Nel nostro tempo, iperconnesso, ultravelocizzato, perduto in una rete dove la potenzialità della costruzione della conoscenza è senza limiti ma, molto spesso, anche senza strumenti critici di interpretazione dei flussi narrativi, l’uso dell’informazione è centrale. E la guerra – nel suo racconto drammatico – diventa la metafora più illuminante della complessità che accompagna la conoscenza della realtà e di come il giornalismo debba fare il proprio lavoro in una pratica quotidiana di difficile difesa della propria autonomia dai condizionamenti che ogni potere, governo e interesse tentano di imporgli.
Il reporter di guerra diventa in questo libro il simbolo della ricerca costante della verità in un territorio dove i pericoli, i rischi, le minacce, non sono soltanto quelli d’una cannonata o d’una mina, o d’una milizia jihadista di tagliagole invasati, ma riguardano le difficoltà di verifica delle informazioni e i tentativi sempre più sofisticati di disinformazione.
Cinema, letteratura, immaginario popolare, hanno fatto del reporter di guerra una figura mitica; questo libro ne racconta la storia dal primo corrispondente – in Crimea, nel 1854, quando si scriveva con la penna d’oca e l’inchiostro – ai giorni d’oggi, del Califfato, delle bombe intelligenti, dei droni e del collegamento in tempo reale dal campo di battaglia.
Oggi Obama può guardare in diretta dalla Casa Bianca i commandos che ammazzano Bin Laden a 10 mila miglia di distanza, e il reporter di guerra scivola nell’ombra di una marginalità inquietante: sappiamo sempre di più, ma capiamo sempre di meno. Questo libro – nella metafora del racconto della guerra – ci aiuta a capire, e a difendere il nostro desiderio di sapere.
Nessun commento:
Posta un commento