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05 giugno 2012
Un libro, una speranza
L’Africa dimenticata, l’Africa tribale, nera. Luoghi comuni nati dalla disinformazione.
Africa & Media, pubblicato per iniziativa del Gruppo Abele di don Luigi Ciotti, è un libro sull’Africa, il suo territorio sconfinato e i suoi abitanti, sui media africani che parlano degli africani, e sui media internazionali che parlano troppo poco e in maniera sbagliata di essi. Si tratta di un insieme di racconti, articoli, riflessioni di studiosi e giornalisti impegnati… Impegnati soprattutto a sciogliere i nodi dell’informazione e far dimenticare quei luoghi comuni.
La realtà africana per quanto riguarda il mondo dell’informazione è davvero complicata: nonostante la diffusione dei mezzi di comunicazione stia aumentando, negli ultimi anni il pubblico che ha la possibilità di accedervi rimane ristretto all’élite urbana. Alcuni dati rendono davvero l’idea: la diffusione dei giornali nell’africa subsahariana è di 12 copie ogni mille abitanti, e a stento arriva a 33 nel Nordafrica. La televisione resta uno strumento di lusso, accessibile solo a pochi, sia per il costo dell’apparecchio in sé, sia perché la maggior parte della popolazione non ha accesso alla corrente elettrica nelle proprie abitazioni. Il mezzo di comunicazione più diffuso è la radio. Le radioline portatili che funzionano a batterie e che si possono portare al collo durante i lavori nei campi. Le radio che trasmettono musica, ma che subiscono pesanti limitazioni della libertà sui temi politici, sociali ed economici. La sete di informazione è tale che anche le emittenti religiose, riducono spesso al minimo il loro obiettivi evangelici prediligendo una programmazione che aiuti e sostenga gli ascoltatori nella loro quotidianità. La radio, soprattutto nell’Africa subsahariana è l’unico mezzo di comunicazione davvero di massa e, come tale, in grado di diffondere messaggi tanto positivi quanto negativi. In Rwanda, l’azione propagandistica di Radio Milles Collines è stata il mezzo principale attraverso il quale si è potuto attuare uno dei peggiori genocidi della storia, nel 1994. Un lungo lavoro di pianificazione e preparazione durato anni e realizzato attraverso la radio ufficiale e radio Milles Collines ha istigato la popolazione, divisa tra hutu e tutsi, all’odio etnico, trasformando o, almeno non facendo apparire il conflitto per quello che in realtà era: un conflitto meramente politico.
Ma il libro, anche attraverso questa esperienza (certamente negativa, ma con una forza immensa), fa intravedere cosa può diventare il sistema mediatico africano. Dal 1995 è stato liberalizzato l’etere e sono nate le emittenti private e comunitarie, che nonostante le limitazioni politiche, continuano le loro trasmissioni grazie a giovani africani caparbi e italiani che hanno creato piccole emittenti e scuole per insegnare ai giovani tutto ciò che permetta loro di abbattere i costi di creazione e manutenzione degli apparecchi. La politica, le istituzioni ed anche la comunità internazionale devono intervenire per creare un’industria, un mercato autoctoni: non più o non solo aiuti calati dall’alto, ma trasmissione delle competenze, del know-how che permetta ai giovani di fare "Un salto di qualità ed uscire da quello stato di “non conoscenza” che nutre conflitti e guerre" (Romano Prodi). Sembra assurdo pensare allo sviluppo dei media in un continente in cui il problema quotidiano è sopravvivere, alle guerre, alle malattie, alla fame. Eppure attraverso i media si può, come nell’Italia degli anni ’50, insegnare, alfabetizzare, diffondere una cultura che possa permettere alle nuove generazioni di cambiare le cose.
E i mezzi occidentali, per esempio durante il genocidio del Rwanda, dov’erano? Erano distratti… Distratti dalle prime elezioni libere in Sudafrica dopo l’apartheid. Erano nello stesso continente, ma pronti a raccontare una storia felice. I giornali occidentali non potevano mandare altri inviati: i fondi destinati alla sezione esteri erano e sono troppo limitati. In Italia poi…
Le notizie restano sui computer delle agenzie; la cronaca, la politica, lo sport occupano tutto lo spazio disponibile sulla pagina dei quotidiani così come nell’agenda del pubblico. Quindi le notizie che riescono a sfondare qualche muro sono le istantanee dell’Africa, i visi dei bambini in lacrime o il resoconto di un avvenimento tragico. Mai approfonditi, mai inseriti in un contesto culturale o storico. Contesti che è necessario spiegare ad un pubblico occidentale poiché possa capire una cultura diversa dalla propria. Contesti e approfondimenti che permettano al pubblico di smettere di catalogare le “cose africane” come incomprensibili, ataviche, assurde. Sui nostri quotidiani "Le guerre sono sempre etniche o tribali; la corruzione è sempre naturale; la violenza rientra nell’ordine della normalità africana, qualcosa di intrinsecamente connaturato alla visione del mondo e al modo di essere dei popoli del continente e dei loro dirigenti" (Jean-Léonard Touadi_ giornalista Rai e insegnante).
Questo libro, nonostante le difficoltà che incontra come qualunque media parli di Africa (a soli 3 anni dalla sua pubblicazione è introvabile in librerie e biblioteche: ho contattato direttamente l’autore per averne una copia ) cerca di rompere qualche muro, cerca di insegnare a guardare la positività intrinseca all’Africa, proprio come si fa per qualsiasi altro paese occidentale e dovrebbe essere letto per acquisire una conoscenza che permetta anche a noi, nuove generazioni occidentali, di cambiare le cose.
Giulia Corazza
Africa & Media,
Giornalismi e cronache da continente dimenticato.
a cura di Mario Sarti
Torino, EGA editore, 2009, 170 pp.
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