Potrà
sembrare inappropriato il modo in cui tratterò il tema del rapporto tra
informazione, veridicità e affidabilità delle fonti. Vorrei farlo parlando di
due figure della storia: Saffo e Henri Laborit.
Apparentemente
distanti, sia nella professione che cronologicamente. Entrambe queste figure,
nella loro vita, sono fuggite dalla realtà; chi per amore chi per analizzare in
modo scientifico e biologico la realtà dell’amore. Entrambi, altresì, sono
giunti alla considerazione che il loro amare, nonostante abbiano amato, era in
realtà un’illusione destinata a rimanere pura immaginazione. Partendo
dall’analisi di frammenti delle poesie di Saffo ed arrivando all’ Elogio della Fuga
di Laborit, potremo dipanare questa intricata matassa e dimostrare come la
libertà di informazione sia strettamente legata alla sincerità delle nostre
affermazioni e certezze verso noi stessi e
verso l’atteggiamento di ricerca che operiamo, o per vederle convalidate
o per metterle alla prova.
La
prima qualità che accomuna le due figure è la conoscenza della società e dei
suoi meccanismi gerarchici. Saffo nel suo mestiere di insegnante, arricchiva le
parole e le materie con l’arte; non solo l’arte della musica ma anche l’arte di
innamorare a se le ragazze della scuola- farle innamorare all’idea della
scoperta, alla ricerca di se stesse e dell’essere donna. Era un’educazione
aulica ma non per questo esente dalla componente fisica. La veridicità del
rapporto passava dalla copresenza degli interlocutori e dalla messa in atto del
desiderio di conoscenza. La fisicità si univa all’immaginazione e da lì ne
scaturivano fatti; indipendentemente dalla sincerità motivazionale della parola
“amore”. La gerarchia ‘passava’ attraverso la danza; erano tutte importanti le ragazze
ma una di loro dominava sulle altre agli occhi della poetessa. Cos’è l’amore
per la verità se non la ricerca e il dovere di approvazione sociale? l’amore
del giornalista per il proprio mestiere, non ha con sé anche la volontà di
essere ascoltato e ritenuto più credibile o, a seconda dei casi, più convincete
di altri colleghi? Non a caso l’amore, sia nell’abbondanza che nella mancanza, porta
con sé due prototipi di essere umano; colui che accetta la sottomissione perché
non ha i giusti strumenti interni a sovvenire al carico di pressioni sociali e
colui che rifiuta la sottomissione e che quindi, con un cuore più temprato o meno sviluppato all’empatia, riesce a costruire
un impero di odio o di sopraffazione. Quindi,
l’essere umano ha poi bisogno dell’amore? Probabilmente ha bisogno di illudersi
di amare e di essere riconosciuto e apprezzato; è quando questo bisogno diventa
eccessivo che si sviluppano realtà minacciose. Il possesso che nasce dall’illusione
di detenere la verità e peggio ancora di detenere una persona come oggetto di
benessere personale, dimenticando che quella persona non è un oggetto e che
tantomeno si può pretendere di ridurre una persona ad un fatto descritto.
Ci
hanno abituati a cercare la verità o a darcela preconfezionata attraverso religioni,
che puntualmente si smentiscono agli occhi più attenti e meno taciturni. Se la
verità è Dio, cristiano, buddista o islamico; se la verità è di Dio, perché vogliamo
incarnare la verità? In realtà cerchiamo menzogne, quelle meno smascherabili da
noi stessi e magari più accettate dalla moltitudine sociale.
Laborit
spiega in modo appassionato e
commovente, come l’amore sia la ricerca dell’appagamento e della dominanza. Il biologo
sostiene di essere d’accordo con chi pensa che appagamento sessuale e
immaginazione amorosa siano due cose diverse e che non abbiamo nessuna ragione a
priori di dipendere l’una dall’altra. Quindi non per forza il o la patner sessuale
è la persona amata, nell’immaginario. Proviamo a tornare al concetto di realtà
e verità. Se Dio è verità e realtà imperitura è altresì vero che non ci
appartiene e che nulla ci da la certezza di essere, una volta morti, ripagati
da questo buon uomo ‘anziano’ per aver rispettato la sua parola.
La
vita è una rincorsa continua alla ricerca di se stessi e della propria verità;
c’è una frase che spesso sentiamo ripetere “non si finisce mai di imparare”.
