guerra», capaci «di asservire e normalizzare, intimidire e ricattare»; per non parlare di chi descrive tutta la stampa come intenta a diffondere solo bugie e calunnie, nemica del fare, nemica della verità e del bene, intenta soltanto a diffamare, con l’obiettivo di corrompere l’anima pura e onesta (o che tale sarebbe senza l’opera malefica dei giornalisti) della «gente», del «popolo», vittima di continui inganni. Oppure s’immagina (ma o è l’uno o è l’altro) l’informazione in Italia come un mondo ormai schiavizzato, privo di libertà, i giornali e le reti televisive come popolati da irresponsabili e obbedienti schiere di esecutori d’ordini, e l’Italia come un Paese democratico, anzi l’unico Paese democratico, dove domina la censura e dove la libertà di stampa ormai l’è morta.
Intanto continuano a uscire nuovi giornali. Non ce ne sono mai stati tanti a sinistra, ho perso il conto, non so più se siano quattro o cinque o sei, mentre si sentono molto più forti che mai in passato le voci che vengono da destra (ma che rimpianto e nostalgia di Indro: al confronto con quelle d’oggi la sua voce controcorrente ci appare straordinariamente modulata e raffinata). E poi un mondo giornalistico che parlava con voce così sommessa da rischiare l’inesistenza, il giornalismo cattolico, ha trovato un’anima nuova e battagliera, e si fa sentire, e come si fa sentire: forse, perfino dalla Chiesa.
E infine ci siamo anche noi: i grandi giornali d’informazione, con le loro tradizioni e le loro identità antiche e indimenticate, ci siamo sempre, presenti sulla scena con una disposizione a inventare cose nuove che vede in gara giornalisti e direttori giovani e vecchi, gelosi della loro libertà, delle loro idee.
Può darsi che uno che fa il giornalista da più di mezzo secolo sia schiavo di una visione un po’ idealizzata della reale natura del lavoro giornalistico. Ma a confronto di quelle grottesche raffigurazioni o denigrazioni che sono di moda, ci sembra evidente, leggendo ogni giorno tanti giornali diversi da quelli del giorno prima, ascoltando tante trasmissioni aperte e tanti dibattiti in radio o televisione, che in questo nostro mondo trovino ancora tutto lo spazio necessario per emergere nuove personalità vivaci e battagliere. Suvvia, questo nostro giornalismo è ancora e sempre una realtà vasta, complessa, variegata, un mondo che parla con tante voci forti e dissonanti, che propone tante idee differenti, buone e cattive, ma ce n’è per tutti i gusti.
Ho conosciuto tante stagioni nella vita del nostro giornalismo. Ci sono stati momenti particolarmente creativi (come dimenticare l’entusiasmo per la libertà di stampa ritrovata dopo la fine del fascismo, dopo l’avvento impetuoso della democrazia?). E ci sono state stagioni ben più difficili e pericolose di quella attuale, quando avemmo l’impressione che per essere buoni giornalisti ci volesse anche molto coraggio. Ma anche il mondo degli inviati in zone di guerra piange oggi i suoi morti. Avrà pure un suo significato il fatto che il giornalismo attiri ancora tanti, ma tanti giovani, che ti avvicinano ogni giorno per chiederti, ansiosi, di rivelare loro la chiave per accedervi, perché lo vedono come uno spazio per esprimersi e per crescere in libertà.
I giovani aspiranti giornalisti vedono quel mondo in modo non molto diverso da come lo vede un vecchio giornalista, con tante memorie, con tanti volti e tante voci che ti riecheggiano dentro di coloro che ti furono compagni di lavoro nel corso di una vita. Voci che, col tempo, per legge di natura si sono spente, per lasciare spazio ad altre. E voci che, se si ha avuto fortuna, trovano ancora modo di esprimersi, e che ancora si riconoscono nella realtà di un mondo giornalistico, che, alla fin fine, superando tante prove, non ci appare poi tanto cambiato. Chi ha qualcosa dentro che vuole veramente dire riesce ancora a farsi sentire. E ai giovani, come è giusto, sembra sempre di essere portatori di nuove idee, protagonisti di nuove avventure. Sembrò così anche a noi, tanto tempo fa."
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