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18 gennaio 2012
La religione da Giove a Cristo
Il ciclo di lezioni Noi e gli antichi, ideato da Editori Laterza e realizzato dalla Fondazione Edoardo Garrone con la collaborazione di Genova Palazzo Ducale Fondazione per la cultura, è giunto, ormai, alla sua terza edizione. Lo stimolo culturale, le riflessioni e l’interesse che questa occasione genera sono testimoniati dalla notevole affluenza di pubblico che ogni lunedì sera a partire dal 5 dicembre invade letteralmente la Sala del Maggior Consiglio.
Ciò è accaduto anche il 16 Gennaio scorso, quando la lectio in programma aveva un titolo particolarmente suggestivo: La religione da Giove a Cristo. Presentata da Laura Sicignano, regista e direttrice del Teatro Cargo, e discussa dal professor Giovanni Filoramo, docente di Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, la conferenza ha tentato di approfondire un evento epocale qual è stato la conversione di Costantino, cercando di spiegarne cause e conseguenze, punti di rottura e di contatto con la società dell’epoca. La rivoluzione religiosa dell’individuo, non di uno qualunque ma dell’imperatore romano, coincise, come noto, con il passaggio dal Paganesimo al Monoteismo esclusivista: il Cristianesimo, passante fortunato che arriva sul palcoscenico della Storia al momento giusto, si trasforma, in un tempo relativamente breve, da religione dei perseguitati a vessillo dell’ Impero. E’ il 312 d.C. Si inaugura, in quell’anno, una tradizione che andrà avanti per secoli, vale a dire, la necessaria coincidenza tra la confessione religiosa dell’ imperatore, prima, del sovrano poi, e quella del suo popolo. Ergo: la libertà religiosa e la possibilità di vivere la fede come fatto essenzialmente intimo e privato restano un’utopia per molti secoli. La distinzione tra ciò che è pubblico e ciò che è privato o, al contrario, l’assenza di tale separazione, conduce ad una diversa concezione della libertà dell’individuo: se non esiste una sfera nella quale quest’ultimo possa decidere autonomamente, significa, allora, che ogni decisione è soggetta al giudizio dell’autorità. Nella celebre conferenza parigina del 1819 di Benjamin Constant La libertà degli antichi e la libertà dei moderni si richiama l’ostracismo, strumento tipico della democrazia ateniese per allontanare uomini politici poco graditi ma nulla impedisce di cogliere una realtà simile a proposito delle confessioni religiose, in particolare in occasione della Riforma Protestante. Il concetto di base è: chi ha una fede differente da quella riconosciuta dall’autorità è costretto ad emigrare. Non a caso, quindi, l’ultimo incontro di questo Ciclo di Lezioni si chiama proprio La libertà degli antichi e la libertà dei moderni. E non si può fare a meno di notare, inoltre, come il Cristianesimo diventi lo strumento perfetto per rafforzare e legittimare le istituzioni a partire proprio dall’epoca di Costantino: si è al cospetto di un unico imperatore, il quale regna su un unico Impero, pertanto, sembra quasi naturale abbandonare il Politeismo per dichiarare l’esistenza di un unico Dio.
Eppure, ed è questo il fulcro della lectio del Professor Filoramo, non tutto il passato viene spazzato via in questo passaggio da una religione ad un altra e, d’altronde, sarebbe poco credibile da un punto di vista storico: si sa che gli eventi epocali servono a memorizzare la lezione in vista di un’interrogazione ma è sufficiente accostarsi con più calma e lucidità alla Storia per capire che il suo fluire presenta pieghe nascoste e sfumature trascurate da un occhio distratto. Ecco, quindi, che l’iconografia del Cristo richiama quella di Zeus-Giove: la barba e il trono, che è anche il trono dell’Imperatore e che, di conseguenza, evoca un legame fortissimo tra quest’ultimo e la divinità. Il Cristo cosmocratore è, allo stesso tempo, Dio dei cieli e della Terra, così come Costantino è il capo supremo del più grande Impero di tutti i tempi. La tradizione, come sappiamo, si consoliderà a tal punto da sancire un legame profondo tra chi regna e Dio, in modo da legittimarne la posizione di potere e insinuarne l’infallibilità. Jacques Julliard, nel suo La Reine du monde. Essai sur la dèmocratie d’opinion (Marsilio Editori, Venezia 2009 ), sostiene, addirittura, che la democrazia non ha affatto cancellato questa sorta di credenza superstiziosa: essa ha, semplicemente, spostato l’oggetto del suo culto dalla persona del sovrano al concetto più sfumato, ma non meno potente, di maggioranza.
Ed eccoci qui, con un volo pindarico forse spregiudicato ma non del tutto infondato, ai giorni nostri e ad un presente che si caratterizza per la complessità dei rapporti umani e la gestione delle diversità: il problema dell’integrazione e la sua ombra, vale a dire quell’emarginazione che è spettro per molti e paura da cavalcare per i demagoghi del nostro tempo. La convivenza, anche forzata, può generare tanto conflitto quanto forme produttive di integrazione: questo è quanto accadde tra Cristiani e Pagani nel IV secolo d.C. ed è quanto si verifica costantemente sotto i nostri occhi. A noi la scelta se voltarci dall’altra parte e far finta di niente o provare a capire il marasma in cui ci muoviamo senza una rotta precisa, alla luce delle nostre esperienze individuali e, a maggior ragione, ritrovando spiegazioni e cause nella continua Lezione che ci dà la Storia.
Michele Archinà
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