"Ma lo guardano tutti..."
L'altra sera mi sono trovata a cena con degli amici, nonché
inaspettatamente immersa in una discussione su una delle serie TV che da anni
sta spopolando tra fan di tutte le generazioni: Il trono di spade (Game
of Thrones, Ndr). Io e un altro ragazzo abbiamo preso d'assalto
un'amica - povera malcapitata - che fa l'insegnante, nel tentativo di
convincerla a seguire la serie.
Come avviene sempre, a questa domanda è seguita la risposta "Ma lo
guardano tutti...".
Ecco allora una mistica rivelazione.
Che piaccia o no, il fatto che "tutti" guardino qualcosa, o leggano,
seguano, giochino a qualcosa, non fa che donargli valore.
Innanzi tutto, ergersi a luminari dell'intrattenimento, troppo colti per
apprezzare ciò che è apprezzato dalla massa, pare leggermente eccessivo.
Probabilmente nemmeno de Tocqueville avrebbe potuto permettersi tanto.
In seconda istanza, non è proprio forse il successo a determinare cosa è
importante e cosa non lo è? Certo, noi potremo avere la cultura, la
preparazione e il gusto necessari per apprezzare un'opera inedita, capolavoro
della letteratura al pari della Divina Commedia, ma, a livello puramente
utilitaristico, non potremo mai fare sfoggio di tale perfezione se saremo gli
unici a conoscerla.
È necessario guardare Il trono di spade. Anche se è
"mainstream". Soprattutto perché è "mainstream". La cultura
di massa è cultura generale ed entrambe sono, sempre e comunque, cultura: una
comunità molto allargata che comunica con un codice linguistico fatto di
citazioni. Come possiamo approcciarci a essa se alla frase Valar morghulis
non sappiamo come rispondere?
Accanimento anti cultura di massa
Chiunque si rifiuti di adattarsi o anche solo di sforzarsi ad apprendere
la cultura mainstream, si sta auto-escludendo da una componente fondamentale
della vita sociale e comunitaria.
Questo vale ancora più per tutti i professionisti della comunicazione, che
hanno il dovere di inserirsi nelle dinamiche e logiche contemporanee, senza ostentare
- o per lo meno senza farlo eccessivamente - culture e glorie passate.
Mi permetto di parlare di questo argomento proprio perché anche io
appartenevo, fino a poco tempo fa, a questa categoria di anti-mainstreaminsti
accaniti. Nel caso di Game of Thrones, mi trovavo circondata da post sui social
network, da citazioni, da discussioni su un mondo che non conoscevo e che mi
ero, fino ad allora, rifiutata di conoscere. Quando ho avuto la possibilità di
iniziare la serie, l'ho fatto alla maniera in cui uno studente di psicologia
accetta di dover dare un esame di statistica; ma indovinate un po’? Mi è
piaciuto. Non che avessi capito qualcosa di cosa accade al primo episodio; però
sono andata avanti e in tre settimane ho consumato le sette stagioni uscite fino
a oggi.
In fondo, come ho detto prima, se un generico qualcosa conquista
milioni di fan in tutto il mondo, un motivo ci sarà.
Il trono di spade
Vi invito allora a procedere con la lettura della saga dello scrittore
americano George R. R. Martin, Cronache del ghiaccio e del fuoco, da cui
è tratta la serie. Se però la prospettiva di leggervi cinque romanzi senza
arrivare a una conclusione non vi alletta troppo, sappiate che è molto più
probabile che il procedere della serie televisiva svelerà il finale in anticipo.
A quanto pare, infatti, l'autore continua a posticipare una possibile data di
pubblicazione del nuovo volume della saga, che sarà intitolato The
winds of winter (I venti dell'inverno, Ndr) e non sarà nemmeno
l'ultimo; mentre è notizia di pochi giorni fa che la HBO, casa di produzione
della serie televisiva britannica, ha previsto la conclusione della serie in
una ottava stagione di soli sei episodi... nel 2019.
Veronica
Rosazza Prin
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1 commento:
Pur non condividendo l'entusiasmo sulla serie (ho provato a guardarla, ma dopo un episodio intero e qualche episodio a metà mi sono dovuta arrendere all'evidenza: mi annoia, molto più dei romanzi dai quali è tratta), trovo che la tua riflessione sia uno spunto interessante. Non si può giudicare qualcosa che non si conosce e non si può decidere a priori se ci piacerà o meno a seconda di quanto successo abbia, sia che questo successo basti a farci urlare al capolavoro, sia che ci faccia storcere il naso perché ci riteniamo superiori al pubblico più vasto. Per entrare, anche in maniera oppositiva, nel dialogo è prima di ogni altra cosa necessario sapere di cosa si sta parlando; solo dopo diventa importante se ne parliamo "bene", con gli occhi che brillano e il fiato sospeso per le sorti di Westeros, o "male", con sfrenate invettive contro ogni casata e la (discutibile, a mio parere) scelta di Martin di discostare saga letteraria e saga televisiva.
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