“Quando fanno i giornalisti, spesso i veri scrittori sono i meno “letterari”. E’ questa la cifra esplicativa di: “Catastrofi, i disastri naturali raccontati dai grandi reporter”. Sei racconti tra giornalismo e narrazione, informazione e romanzo che ripercorrono le vicende e i fatti di altrettante sciagure naturali: L’uragano Katrina che sconvolse New Orleans nel 2005, il grande terremoto cinese del 1976; i sismi che sconvolsero San Francisco nel 1906 e Yokohama 1923; le devastazione dell’uragano Diane e ancora il terremoto che colpì la Turchia nel 1999. Le firme sono quelle prestigiose di Jack London, Ernest Hemingway, John Hersey, Qiang Gang, Robert Fisk e i cinque inviati del Sun Herald Biloxi che meritarono il Pulitzer nel 2006 nella categoria “giornalismo di pubblica utilità” insieme ai cinque giornalisti del “The Times Picayune” che vinsero il Pulitzer nello stesso anno nella categoria: “giornalismo di pubblica utilità e “notizie dell’ultim’ora” per aver raccontato nei dettagli il cataclisma che colpì duramente New Orleans nell’agosto 2005. Quanto c'è di inevitabile in questi fenomeni? Quanto, invece, è imputabile alla responsabilità umana? E' possibile prevenire? Delle catastrofi naturali si parla sempre troppo tardi, spesso solo quando sono già diventate fatti di cronaca. Passato il coinvolgimento emotivo del momento ci si dimentica di vivere sotto la minaccia delle forze naturali e si tende a negare o a sottovalutareil rischio. Il libro si sviluppa attraverso il racconto di alcune delle grandi catastrofi naturali che porta con sé la riflessione generale sul rapporto tra uomo e natura e su come il primo abbia portato alle estreme conseguenze il suo dominio sugli elementi naturali che innesca inevitabilmente una caccia serrata agli errori e alle responsabilità prima,durante e dopo. Raccontare cataclismi e sciagure naturali dove migliaia di persone inevitabilmente perdono tutto porta con sé anche il significato più profondo del “fare giornalismo” nel rispetto dei fatti ma soprattutto delle persone. Implicazioni etiche, dunque, non solo tecniche. Il punto focale del lavoro di questi giornalisti è l’ascolto e l’osservazione, elementi fondamentali del giornalismo oggi caduti quasi in disuso.
Di grande impatto è anche la narrazione fornita di Jack London del grande terremoto di San Francisco del 1906 di cui fu protagonista in prima persona e di cui fornì la descrizione dopo aver girovagato per due giorni e due notti tra le macerie della città. Essenziale ed efficace l’incipit: “San Francisco è perduta. Non ne rimane niente, se non i ricordi e una frangia di case in periferia". L’autore di Zanna Bianca comincia riferendo del brusco risveglio all’alba del 18 aprile, quando lui e la moglie si caricarono la macchina fotografica in spalla e, spinti da un «misto di orrore e fascinazione», scesero in città. L’autore descrive con grande attenzione l’assenza di panico e l’avanzata degli incendi che si stavano mangiando la città, ma il cuore del reportage è la narrazione della fatica di chi era riuscito a salvare una parte dei propri averi riposti in bauli che erano trascinati lontano dalle zone rosse e posti in salvo.
Il volume è anche una descrizione dell’essenza del lavoro del giornalista. Per raccontare gli eventi i sei giornalisti hanno raggiunto i luoghi del disastro per osservare e raccontare, vivere la disperazione e la speranza delle vittime in antitesi con quella che è caratteristica contemporanea della professione: ossia scrivere ed informare stando seduti davanti ad un computare raccogliendo informazioni attraverso la rete.
Altri due cardini dell’antologia curata da Simone Barillari sono il pezzo di John Hersey, uscito sul «New Yorker» del 17 ottobre 1955, sull'uragano che poche settimane prima aveva distrutto la cittadina di Winsted, nel Connecticut. La forza della narrazione di tutto ciò che è accaduto nella notte in cui si scatenò la tempesta sta nell’unico punto di vista di una testimone. L’altro pezzo di grande impatto è Il grande terremoto cinese raccontato da Qian Gang, dedicato alla catastrofe di Tangshan del 28 luglio nel 1976. «Senza dubbio, Tangshan mi appartiene», dice. Malgrado il suo reportage fu scritto 10 anni dopo la catastrofe, al termine di un lunghissimo lavoro di ricostruzione. Del giornalista cinese colpisce la seguente riflessione contenuta nel suo pezzo: “Non abbiamo alcun controllo sulla nostra morte fisica, eppure c’è qualcosa negli esseri umani che può trascendere la morte (…) altri, pur senza sfuggire alla loro fine, hanno lasciato sulle macerie del terremoto una testimonianza di vittoria spirituale sulla morte”.
Nel reportage sull’uragano Katrina che colpi New Orleans nell’agosto 2005, il giornalismo acquisisce oltre al suo ruolo naturale informativo anche un ruolo sociale. I cronisti impegnati sul palcoscenico degli eventi con le loro testimonianze sono i contrappesi della cosiddetta informazione di stato che per nascondere tutte le difficoltà e i ritardi dei soccorsi avevano accampato la scusa dell’inagibilità delle strade. Non a caso gli inviati che redassero i reportage e denunciarono le lacune della macchina organizzativa degli USA meritarono nel 2006 il Premio Pulitzer.
A cura di Simone Barillari
Minimum Fax, Roma, 2007.
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