"Il Buon Paese " di Enzo Biagi. Suggestioni e parallelismi 1981-2014
Lo spirito che anima Enzo Biagi nella sua inchiesta Il
Buon Paese del 1981 non è frutto di
genuina curiosità, ma di sincera preoccupazione. Nell’Italia del 1981 valeva la
pena restare?
Biagi ci offre una carellata di ventinove ritratti umani, testimonianza unica,
per la sua sensibilità, dell’Italia di trentatré anni fa. Così simile e tanto
diversa da quella che oggi viviamo. La crisi internazionale e quella economica
si fanno più pressanti, la politica è già cosa lontana dalla vita di tutti i
giorni, il terrorismo si insinua.
Subito si capisce che qualcosa è cambiato: gli anni Ottanta
rappresenteranno infatti una fase passaggio. Tutto ciò che aveva rappresentato
gli anni Sessanta e Settanta, si perderà: il clima non è più lo stesso: per
descrivere l’Italia di Enzo Biagi la politica quasi non serve, ma apre la
rassegna di interviste. Il primo è il Presidente della Repubblica Sandro Pertini,
seguito dal parlamentare Giorgio Amendola e dal sindacalista Luciano Lama: è
questa la politica che Biagi ha scelto di raccontare per la sua Italia. Se la
figura di Pertini non poteva mancare, come idolo degli italiani, l’intervista
ad Amendola serve per chiudere un ciclo ed è lo stesso Biagi ad ammettere “Ho
capito che non facevo un’intervista, ma raccoglievo un testamento” (p. 1).
Luciano Lama è invece il simbolo di un’Italia operaia, che a causa della crisi
perde certezze e vede nel sindacato un intermediario per trattare con
l’imprenditoria. Sta scemando la passione ideologica dei decenni precedenti, la
sostituiscono la scetticismo e la diffidenza.
Le altre storie appartengono a uomini e donne di ogni
estrazione sociale, provenienti da ogni area geografica del Paese. C’è spazio
per tutti nell’Italia di Biagi: per l’industriale e per l’operaio, per il sacro
e per il profano, per la nobile imprenditrice e per gli attori della casa di
riposo per artisti, per il letterato e l’ex analfabeta autodidatta. Ognuno
porta il suo contributo: in qualche modo, tutti fanno l’Italia.
I protagonisti sono scelti con cura e vengono incastonati
dentro la “cornice-Italia”. Sono molte le domande ricorrenti, declinate in
diverse forme, tra queste troviamo: “Vorresti raccontarmi la tua giornata?”,
“Chi sono i nostri compatrioti più infelici?”, “Chi sono gli italiani
che se la passano meglio?”, “Ha visto Prova d’orchestra di
Fellini? Che ne pensa?”, “Qual è il peccato che consideri più grave?”,
“Che possibilità abbiamo, di salvarci?”, “Che cosa sono i soldi?”,
“Chi è per lei un comunista?”, “Chi è per lei un imprenditore?”,
“A suo figlio che consigli dà?”, “C’è qualcosa che le fa paura?”,
“Politicamente che cos’è?”, “Chi sono i suoi amici?”. Il lettore
può quindi confrontare le risposte degli intervistati, che sembrano dar voce a
quella che potremmo definire l’opinione pubblica italiana. Attraverso un
piccolo gruppo di persone, Enzo Biagi riesce a dar voce a tutte le facce del
nostro Paese: alle istanze, ai successi e le sconfitte di tutti quanti.
Ogni intervista è preceduta e
seguita da un commento del giornalista, che racconta in breve al lettore la
storia dell’intervistato e che, a fine capitolo, va a chiosare esprimendo la
propria impressione sull’incontro.
Il filo conduttore è un immaginario itinerario attraverso la
Penisola: Roma, Milano, Torino, Padova, Vicenza, Scaldaferro di Pozzoleone
(VI), Bologna, Imola, Modena, Parma, Montagnano (AR), Pavia, Massa Carrara,
Salerno, Palermo, Cagliari, con un salto oltre confine, nella Lugano che
Prezzolini aveva scelto come dimora dei suoi ultimi anni.
A ogni tappa un personaggio racconta la propria storia
attraverso un’intervista; in alcuni casi manca la voce del protagonista, la cui
esperienza rivive attraverso le parole di Biagi. A loro volta queste storie
raccontano l’Italia: la sua spiritualità cattolica, il suo spirito
imprenditoriale, la sua cultura.
