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17 febbraio 2010
Rapelay, stupratore con un click
Qualcuno avrà forse letto di questo videogioco giapponese che ha suscitato grandi polemiche. Una cosa è certa, non so proprio cosa pensare. Il videogame incriminato è Rapelay, della casa di produzione Illusion. La storia ruota attorno ad un maniaco sessuale che gira per la città alla ricerca di nuove vittime. Ma non aspettatevi super eroi che vengono a salvarvi, questa volta siete voi a vestire i panni del “mostro”. Inizialmente in vendita solo in Giappone, è finito sul web e così anche sui monitor dei nostri pc. Ecco spiegato perché pur essendo uscito nel 2006, il gioco fa discutere solo oggi. Vagando in rete alla ricerca di qualche informazione si capisce che il videogame ha provocato polemiche un po’ ovunque, Francia, Stati Uniti e ora anche in Italia. Dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, al Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, fino all’associazione Telefono Rosa, il coro è unanime: rimuoviamolo dalla Rete. La stessa Rete si è data da fare, su Facebook il gruppo “No a RapeLay” raccoglie più di quattrocento membri. L’Illusion non si è fatta piegare dalle critiche, anzi. Ora è tornata all’attacco con Itazura Gokuak. Una versione più evoluta e realistica di RapeLay, con tanto di 3D. Insomma, una vero orrore fra urla, botte e sangue. Il meccanismo è semplice: più ragazze aggredisci, più sali in classifica. Siete scandalizzati? Non vi biasimo, tuttavia bisognerebbe accantonare il bigottismo e fermarsi a riflettere. Il gioco è forse uno specchio della realtà? Fino a quando giochi come questi continueranno ad esistere, con la spettacolarizzazione della violenza, potremo mai sensibilizzare il pubblico al problema della violenza sulle donne? E della violenza in genere, ovviamente. Sul Corsera viene dato un altro punto di vista. In Giappone il videogioco è visto e vissuto come una fuga dalla realtà. Un mondo virtuale dove poter fare cose che solo lì sono permesse, che non potrebbero mai uscire dallo schermo del pc. Una tesi azzardata, che non mi convince del tutto. Un po’ agitata mi chiedo: non vorremo mica banalizzare con queste quattro righe un affronto così grande alla figura della donna? Certo, c’è anche da considerare che il Giappone è uno dei paesi con il più basso numero di atti criminali e con il più marcato rispetto dell’individuo... Bene, se anche decidessimo di credere a questa versione una domanda resta: se nel paese del Sol Levante è solo una valvola di sfogo che niente ha a che fare con la realtà, in Italia, dove i casi di violenza rimbalzano da un telegiornale all’altro, possiamo davvero rimanere così tranquilli?
Floriana Ferrando
*link all'articolo Folle videogame dal Giappone: «Diventa anche tu stupratore», "Il Secolo XIX" , 9.2.2010.
*link all'articolo di Federico Cella, Caso Rapelay, un altro punto di vista "Corriere della Sera" ,10.2.2010.
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1 commento:
Dopo aver letto questo articolo, una preoccupazione evidente mi prende nel constatare la risposta dell'azienda produttrice facendo passare il gioco come mondo virtuale dalla funzione di valvola di sfogo per comportamenti che nella realtà giapponese non possono verificarsi così apertamente. Il messaggio tramesso può lasciare intendere che la violenza sia un elemento connaturato all'uomo il quale è obbligato a soddisfarla. Come si spiega questa antropologia involontaria?
Poi, sarei curioso di capire quale siano i metodi utilizzati dalla società giapponese per abbassare di così tanto il numero dei reati. Forse la troppa repressione crea bisogno di sfogarsi? No, non sono riuscito a trovare motivi validi di una scelta di questo tipo. Condivido le reazioni promosse dalle altri parti del mondo.
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