Il lavoro di Anthony O. Scott, giornalista a capo della sezione critica del New York Times, si apre su questi interrogativi. La ricerca della risposta passa tanto dalla rievocazione di episodi vissuti in prima persona dall’autore, quanto dall’analisi di fatti storici o di attualità in qualche modo legati all’ambito dell’arte e, quindi, della critica. Scott ritiene infatti che arte e critica intrattengano tra loro un rapporto tanto complicato quanto inestinguibile: all’apparenza opposte l’una all’altra, vivono in realtà in simbiosi, come due diverse facce di una stessa medaglia.
La trattazione tocca ancora diversi punti rilevanti, in particolare la percezione pubblica del critico come di qualcuno che svolge un non-lavoro, che vive di una attività che “potrebbe fare chiunque” e perciò inutile – indubbiamente un altro punto in comune con l’arte contemporanea. Non solo, un intero capitolo è dedicato all’errore, alla fallibilità del critico, come chiunque esposto al rischio di sbagliare, di sottovalutare o non cogliere il reale valore di un’opera. Anzi, il critico più di chiunque corre il rischio di essere smentito dal passare del tempo, a causa di punto di vista troppo ravvicinato, che può celare potenzialità o far luccicare cose che oro non sono.
Il saggio richiede una lettura attenta e una grande attenzione per districarsi nella giungla di nomi (artisti, critici, opere) che lo popolano, ma risulta piacevole grazie al sottile umorismo dell’autore, che riesce a snocciolare conoscenze colte e pop in una vertiginosa alternanza, senza mai risultare arrogante o spocchioso. L’importante è non fare l’errore di credere che si arriverà in fondo con delle risposte -alcune di sicuro non mancheranno, ma il lascito più importante di questa lettura sono le domande. Non è infatti casuale la scelta di alternare capitoli argomentativi e capitoli strutturati come un dialogo, con una voce intervistante che diventa sempre più stringente. È a questa sorta di voce narrante che viene affidato il compito di “fare il punto della situazione”, di sottolineare cosa è emerso nel tratteggiare essenza e compiti della critica, ma allo stesso tempo di puntare il dito contro gli aspetti ancora nebulosi e non chiariti. Un esempio lampante di questo doppio ruolo e, allo stesso tempo, dell’approccio dell’autore alla definizione della critica è l’incipit del capitolo conclusivo:
“D: Hai detto parecchie cose a proposito della critica – che è una forma d’arte a sé stante; che esiste per esaltare le altre forme artistiche; che è un’attività impossibile; che è vitale e necessaria all’umanità per riuscire a comprendersi; che non potrà mai morire; che è in continuo pericolo di estinzione – e, in maniera più diffusa, hai anche parlato di cosa non è la critica.[…] Ma, a essere sinceri, non sono tuttora sicuro di sapere cosa sia la critica, a meno che non la si intenda come qualsiasi cosa faccia un critico. E in tal caso, cos’è un critico?
R: hai messo il dito nella piaga! La critica è al contempo paradossale e tautologica. È qualunque cosa faccia un critico: tenendo presente che un critico è chiunque, in un dato momento, stia esercitando la critica.”
Anthony O. Scott
Elogio della critica. Imparare a comprendere l’arte, riconoscere la bellezza e sopravvivere al mondo contemporaneo
Il Saggiatore, Milano 2017, pp. 255.
Nessun commento:
Posta un commento