Ecco, toglierei “imparare” e aggiungerei
“conoscersi”. L’azione, seppur passiva, di imparare presuppone l’educazione e
quest’ultima è sempre attinente alla
sfera socioculturale di appetenza. L’educazione è la prima trappola inibitoria
dell’essere umano. L’esperienza, quindi, può essere ripetuta se risulta dall’azione
appagate, ovvero se viene considerata ed appresa come miglior via di fuga dalla
realtà. Il giornalista diventa un artista nel momento in cui scrive; sia per lo
stile personale che lo contraddistingue sia perché, attraverso la sua visione
soggettiva, riesce a riportare i fatti nudi e crudi pur viziandoli in
quell’accattivante non detto. Il fatto c’è ed è scritto nero su bianco ma
l’intento non c’è, è solo percettibile; in
sostanza un buon giornalista è come un buon corteggiatore sa farsi apprezzare
anche dai suoi rivali.
L’amore
è il nostro nemico maggiore ed è proprio
colui che ricerchiamo; è stato viziato nei secoli, da educazioni forvianti; è
stato decostruito e riproposto agli occhi di noi bambini, nel blu e nel rosa.
Siamo
come delle bestie da allevare secondo il Luogo di nascita; siamo destinate a
non uscire dal gregge se non per ribellione e quindi per emarginazione sociale
verso la conquista di un nuovo territorio in cui esistere, scoprirsi,
realizzarsi a modo proprio. Siamo in costante fuga ; troppo in fuga da noi
stessi e troppo poco dal mondo. Ritrovare quel senso di conservazione della
struttura biologica e delle sue pulsioni naturali che non rispondo al genere sociale di appartenenza ma al genere
biologico di quella data femmina e di quel dato maschio; che non per forza
ameranno o ricercheranno attenzione da persone del genere opposto. Così i
giornali infarciti di dichiarazioni dei politici sull’amore per la patria o
sull’amore per il sociale e le cause civili. E’ una maschera meno scomoda e
forse, in certi casi, utili al fine di migliore le situazioni sociali. L’amore
è l’arte suprema del politico e la chiave di violino del giornalista; saper
parlare con amore, con tono aulico e patriottico o con tono di vendetta e di distacco.
La ricerca di vivere per una passione esterna che materializzi i desideri
interni; amare l’ambiente per evitare di amare l’umanità oppure amare l’umanità
attraverso l’ambiente. Esistere ma celarsi corteggiando il sé al proprio
istinto. Tutto questo è amore, se non cura; cattiva agli occhi di alcuni, utile
e giusta agli occhi di altri. E siccome Dio non è sceso dalle nuvole o per
vecchiaia o per stanchezza; nessuna delle due fazioni ha il coltello dalla
parte del manico, oserei dire che nessuna delle due ha il coltello. Siamo noi
che scegliamo a quale storia uniformarci a quale credere ed a quale credere di
non uniformarci. La consapevolezza dell’infelicità non è altro che una spinta
propulsiva a cercare di fare meglio, ogni giorno, il proprio mestiere. Siamo
tutti artisti e quelli più in vista, come i giornalisti, essendo questi ultimi più
vicini al potere, dovrebbero ricercare l’amore del vero, ribellandosi tra le
righe di un articolo, sapendo che quello che scrivono resterà imperituro su quel
foglio e reperibile sulla rete; e quel foglio stesso, più della rete, se
resterà attuale nei secoli - non per contenuto ma per validità espressiva -
sarà l’opera più utile e veritiera che abbiano creato. Leggendo Saffo, indipendentemente
dalle proprie preferenze sessuali o di
cuore -ed è questo che la poetessa ha cercato di trasmettere- si prova un senso
di sicurezza, forse dato dalla frammentarietà; quello stare bene e sentirsi
comprese da una donna vissuta centinaia di anni fa; quelle frasi mozze parlano
di quell’amore che è umano e che nella
menzogna è veritiero ed è carne; in quella sofferenza empatica e consapevole
potremo prendere il suo cuore e portarlo
lontano dove nessuno ci conosce, dove il tempo non esiste, dove potremmo
incontrarci senza età e ricordi, senza passato. Infondo Laborit ha dichiarato di aver ricevuto più cose dai suoi simili attraverso
i libri che attraverso le stette di mano in quanto nei libri esiste il
prolungamento delle persone. Informare
è un po’ come tornare dei Narciso, confidenti nelle proprie qualità, volti alla
sopravvivenza, senza odio né violenza verbale; accettando che umanamente non
siamo padroni nemmeno di noi stessi e che tutto è in divenire; l’unica cosa che
resterà alla fine e potrà fare a meno del tempo e dello spazio, anche in uno
scritto giornalistico è quell’espressione che ci ritrae come un pittore che
distrattamente, sulla tela, ha dimenticato di incidere le sue iniziali.
Federica
Frasconi
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