"Le immagini di Haiti devastata non dicono per intero il disastro, come quasi sempre accade nelle grandi calamità naturali. Dicono il punto terminale di una storia lunga, accorciandola e sforbiciandola d’imperio.
Ritraggono la tragedia ignorando le tragedie già avvenute: tremando, la terra le inuma ancor più profondamente. Raffigurano in modi sconnessi lo sguardo di un bambino salvato, struggente di bellezza, e il fulgore tremendo dei machete impugnati da superstiti a caccia di cibi, acqua, medicine. Orrore, bellezza, empatia, discordia: sono frammenti caotici di un tutto inafferrabile. Sono istantanee, e ogni istantanea è la punta di iceberg che restano inesplorati. Vediamo solo questa punta, commossi da eventi estremi. Facendo uno sforzo sentiamo l’odore di morte, descritto dai reporter. La base dell’iceberg, quel che viene prima del sisma, s’inabissa sotto le macerie con i morti. È il terribile destino di parole come umanità, soccorsi umanitari, guerre umanitarie: parole cui si ricorre in simili emergenze e che cancellano la storia, eclissano le responsabilità dei grandi e dei piccoli, dei singoli e delle autorità pubbliche. Parole che narrano una catastrofe solo naturale, non anche umana e politica. Per questo è così prezioso il giornalismo scritto. La televisione mostra solo un pezzetto di realtà, più o meno bene (i telegiornali italiani meno bene della Bbc).
Twitter cattura l’urlo di Munch. Solo lo scritto ha la respirazione lenta della storia. Solo lui può dire quel che era prima del punto terminale, e come possa succedere che l’acme sia questo e non un altro, se possibile meno esiziale.
Le fotografie delle catastrofi sono sempre in qualche modo taroccate. Ci viene «rifilata» una realtà, contorta magari inconsciamente. Privilegiando un riquadro e trascurandone altri falsifichiamo l’immagine, come ben spiegato in un blog attento alle manipolazioni visive (G.O.D., Ghostwritersondemand): ci lamentiamo dei trucchi, «ma siamo noi i grandi rifilatori». Noi che aggiustiamo le foto dei cataclismi, i reportage, trasformando individui e popoli in nuda umanità indistinta alle prese con la natura e sconnessa dalla pòlis. Foto e telecamere mostrano la mano che soccorre, non quella che ha distrutto e aumentato la vulnerabilità d’un Paese. Denunciano la natura matrigna della natura, non della politica; l’eclisse di Dio, non dell’uomo imputabile. Basta leggere su La Stampa i due articoli scritti da Lucia Annunziata, il 14 e 16 gennaio, per scoprire dietro l’Ultimo istante e l’Ultimo uomo una miserabile storia fabbricata dai politici. [...leggi tutto]"
Barbara Spinelli
B. Spinelli, Catastrofe non solo naturale, "La Stampa", 17 gen. 2010.
* link all'articolo di Lucia Annunziata segnalato nell'editoriale di Barbara Spinelli
Lucia Annunziata, Povertà sangue e voodoo, "La Stampa", 14 gen. 2010.
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