Il testo inizia con la battuta un po’ provocatoria di Tim Berners – Lee che recita: “Il web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica” , una citazione che senza dubbio attira il lettore e che fa da linea guida per il percorso di analisi di Mezza. Un percorso tortuoso, ma chiaro, che a volte parte molto da lontano per spiegare moderni fenomeni: come, ad esempio, quando paragona il fermento culturale ed artistico messo in atto attorno alle cattedrali gotiche e alle prime biblioteche, custodi del sapere preumanistico, con la collaborazione tra utenti in rete; oppure quando il fermento del network è paragonato al bazar, mitico luogo di incontro e di commercio, in epoca medievale. Paragoni e similitudini bizzarri certo, ma davvero efficaci se pensiamo al crogiolo di culture, di linguaggi e di costumi che potevamo trovare in un bazar che in effetti, a livello concettuale, non dista molto da ciò che possiamo scoprire in un social network.
Molto simile doveva apparire, agli occhi dei contemporanei, la città di Bruges, nel cuore delle Fiandre, il vero centro pulsante di tutti i commerci e gli scambi marittimi tra il 1200 e il 1300. Ed è proprio nella zona dei Paesi Bassi che avviene un altro eccezionale avvenimento, grazie alla tecnica dell’incisione portata in luce dal maestro Dürer un centinaio di anni dopo, l’opera d’arte diventa copiabile e riproducibile, un’infinità di volte: proprio come il nostro quotidiano e straordinario copia e incolla.
Abbandonato il ragionamento sul presidente americano, l’autore si sofferma a riflettere sul destino giornalistico, stimolato da un avvenimento davvero eclatante: l’assegnazione, nell’anno 2010, dell’ambitissimo premio Pulitzer non ad una testata cartacea bensì ad un sito internet, grazie ad una inchiesta sull’eutanasia messa in atto durante la tragedia dell’uragano Katrina, dell’agosto 2005. Il conferimento del Pulitzer al giornalismo in rete è sintomo del cambiamento epocale che si sta consumando nel mondo dell’informazione. Non possiamo che prendere coscienza di questa evoluzione in seno al giornalismo che, secondo Mezza, altro non è se non una rielaborazione di antiche consuetudini, rimaste intrappolate dall’avvento del sistema verticale del fordismo.
La rete ci pone davanti ovviamente una serie di innovazioni, non solo tecnologiche, per le quali è diventato fondamentale, in campo giornalistico, l’adeguamento; parliamo principalmente di velocità di informazione, di ipertestualità, della moltiplicazione delle notizie, del giornalismo embedded e soprattutto dell’apparizione della nuova figura di “spettautore”. Ognuno di noi, grazie alle nuove tecnologie quali, ad esempio, gli smartphone, e la rete ha la possibilità di trasformarsi da semplice fruitore di notizie ad autore: si dispongono di nuove tecnologie e al contempo di nuovi saperi. Per essere un buon giornalista, secondo l’autore, non occorre più consumare la suola delle scarpe andando avanti e indietro per il paese a caccia di notizie e di scoop, ora basta indossare un pigiama e piazzarsi, magari nel salotto di casa, davanti ad un pc ovviamente connesso in rete, perché quel che conta è essere sempre connessi e cooperanti con l’umanità.
E’ la gente comune a generare notizie e a mediare l’informazione; per questo motivo, i giornali devono dimostrare di essere diventati qualcosa che sa andare oltre all’idea tradizionale di se stessi.
Mezza ripete più volte che il giornalismo deve reinventarsi e individua nella “sesta W” proprio il codice per il nuovo sviluppo giornalistico: è la W di While, ovvero il mentre, il momento esatto in cui la notizia si sta formando, meglio noto come real time. L’immediatezza diventa fondamentale ma è anche un trauma per la macchina giornalistica che fatica nell’adattarsi alla velocità degli eventi.
