(Postfazione di Mimmo Candito)
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12 luglio 2010
Pulitzer, il giornalista a testa in giù sul mondo
“Presentalo brevemente così che possano leggerlo, chiaramente così che possano apprezzarlo, in maniera pittoresca che lo ricordino e soprattutto accuratamente, così che possano essere guidati dalla sua luce”, con questa enfasi esortava, Joseph Pulitzer nel 1883, i suoi giornalisti del "World". Sono passati 127 anni ma il suono di queste parole rimane nitido nell’aria di chi le cerca.
“Sul giornalismo”, edito per i tipi della Bollati Boringhieri, raccoglie due saggi del giornalista-editore Joseph Pulitzer di origine ungherese e una postfazione di Mimmo Candito scrittore, giornalista e negli ultimi anni professore di giornalismo all’Università di Torino e curatore del blog Il villaggio quasi globale sul sito del quotidiano "La Stampa".
Il viaggio tra le righe del libro di Pulitzer è una crociata in favore dell’istituzione di una vera e propria facoltà di giornalismo negli Stati Uniti, in quegli anni ancora inesistente.
Molti erano i critici, i detrattori che accusavano il giornalista di voler fare solo i propri interessi. In realtà l’illuminato Pulitzer con una corretta analisi era andato oltre, il suo obiettivo era quello di lasciare nelle generazioni future una professione che non si basasse solo sull’esperienza redazionale ma che avesse basi scientifiche di formazione: “ Nel nostro paese l’unica qualifica cui posso pensare della quale un uomo può ritrovarsi in possesso già alla nascita è quella di idiota”, così crudo, così reale.
Continuando a sfogliare le pagine del libro, il giornalista, sveste in modo sottile tutte le obiezioni che a quel tempo gli venivano poste come argini insuperabili. L’eleganza di Pulitzer è la sua passione e la convinzione che un buon giornalismo possa edificare una buona società, senza padroni o lobby che interferiscano nel lavoro redazionale.
Una visione del giornalismo che stona, purtroppo, con la realtà di oggi a causa di un individualismo sfrenato nella categoria della carta stampata e una mancanza di riconoscimento da parte della politica, soprattutto italiana.
Frasi come” la stampa non è un diritto assoluto” se da un lato fanno inorridire dall’altro aumentano il bisogno di letture come questa che sono a favore di un giornalismo “partecipativo e riflessivo” non autoreferenziale.
Mettere troppi punti esclamativi, in un articolo, è come ridere delle proprie battute, recitava un famoso reporter americano, Pulitzer ci insegna che uno stile linguistico di ottimo livello è talmente raro che la fondazione di una scuola di giornalismo, composta dalle più grandi firme della carta stampa, non può far altro che insegnare alle future generazioni quale meravigliosa arte sia la scrittura, espressione della propria individualità, ricordando che lo “stile è l’uomo stesso”.
Si delinea, lentamente, una figura moderna del giornalista, che ha una conoscenza globale del mondo, una dimestichezza con le lingue, una virtù morale ferrea. Disse Goethe “ Tutto è già stato pensato, ma la difficoltà sta nel pensarlo di nuovo”, Pulitzer ci ha aiutato in questo, come una bussola sotto un cielo nuvoloso ha cercato di aiutare il giornalismo a compiere al proprio interno una rivoluzione, senza accontentarsi. Pur a volte peccando di presunzione quando si paragona a Napoleone, una figura rivoluzionaria, un iperbole che però, il giornalista usa quasi come fosse un megafono per essere ascoltato.
Ma perché è così importante la lettura di questo libro e che valore ha il giornalismo oggi? In modo pratico lo aveva già spiegato Tocqueville: “Un giornale riesce a mettere la stessa idea in testa a migliaia di persone”. Ora con internet e la televisione tutto è diventato ancora più pericoloso e l’informazione necessità di quei principi morali dettati dal giornalista ungherese, perché un uomo senza morale è un uomo sordo.
Se la vita oscilla tra noia e dolore quella di Pulitzer ha oscillato tra il giornalismo e il mondo. Con la sua penna cinica e la sua ostile perseveranza per le cause giuste e nobili. Per un giornalismo etico che innalzasse la persona e la raccontasse senza bisogno di strane alchimie, trucchi o inganni.
Il giornalista ungherese ci lascia la sua grande passione, il suo desiderio di vedere una stampa unita, una bandiera su cui edificare diritti, uguaglianza.
Un ruolo quello del giornalista per niente facile, pieno di tentazioni a volte pericolose. Pulitzer incoraggia la categoria a preservare con il lavoro giornalistico la costituzione, quasi fosse il giornalismo il suo collante imprescindibile.
"Quale sarà la condizione della società e della politica in questa Repubblica di qui a settant'anni? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l'incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro o dei disonesti?"
Joseph Pulitzer è morto nel 1911 con questo interrogativo. Oggi, dopo 100 anni forse neanche lui riuscirebbe a rispondere. Anzi sicuramente direbbe: buona questa domanda.
Mattia Langella
Joseph Pulitzer
Sul Giornalismo
(Postfazione di Mimmo Candito)
(Postfazione di Mimmo Candito)
Torino, Bollati Boringhieri, 2009, 127 pp.
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