Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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11 aprile 2010

Il reale che, irreale, muove

Leggo quasi sempre con le cuffie alle orecchie, ma perché questa volta le lacrime agli occhi? Certo, la musica amplifica le emozioni; certo la notizia era effettivamente emozionante: l’incidente aereo che ha distrutto la dirigenza polacca. Sono morti il presidente Lech Kaczynski, il capo di stato maggiore e il governatore della banca centrale, il viceministro degli Esteri e altri tredici ministri, l'ex presidente Ryszard Kaczorowski e alcuni deputati, il candidato conservatore alle prossime presidenziali e il vescovo cappellano dell'esercito. Erano in 88 della delegazione e 8 dell’equipaggio, tutti sullo stesso aereo che stava atterrando sul suolo russo. Perché mi ha colpito, commosso? Ma lacrime strane, come estranee: non quelle del patriottismo italiano o snobismo occidentale (è brutto ma lo scrivo: sono lacrime diverse quelle del terremoto d’Abruzzo rispetto a quello di Haiti, sono emozioni diverse quelle attese dopo gli attentati di New York, Madrid e Londra rispetto a quelli possibili e perduri in Sud America). Perché? Perché per la Polonia è accaduto altro ancora, inedito? Una tragedia aerea è sempre un “che cosa” interessante, una foresta nebbiosa è sempre un “dove” inquietante. Il “chi” si è saputo in un attimo, un battito e il lutto, mentre il “perché” ancora no. Il “quando” è lo stesso inizio aprile del tanto temuto e taciuto massacro di Katyn del 1940. Rispondere alle cinque w non risponde alla mia domanda però: perché mi ha colpito, commosso e così? Ho cercato di parlarne con amici e nessuno è sembrato avvinto quanto me; ho provato a cercare delle analisi e nessuno è sembrato attratto quanto me. Perché? Non mi sono mai interessato alla Polonia, non sono mai stato a Varsavia o Cracovia. Non sapevo nulla di più di quanto non sapessero tutti dei flagelli del Novecento e dei gemelli di questo momento. La mia emozione credo sia tutta dovuta all’irrealtà di questa realtà. Non quella urlata che mi fa esclamare “ma perché sono andati tutti con lo stesso aereo?”, ma l’irrealtà intima che mi fa sussurrare cose senza senso e che mi fa, ancora più intimamente, pensare a un romanzo: che tutto sia letteratura. La Polonia con la sua storia si presta a questa protesta: è tutto irreale, letterale? Le sue spartizioni e le sue sottomissioni, le indipendenze e le insurrezioni, le guerre mondiali e i regimi comunisti, per non parlare di Wojtyla. Tutto ciò è l’accaduto, il “successo” del tempo complesso. Per l’Italia o per la Francia e l’Inghilterra (nazioni da sempre, fuori e dentro noi) si chiamerebbe, se non “nostra vita”, comunque “nostra storia”, per la Polonia (certo meno di Haiti e Cile per esempio) non è né vita né storia: forse un libro. Ho trovato la via di mezzo tra le lacrime partecipi, preziose e personali delle nostre storie e le lacrime languide, leziose e lontane delle altrui storie: sono quelle del lettore? Ecco perché quando ho letto, con le cuffie alle orecchie e le gocce agli occhi, della Polonia mi sono commosso: stavo leggendo un libro. Non una storia lontana mari e monti, ma nemmeno la storia dei miei luoghi; solo un libro. L’irrealtà di certa realtà. Credo sia sbagliato e squallido tutto questo, forse anche cercare di capirci qualcosa, del resto. Forse no. Con sincerità.
Alessandro Ferraro

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