Partendo proprio dalla necessità e dal desiderio del pubblico di avere notizie “freschissime”, Mezza avanza l’interessante idea di fondere la struttura dei telegiornali regionali con il servizio offerto da Rai News 24, ovvero con la logica di integrare la grande ragnatela territoriale, fonte di notizie locali sempre aggiornate e in “presa diretta” sul campo, con il servizio nazionale 24 ore su 24 ma privo di proprie fonti. Chiaramente, per rendere possibile tale processo, occorre svincolare le redazioni locali dallo stato di arretratezza tecnologica in cui versano, essendo “figlie” non più evolute degli anni ottanta.
Il progetto di Mezza dovrebbe prevedere la ricostruzione di una testata attorno ad una potenza digitale di selezione ed archiviazione, al fine di configurare la prima agenzia audiovisiva quotidiana del sistema Italia. In tale senso si potrebbe dare nuovamente dignità alle redazioni regionali che, allo stato attuale, si trovano a lavorare in una situazione di inadeguatezza rispetto ai tempi che, inevitabilmente, si traduce in un sovraccarico di costi con un conseguente livello di inefficacia produttiva.
Sempre in seno a “mamma Rai”, Mezza ipotizza un passaggio ideologico, oltre che fisico, dal simbolo del cavallo alla farfalla: il cavallo, si sa, ha identificato per circa cinquanta anni la Rai ma negli ultimi anni è stato virtualmente sostituito dalla farfallina che metaforicamente svolazza sugli schermi; un passaggio quanto mai efficace simbolicamente, come metafora di due ere contrapposte in cui la Rai si trova a vivere. L’epoca del cavallo, in cui il servizio pubblico, con la sua forza e prestanza fisica, è il fulcro, il perno del motore e la nuova epoca interpretata dalla farfallina in cui i progetti si diluiscono, diventano più effimeri e mutevoli, proprio come una farfalla. Secondo l’autore è ora che i dirigenti della Rai smettano di pensare alla televisione pubblica italiana come ad un colosso che guida e campeggia una folta schiera di adepti, bensì inizino a vedersi come parte di un unico progetto, in cui anche gli spettatori diventano autori, andando via via a confondersi con essi. Ovviamente Mezza, appartenendo al mondo Rai, è in grado di osservare e di fare dei ragionamenti sul futuro della televisione e di muovere delle critiche acute: sprona la Rai a ritornare ad essere il colosso di un tempo, adeguandosi alla modernità, ritrovando il senso originario di utilità sociale.
La televisione, peraltro, è diventata portatile, come l’informazione e per poterne fruire basta possedere uno smartphone, per cui è accessibile praticamente a tutti, ovunque e in tempo reale.
Mazza provoca quando sostiene che la Tv è stata abbandonata da Dio, ma effettivamente si rende conto che veramente il “dio successo” appare oggi più che mai lontano dalla tv generalista; a tal proposito basta osservare gli investimenti dei pubblicitari che stanno calando vorticosamente sul vecchio media, per raggiungere picchi invece sul web. Si sta realizzando un vero e proprio fenomeno involutivo e si è passati dal boom berlusconiano della pubblicità, inaugurata da Telemilano e che ha visto gli eccessi in Mediaset; ora gli investitori e le aziende puntano al web, consapevoli che è proprio lì che si combatte la sfida della modernità.
La competizione dell’innovazione continua, a colpi di invenzioni tecnologiche che si riflettono poi automaticamente in quelle mediatiche, come ad esempio la sfida del tridimensionale.
