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19 luglio 2012
Diritti umani ed informazione
Brevi cenni storici
Fra il XVII e il XVIII secolo assistiamo ad un momento topico nella determinazione del concetto di diritto: l'approccio “giusnaturalistico” si contrappone frontalmente a quello “giuspositivistico”.
Si tratta cioè di affermare la supremazia assoluta delle leggi etico-morali (naturali) su quelle positive (statuali) secondo il principio del ius quia iustum, piuttosto che il contrario secondo la logica del ius quia iussum.
La diatriba, lungi da essere sottigliezza dottrinaria, ha epocali risvolti politici: è infatti in nome dell'impostazione giusnaturalistica che vengono contestate le monarchie assolute e i privilegi aristocratici. I sommovimenti politici che coinvolgono la tematica del diritto nel corso di questi due secoli producono diversi testi legislativo-costituzionali ( “Bill of rights” 1689, “Costituzione degli USA” 1787, “Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino” 1789 ) dai quali emerge già chiaramente il concetto di “diritti umani”, quella sfera di diritti individuali (civili, politici, sociali, economici, culturali) e tendenzialmente universali che a nessun titolo può essere lesa o negata. Il “cammino” dei diritti umani prosegue nei secoli successivi, non senza incontrare resistenze e difficoltà, fino ad arrivare al dopoguerra del primo conflitto mondiale; nel 1919 infatti con il Trattato di Versailles si istituisce la Società delle Nazioni che si propone come nuovo strumento di regolamentazione del diritto internazionale, anche se lo scoppio della seconda guerra mondiale vanifica questo tentativo.
E' solo con la creazione dell'ONU e l'approvazione della Carta delle Nazioni Unite del 1945 che gli stati si dotano di un organo riconosciuto internazionalmente il cui compito è quello di “.... incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali...” (art. 1). Nel 1948, infine, l'Assemblea Generale dell'ONU approva la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo” chiarendo e precisando quali siano i diritti che intende promuovere e salvaguardare su scala globale.
L'Italia dei diritti umani oggi
Dal 1948 ad oggi, in area europea-atlantica, l'ONU, l'Unione Europea e l'Italia stessa hanno adottato una lunga serie di documenti e trattati volti ad estendere e a perfezionare le disposizioni già esistenti in materia di diritti umani. A tale proliferare di impegni su carta fa però da contraltare su scala globale un' uguale consuetudine all'inosservanza delle norme che ci si è impegnati a rispettare. Per quanto riguarda l'Italia si possono rilevare in particolare due punti di criticità: il sistema dei “media mainstream” e la tutela delle prerogative dei migranti\richiedenti asilo.
A. I media cosiddetti “mainstream” privati (carta stampata, televisione) risentono di forti concentrazioni proprietarie, e gli editori “puri” sono una assoluta rarità nel panorama italiano. Infatti i media privati risultano, nella maggioranza, influenzati significativamente nella loro obiettività dai conflitti di interessi di natura politica ed economica dell'editore. In ambito pubblico bisogna altresì notare come la RAI risenta di una forte lottizzazione da parte delle forze politiche, sia per quanto riguarda la gestione aziendale, sia per quanto riguarda i contenuti. La legislazione che regola la professione giornalistica non garantisce sufficientemente l'indipendenza del giornalista, cosi come il proliferare di nuove forme contrattuali, dette paradossalmente “atipiche”, ha determinato una progressiva “proletarizzazione” del lavoro giornalistico, sia in termini retributivi, sia in termini di tutela del lavoratore. Un quadro così sconfortante ha come risultato un sistema mediatico sostanzialmente uniforme, poco incline all'indagine e buon amico di un potere che, come è facile constatare, ha spesso bisogno di un buon “cane da
guardia”.
B. Le illegalità e le violazioni dei più elementari diritti umani perpetrate dallo Stato Italiano nei confronti dei migranti sono state, nel terzo millennio, assai numerose e gravi. Un esame o anche una elencazione completa è impossibile e pertanto saranno presi in considerazione tre fra i fatti a mio avviso più gravi e dolorosi degli ultimi anni: l'istituzione del reato di clandestinità, gli accordi Italia-Libia in tema di controllo delle coste e l' “emergenza” degli sbarchi a Lampedusa.
