Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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22 gennaio 2013

Lo spazio cibernetico conquista il potere


Festeggiano tutti coloro che propongono la rete come strumento con cui affrontare le complesse questioni internazionali. Lo spazio cibernetico assurge al rango di fonte d’informazione, a tutti gli effetti, tanto che il Congresso appronta una sezione di ricerca adibita alla diplomazia digitale per studiare come cambiano i rapporti tra Stati attraverso l’uso dei social media.
L’inaugurazione della prima ambasciata solo su web risale al 2011 e batte bandiera americana.
Le motivazioni di questa scelta affondano le radici anche da un caso internazionale che aveva visti coinvolti, nel 1979, un gruppo di studenti rivoluzionari iraniani e l’ambasciata USA a Teheran.
Il 4 novembre 1979 inizia il calvario di una cinquantina di funzionari americani presi in ostaggio per più di un anno suscitando lo scandalo e il successivo raffreddamento dei rapporti bilaterali tra i due Paesi.
Un altro caso significativo riguarda la visita del Presidente Obama in Indonesia e le reazioni raccolte su Facebook dell’Ambasciata americana (dati dicembre 2011): 1500 messaggi di benvenuto, più di 500 partecipanti ai quiz sugli Stati americani, 470.000 fan.
Così Deruda, in Diplomazia digitale. La politica estera e i social media, ci presenta uno degli esempi più riusciti di social network come strumento di politica estera.
A colpire non sono solo i dati quantitativa ma il feedback della popolazione, soprattutto giovanile, su temi d’intrattenimento e/o culturali come sport, musica, cultura e istruzione.
Altri fattori hanno concorso a giocare un esito positivo, si parla anche del “fattore Obama”, ma la centralità dell’aspetto comunicativo dei diplomatici, oltre che il procedere di dinamiche comunicative e l’evoluzione dei processi decisionali, si compenetrano certamente con gli elementi di partecipazione e condivisione tipici del web 2.0 aumentando il gap positivo registrato in termini di successo.
Il caso indonesiano è emblematico ed è preso ad esempio tra quanti pensano che il futuro sviluppo della diplomazia digitale vada nel senso della valorizzazione delle idee che, partendo dal basso, diventano materiale su cui le istituzioni organizzative elaborano nuove strategie d’interesse pubblico.
L’Huffington Post, il media online più influente USA, sempre nel 2011 pubblica un articolo in cui canta le gesta portentose del Web applicato alla geopolitica non tanto da parte del Presidente Obama, portato al potere si dice dall’onda gigantesca che ha creato grazie ai social network, ma da Hillary Clinton che si converte a questo straordinario canale comunicativo per presentare e adempiere alle iniziative dell’agenda del Dipartimento di Stato.
Deruda sembra certo che l’attuale alleanza strategica tra il potere politico, rappresentato da Washington, con la capitale di internet e dei social media stanziata a San Francisco sia una solida base su cui poggia la diplomazia digitale americana per ora indiscussa.
Quali saranno i possibili scenari risulta difficile da prevedere anche perché gli altri Paesi stanno rapidamente cercando di scalzare l’influenza mediatica americana.
Così vecchi e nuovi protagonisti dello scacchiere internazionale puntano risorse ed energie sulla comunicazione online e sull’interscambio coi cittadini attraverso la partecipazione virtuale.
L’opinione pubblica internazionale viene coinvolta per interessi diversificati che vanno dai consumi agli orientamenti bellici alla creazione di identità nazionali propri e di altri Paesi.
Un altro esempio di Deruda riguarda i differenti messaggi che la Corea del Nord e del Sud propongono rispettivamente ai “cugini”. La comunicazione della Corea del Nord è più diretta alle questioni politiche e militari mentre quella del Sud punta sullo sviluppo sostenibile e culturale: l’innovazione, l’economia, il turismo.
L’imperativo riguarda tutti gli Stati presenti nell’arena della competizione: convincere il vasto pubblico e non più solo la platea consolidata degli esperti che si occupano di affari internazionali.
Al momento l’avvento di internet nelle dinamiche comunicative, seppur innovativa e del tutto strabiliante, sembra riguardare soprattutto l’aspetto informativo della comunicazione dall’alto verso il basso ma in molti c’è la speranza che possa trasformarsi e migrare dall’attuale concetto di “soft power” a quello di  “cyber-utopismo”.
La differenza non sfugge ai più smaliziati e spesso cinici operatori dell’informazione.
Infatti se circola indistinta una qualche generica aspirazione alla diffusione globale dei diritti umani molti vedono in essa una retorica, come l’autore stesso, piuttosto che l’identificazione di una forma filosofica contemporanea.
Discorso ben diverso dalla rete di rapporti tra gli Stati e l’opinione pubblica internazionale coinvolti in scenari sempre più ampi che valicano i confini nazionali dell’informazione.
Il “soft power” rappresenta infatti un ecosistema in cui la nuova figura di diplomatico si inserisce per monitorare l’opinione pubblica e diversificare i messaggi secondo differenti pubblici di riferimento.
L’intento non è la democrazia ma la logica del mercato globalizzato del consenso.
Liana Pisanu
 
 
Antonio Deruda
Diplomazia digitale. La politica estera e i social media
Milano, Apogeo, 2012, 240 pp.
 
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