Nulla sembra mancare in questo ritratto, tanto semplice e a volte
amaro. Amaro perché restituisce un’immagine chiara: il brillante spirito
italiano convive con le miserie che ancora non è riuscito a debellare. C’è la
storia di Mimì Aylmer alla Casa di Riposo per artisti di Bologna, che qualcuno
avrebbe voluto chiudere. La storia di Rossanna Riccetti, madre di due
tossicodipendenti: Massimo e Fausto, morto di overdose. E ancora il racconto di
vita di Antonietta Pepe, salernitana, che ha imparato a leggere e scrivere
senza essere andata a scuola e che ha undici figli, quattro sordomuti. I
ritratti di Pietro Calogero e Giancarlo Stiz, magistrati che hanno combattuto
il terrorismo nero. L’intervista alla famiglia di un altro magistrato: Guido
Galli, ucciso dalle Brigate Rosse. L’ultimo capitolo è dedicato alla Sardegna:
Enzo Biagi sceglie di raccontarla attraverso gli occhi di tre carabinieri: il
colonnello Felice Scalzo, il maggiore Franco Murtas e il maresciallo Giorgio
Spano. Raccontano dei briganti, di quella realtà rurale e così “isolata”,
diversa dal resto della Penisola. Una realtà così lontana, che per essere
raccontata serve la testimonianza del presidio dello Stato. Biagi ascolta il
loro racconto con l’attenzione di un antropologo che studia un popolo a lui
sconosciuto.
C’è spazio per nomi importanti: Gianni Agnelli, simbolo delle
dinastie dell’imprenditoria italiana, Padre Martini, che si appresta a
diventare vescovo di Milano, Callisto Tanzi, ancora ben lontano dal crack
Parmalat, Elvira e Enzo Sellerio, che con l’aiuto di Leonardo Sciascia hanno
raggiunto il successo, Giuseppe Prezzolini, sulla soglia dei novantanove anni.
Le interviste non si soffermano solo sulla vita professionale
e pubblica degli intervistati, Enzo Biagi vuole arrivare al cuore di
quest’Italia ed è per questo che le sue domande sono discrete, ma spesso si
fanno personali. Lo scopo è quello di rappresentare il cuore del Paese.
L’Italia del 1981 vive delle grandi contraddizioni, ma
attraverso questa inchiesta, Biagi trova la risposta alla sua domanda. Alcuni
problemi sociali sembrano insanabili, atavici in Italia, ma vale ancora la pena
restare: esiste una forza vitale che ci porta avanti, attraverso i buoni e i
cattivi momenti, attraverso la tragedia e il successo. Come lui stesso dice: “Se
arriverete all’ultima pagina, forse vi sarà chiaro perché l’Italia sta in
piedi, perché ogni mattina, più o meno, escono i tram, i bambini vanno a
scuola, e fuori della porta c’è la bottiglia del latte e il giornale. Esiste
ancora qualcuno che fa la sua parte: sono quelli che forse ci salveranno” (p.8).
*
La mia copia de Il Buon Paese è di seconda mano, sulla
quarta di copertina qualcuno ha inciso una data, 23/7/82. Il libro era appena
stato ristampato in seconda edizione da Mondadori. Il 1981 è appena passato: è
stato un anno intenso, un anno di cambiamenti.
C’è un mondo nuovo da affrontare e il giornalismo italiano si
confronta con nuovi eventi e nuove evoluzioni: il terrorismo è una realtà
sempre più concreta, gli attentati sono sempre più frequenti, nel mese di marzo
viene scoperta la loggia massonica P2: è un terremoto, ogni settore
dell’industria è colpito, editoria compresa. Il Corriere della Sera perde
100.000 copie di tiratura e buona parte della redazione, compreso lo stesso
Biagi. Il 17 maggio, con un referendum, gli elettori respingono l’abrogazione
della legge 194. A giugno un dramma scuote la nazione: Alfredo Rampi, 6 anni,
muore a 60 metri di profondità, tre giorni dopo la caduta in un pozzo. Nella
speranza di poter documentare il momento del salvataggio, il TG1 e subito dopo
anche il TG2 e il TG3 aprono una diretta in esterna, che durerà 18 ore e si
concluderà tragicamente con la morte del piccolo. In seguito i direttori dei
tre telegiornali vennero accusati di scarsa sensibilità, avendo
spettacolarizzato un così tragico evento.
E’ in questo scenario che prende il via l’inchiesta de Il
Buon Paese. Bisogna fare chiarezza e portare un po’ di luce su questo
panorama desolato. E’ questo il compito che si prefigge Enzo Biagi, che, con la
pacatezza e la serenità che lo hanno contraddistinto, mette un po’ d’ordine e
fa emergere il lato meno triste del nostro Paese. Anche nella tristezza e nella
miseria, Biagi ha saputo trovare il lato buono: le interviste non sono mai
formali, sono sempre cariche di emotività. Sono ritratti pieni di colore, c’è
il dialetto di Antonietta Pepe, il pranzo semplice di Pertini, come quello di “certi
professori che insegnano in provincia” (p. 12), la semplicità del piccolo
Paolo che cammina con le ciabatte del papà, è figlio di Guido Galli, magistrato
ucciso dalle Br.