B1. Con la legge Bossi-Fini del 30 luglio 2002 si istituisce il reato di “clandestinità” che colpisce tutti coloro i quali, non in possesso di documenti comunitari, vengano sorpresi sul territorio nazionale sprovvisti di permesso di soggiorno e prevede la notifica del provvedimento d'espulsione in libertà o l'accompagnamento in un CIE; se si viene sorpresi in non ottemperanza al decreto in questione si rischia una condanna penale da 1 a 4 anni. Tale permesso è rilasciato in seguito alla richiesta d'asilo, in seguito ad una regolare assunzione o in casi speciali. Il problema, sottolineato anche da Amnesty International nel suo rapporto annuale 2006, è che a moltissimi potenziali richiedenti asilo non viene sufficientemente garantito l'accesso a tale possibilità, perché costretti in un CIE. Ulteriori problemi di costituzionalità della legge sono stati sollevati in relazione alla carcerazione per clandestinità: si colpirebbe uno status individuale e non un comportamento, contravvenendo alla Costituzione italiana.
B2. Sempre Amnesty International, suffragata da drammatici report giornalistici e documentari, pone l'attenzione sul trattato firmato nel 2008 a Bengasi fra il governo italiano e quello libico. Fra le altre cose il documento prevede una serie di impegni relativi alla gestione dei flussi migratori, con particolare riferimento a quelli provenienti dall'Africa subsahariana, che interessano la Libia come meta intermedia verso l'Europa e l'Italia. Si contesta infatti al governo italiano di aver finanziato e aver fornito supporto logistico-materiale alla polizia di Gheddafi in cambio della garanzia che i migranti venissero trattenuti in Libia (ovvero arrestati), senza che sussistessero le ben che minime garanzie che i mezzi messi a disposizione non venissero impiegati nell'esercizio di attività palesemente illegali da ogni punto di vista ed oggettivamente inumane, cosi come è di fatto avvenuto. La testimonianze di tutto ciò (arresti illegali, violenze sessuali sistematiche, torture, corruzione della polizia) sono diverse, ma le più eclatanti sono sicuramente quelle dei migranti che le hanno subite e che, a volte dopo anni, sono finalmente riusciti ad arrivare in Europa e a raccontare quanto avvenuto, come mostra drammaticamente il documentario “I have confidence with you” di Fabrizio Matteini.
B3. Quella di Lampedusa è una vicenda esemplare della cinica maniera in cui i recenti governi italiani hanno sfruttato l'arrivo dei migranti in chiave politica, senza alcuna volontà di reale gestione del problema. Infatti nei mesi successivi alle rivoluzioni nordafricane (le cosiddette primavere arabe) parte il battage mediatico (di chiaro imprinting governativo) che descrive una situazione “emergenziale” sia per Lampedusa sia per tutta l'Italia. Di fatto si rallentano inverosimilmente i trasferimenti dei migranti sbarcati sull'isola verso il continente (in tutto poche decine di migliaia in diversi mesi), in maniera tale da creare effettivamente una situazione pericolosa (anche se circoscritta alla sola Lampedusa) e spendibile, attraverso i media, di fronte alla pubblica opinione come ”emergenza immigrazione”: si fa così leva sui sentimenti più bassi della gente. Inutile dire che si tratta di questione legata alla manutenzione del consenso politico da parte di chi profetizza sventura e fa di tutto perché la sua profezia si auto-avveri. Bastano due dati per smascherare la mistificazione: l'assoluta maggioranza dei migranti “clandestini” arriva da sempre in Italia in aereo con un visto turistico e diventa irregolare quando questo scade; qualche decina di migliaia di arrivi,inoltre, distribuiti in numerosi mesi, non costituisce un dato eclatante: ricordiamo che nel momento di punta della emigrazione dall'Albania si parlava di cifre con uno zero in più.
Conclusioni
L'Italia sembra dunque un paese senza molto rispetto per i diritti umani, specialmente quando si parla di non italiani, di migranti. Da parte di molte forze politiche si fa un uso sistematico di logiche identitarie e finalizzate a suscitare paura, per captare e mantenere il consenso degli elettori senza alcuno scrupolo per gli effetti di una simile condotta. Possiamo aggiungere in più, che non è la cittadinanza italiana o europea a proteggere dagli abusi dei governi che si succedono alla guida nel nostro paese: basti pensare ai tragici fatti svoltisi nel luglio 2001 presso la scuola Diaz di Genova, abusi anche questi assolutamente impuniti e definiti da Amnesty International “...la più grande violazione di massa di diritti umani in Europa dal dopoguerra ad oggi”. Il quadro è insomma quello di un potere che non sente i diritti umani come prerogative insopprimibili e preminenti, ma piuttosto come uno stravagante orpello da ignorare quando sia utile a calcoli politici di parte, e che gode della complicità di un sistema mediatico “ufficiale” troppo docile.
Carlo Ramoino
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