Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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17 novembre 2017

Privacy, deontologia e fake news: fare giornalismo oggi

La storia racconta che sono stati innumerevoli i momenti di “passaggio” che il giornalismo ha dovuto affrontare: dalla parola scritta alla radio, dalla radio alla televisione, dalla televisione al web, l’informazione è costretta ad ogni passaggio a re-inventarsi, esplodere e ricominciare (quasi) dall’inizio. Ma che giornalismo stiamo vivendo, oggi? È questa la domanda che è stata oggetto del primo panel al Glocal news di Varese 2017. E per dare una risposta, sono intervenute varie personalità del mondo dell’informazione: Alessandro Galimberti, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Raffaele Fiengo, giornalista storico del Corriere della Sera,  Annalisa Monfreda, direttrice Donna Moderna, Luca Sofri, direttore IlPost.it e infine Michele Vitiello, ingegnere informatico forense. La grossa evoluzione del giornalismo moderno è che l’informazione è diventata pubblica: diffondere una notizia non è più prerogativa dei grandi quotidiani, chiunque può comunicare qualunque cosa desideri usando il web. La rete ha permesso la globalizzazione, e ha condizionato una sempre maggiore rapidità. L’avvento dei social network ha estremizzato questa realtà, fino al verificarsi delle due grosse conseguenze con le quali il giornalista deve oggi confrontarsi: il fenomeno delle “fake news” e la perdita della privacy. Le notizie false sono all’ordine del giorno, e sono sicuramente il risvolto della medaglia dell’informazione “pubblica”: in assenza di mediatori, e con la libertà che concede la rete, chiunque può scrivere e mettere in circolazione qualunque informazione, con il risultato che per vincere questa sfida contro la rapidità nasce il “giornalismo del sentito dire” ma soprattutto il cyber-terrorismo: sia esso posto in essere per campagne pericolose contro i vaccini per esempio, oppure per condizionare campagne elettorali come avvenuto negli USA con l’elezione di Donald Trump.
Per quanto riguarda la privacy, non è contemplata dal web: “Ciò che pubblichiamo non è più nostro, nel momento stesso in cui lo diffondiamo su Facebook”, spiega Vitiello, illustrando i modi in cui è possibile oggi tener traccia dei movimenti di una persona utilizzando la tecnologia di cui è circondata, dallo smartphone agli elettrodomestici intelligenti. Il paradosso, come sottolinea Galimberti, è che la privacy si difende nelle situazioni in cui non andrebbe difesa: e cioè quando si desiderino ottenere dei dati che determinati brand, per esempio Apple, non concedono nemmeno agli organi di stato maggiori. Ma in questa giungla di finta informazione e numeri che fanno da padroni a discapito della sicurezza, come deve muoversi, il giornalista, per uscire dalla crisi in cui il settore sembra vertere? “Occorre aumentare la comunicazione con più giornalismo di qualità. I singoli devono investire sulla propria dignità, aderendo al giornalismo deontologico, e le istituzioni devono tutelare i professionisti in quanto tali” dice Raffaele Fiengo. Allontanarsi dunque dalla moda del “brand journalism”, per non divenire “influencer a pagamento”, come sempre più spesso accade, e tornare alla qualità. Evitando di far diventare il pubblico “dittatore”: “I giornali dipendono troppo dai lettori, sono plagiati da ciò che il lettore vuole leggere”, spiega Luca Sofri, IlPost. “La tecnologia e internet non sono il nemico”. Rincara la dose la dottoressa Monfreda: “il giornalismo deve essere responsabile”. E per responsabilità si intende che deve essere approfondito, trasparente con il lettore: dare al pubblico ciò di cui ha bisogno, non ciò che “di pancia” pensa di desiderare. Bisogna tornare, insomma, al journalism first.  Ma senza fare del progresso il capro espiatorio di ogni male.
Micaela Ferraro
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