La lettura è piacevole e veloce, grazie a una scrittura
semplice e lineare, ma coinvolgente. Biagi dà molto spazio alle riflessioni del
lettore, lascia a lui la possibilità di giudicare i personaggi raccontati e
l’epoca in cui vissero.
In poco più di duecento pagine, Enzo Biagi riesce a
descrivere l’umanità intera. La mette a nudo in tutte le sue sfaccettature, ma
il risultato è sorprendente: sono passati trentatré anni dall’avvio di questa
inchiesta, per di più, in un’epoca che ha attraversato velocissimi cambiamenti
e che hanno segnato cambiamenti epocali per la storia dell’uomo. Eppure le
similitudini con il nostro tempo sorgono spontanee.
Già dai primi capitoli, si notano due temi ricorrenti
“sfiducia nella politica” e “crisi internazionale”, gli stessi che ancora oggi
ripetiamo come mantra. A un primo sguardo, può sembrare che l’Italia sia
rimasta immobile per decenni, ma a ben vedere si può capire che c’è stata una
grossa evoluzione, che, sotto alcuni aspetti, è ancora in atto.
Siamo un Paese più laico: benché la maggioranza dei cittadini
italiani sia di fede cattolica o si dichiari credente, la religione non occupa
più una parte così importante delle nostre vite. Il terrorismo non è più una
realtà quotidiana, è diventato una pagina buia nella storia del nostro Paese.
Con il senno di poi e un po’ di
sarcasmo, si può guardare all’intervista “Il mio latte nutre anche i soldati
USA”, in cui un quarantenne Callisto Tanzi alla domanda “Che cos’è il
denaro?” dichiara “Una cosa che serve rovinarne molte altre” (p. 134).
Tra i nostri cittadini è cresciuto ancora il livello di istruzione; c’è anche
più consapevolezza dei rischi del mondo: la droga non è una piaga sociale tanto
distruttiva quanto lo era nei primi anni Ottanta.
In questi trentatré anni però qualcosa si è perso: i Tullio
Campagnoli, i Mario Lodi, i Gian Luigi Morini, i Sellerio, i Panini ma anche i
Gianni Agnelli sembrano non esserci più, sembrano non trovare più spazio.
Personaggi come questi hanno rappresentato non solo il made in Italy, ma il
vero e proprio spirito dell’italianità: creatività, imprenditorialità,
sensibilità culturale. Per non parlare dei Prezzolini e dei Bacchelli, che
davvero possono essere considerati unici e appartengono a un altro mondo, sia
culturale sia storico.
Di Enzo Biagi ricordo Il Fatto in onda su Rai1 nelle
sere della mia infanzia, non ho potuto vivere appieno la sua carriera e la sua
vita professionale, ma leggendo questa sua raccolta di interviste, qualcosa è
scattato. Qualcosa che è più di una suggestione. “Vale ancora la pena di
vivere in Italia?” è una domanda che colpisce, soprattutto perché rimane
molto attuale: conosco tanti coetanei che sono emigrati e io stessa ogni giorno
sembro avere un motivo in meno per restare. Queste riflessioni hanno riportato
alla mente un testo molto più recente, un libro che rappresenta una
testimonianza sull’Italia degli anni Duemila: è Vieni via con me di
Roberto Saviano, che attraverso otto storie di corruzione e di speranza,
racconta la realtà italiana. Nato da una trasmissione tv, la pubblicazione del
libro si è trasformata in un tour-evento, il cui “tormentone” è stato, non a
caso, la “lista delle dieci cose per cui vale la pena vivere”. Nelle ultime
pagine, Saviano racconta la storia dei trentasei Giusti, che esistono in
ogni generazione e che si oppongono al male quando esso prevale. Per commentare
questo racconto sceglie una poesia di Borges, I giusti, che può essere
usata anche per raccontare la scoperta fatta da Biagi, attraverso il suo ciclo
di interviste:
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva
Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano
in silenzio a scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina
che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono
le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male
che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano
ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano stanno salvando
il mondo.
Dopo aver riletto queste
poche righe non posso fa a meno di chiedermi se Saviano avesse mai letto Il
Buon Paese prima di pubblicare il suo Vieni via con me.
Marta Fiorellino
Enzo Biagi
Il Buon Paese
Mondadori, Milano, 1982
Nessun commento:
Posta un commento