Dato che tutto il filo del discorso di Mezza che ci intrattiene per poco meno di duecento pagine ha come trait d’union il richiamo al passato come causa dell’oggi, nel quale tutto si evolve nella pratica ma non nel concetto, ecco venir fuori un’idea tanto bizzarra quanto geniale di vedere nel lavoro del pittore di corte Van Dyck e dello scultore Gian Lorenzo Bernini, proprio le origini del 3D. Per spiegare al lettore stupito questo bizzarro collegamento, Mezza ci racconta un aneddoto molto interessante che vede il Van Dyck intorno al 1630 intento a preparare, per conto di Carlo I Stuart, re dell’Inghilterra, un suo ritratto, nel quale venivano rappresentati i tre lati del sovrano, da inviare allo scultore italiano per farne poi il celebre busto. L’idea del geniale pittore di corte, secondo l’autore, altro non è se non la base per la nascita della grafica tridimensionale, dalla quale oggi siamo completamente assorbiti. Il tempo nostro oggi è il tempo della realtà dilatata, aumentata e riprodotta: è la nuova grafica della moviola, del rallenty e delle graphic novel. Il tanto acclamato fenomeno holliwoodiano inaugurato dall’impresa colossale di Avatar, nel 2009, non è che l’evoluzione naturale e conseguente, dell’intuizione geniale di un pittore rinascimentale di corte. La tecnologia sta semplicemente supportando il genio umano ed è tempo di accorgersene e di adeguarsi.
Michele Mezza, giornalista ed ideatore di Rai News 24, tenta di delineare la figura del nuovo giornalista, capace di districarsi tra la portata tecnologica ma allo stesso tempo anche in grado di dare un’anima alla notizia: a suo avviso i tempi sono maturi per una svolta davvero radicale. Il giornalismo ha un grande futuro davanti a sé, oltre che un glorioso passato al quale guardare fieri.
Velocità, condivisione e partecipazione sono alcune delle parole chiave utilizzate da Mezza per la descrizione dell’era digitale in cui ci si trova a vivere. E’ una vera e propria “rivoluzione” quella della velocità digitale che, secondo l’autore, sta producendo un nuovo “umanesimo”, trasformando il mezzo informatico in una vera e propria fabbrica di saperi, nella quale un grande numero di “artigiani” crea delle comunità virtuali e realizza dei prodotti di informazione, per poi metterli a disposizione della collettività.
Per questo motivo i giornalisti devono rimettersi in gioco: il processo sarà possibile solo grazie al loro contributo che, ovviamente, comporterebbe una mutazione professionale del loro profilo.
Sicuramente lo sconvolgimento in atto costituisce una formidabile opportunità per gli operatori del settore della comunicazione e, secondo Mezza, sono soprattutto i giornalisti a trovarsi dentro ad una svolta epocale: essi non saranno più dei “mediatori e disvelatori unici” ma si trasformeranno in “selezionatori, decifratori e coproduttori” di informazioni. Secondo Mezza non siamo affatto al tramonto del giornalismo, bensì ad una fase di inevitabile mutazione genetica, durante la quale maneggiare e possedere le nuove tecnologie diventa una necessità e non più solo una semplice opzione. Non siamo alla vigilia di un futuro cibernetico e snaturante, quanto di un’espansione di un moderno umanesimo digitale, che riemerge dopo essere stato latente durante la parentesi fordista.
Il testo è ricco di spunti e di proposte ed è davvero originale la copertina, nella quale è rappresentato un camaleonte che si aggira su una tastiera del computer. L’animaletto, simpaticamente, riassume il pensiero generale dell’autore sulla figura del nuovo giornalista, per il quale lo spirito di adattamento mutevole alle evoluzioni della realtà, diviene una caratteristica imprescindibile per la propria sussistenza. Il camaleonte, inoltre, è contraddistinto da alcune peculiarità, oltre alla straordinaria capacità di mutare colore, possiede una lingua retrattile e appiccicosa, (un po’ come il giornalista, secondo l’immaginario comune) ed è dotato di grandissimi occhi, in grado di guardare anche in direzioni diverse. Mai similitudine poteva essere più azzeccata.
Elisa Piana
Michele Mezza
Sono le news, bellezza!
Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale
Roma, Donzelli editore, 2011.
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