Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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02 settembre 2017

“Non era vero, ma la gente ci credeva”



“Ora, appena finito di leggere questo libro, che voi presumibilmente avete appena aperto, sono tentato di chiudere tutti gli account sui social network e, possibilmente, di frequentare il meno possibile l’informazione on line.”
(Marco Cattaneo – Prefazione)

Il 18 dicembre 2015 il Washington Post chiudeva la rubrica What was fake in the Internet this week, creata in risposta al dilagare di bufale sul web. Sembrava infatti necessario ripensare in maniera radicale le modalità con cui affrontare la sfida contro la disinformazione che viaggia in rete, alla luce di una serie di riflessioni proposte da Walter Quattrociocchi e dal suo gruppo del Laboratorio di Computational Social Science dell’IMT di Lucca in una serie di studi poi confluiti in questo libro, scritto a quattro mani con la giornalista Antonella Vicini.
In questo volumetto è racchiusa una straordinaria collezione di bufale, figuracce 2.0, meme, tweet, immagini troll, titoli di articoli online e post dei quali non è possibile non avere avuto esperienza negli ultimi due anni. Esempi ancora piuttosto freschi nella memoria, a corredo di un’analisi seria e puntuale delle principali dinamiche che regolano la diffusione dell’informazione (e della disinformazione) online, analisi che ruota intorno ad alcuni punti cardine:

1. la tendenza degli utenti sul web e sui social network ad acquisire solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze (confirmation bias o pregiudizi di conferma);
2. la tendenza a circondarsi di contatti affini per attitudini, mentalità e convinzioni (politiche, religiose, ideologiche e via dicendo), risultando inevitabilmente esposti selettivamente ai loro contenuti, e quindi confinati in una bolla in cui non penetra alcuna informazione incongrua o di segno opposto;
3. il conseguente rinforzo vicendevole delle proprie posizioni, che conduce verso una progressiva radicalizzazione tanto del singolo individuo quanto del gruppo nel suo complesso.

Quello che emerge è un quadro piuttosto desolante della realtà informativa della rete, nel quale le strategie adottate finora, tra cui l’intensa attività di debunking e smascheramento della disinformazione che si è andata sviluppando negli ultimi anni, parrebbero non solo inefficaci, ma addirittura dannose e controproducenti, perché finirebbero per rafforzare le posizioni di chi a bufale, leggende metropolitane e complottismi ci crede. Anche i debunker italiani, pur non concordando appieno con la radicalità dell’analisi di Quattrociocchi e Vicini, si trovano costretti ad ammettere “quanto sia inutile il muro contro muro negli ambienti online citati dalla ricerca”, come afferma il debunker Paolo Attivissimo in un’intervista a Chiara Severgnini del marzo 2016, sottolineando poi come questa ricerca sia soprattutto “un buon campanello d’allarme per i debunker aggressivi, perché dimostra, dati alla mano, che il loro metodo non funziona”.
Rimane però aperto l’interrogativo: c’è una soluzione, un metodo che possa arginare la diffusione virale di bufale, disinformazione e misinformazione sul web? Sarà sufficiente affidarsi a un debunking fatto in maniera moderata e meno aggressiva? La situazione migliorerà man mano che gli utenti della rete prenderanno consapevolezza delle dinamiche invisibili che muovono l’informazione online?
In queste pagine non si trovano miracolosamente tutte le risposte, no, ma questo non le rende meno preziose, perché riescono nel non semplice compito di aprire gli occhi al lettore, in un primo e fondamentale passo verso la guarigione, ovvero la presa di coscienza di essere malati: siamo tutti vittime dei pregiudizi di conferma, rinchiusi nelle nostre eco chamber, sempre più polarizzati nelle opinioni sui temi che più ci stanno a cuore, e non ce ne rendiamo conto.

“Se leggendo, quindi, siamo stati mossi dalla tentazione di porci al di sopra di tutto e bearci delle ‘disgrazie’ dell’altra umanità, quella più credulona e incline alle trappole di Internet, ricordiamo sempre che la hybris veniva punita dagli dei o che, molto più semplicemente, siamo tutti figli dello stesso cielo.. e dello stesso web.”
(Quattrociocchi, Vicini – p. 140).
 Anna Rocca


W. Quattrociocchi, A. Vicini
Misinformation – Guida alla società dell’informazione e della credulità
FrancoAngeli, Milano, 2016, pp. 145.
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