Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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18 novembre 2017

Cos’è il giornalismo, oggi?




È questa la domanda a cui i professionisti intervenuti al Glocal di Varese 2017 hanno cercato di dare una risposta, quest’anno. E di ritorno da una delle più importanti iniziative giornalistiche italiane, proviamo a fare un riassunto delle tematiche che sono state affrontate.

Che il settore del giornalismo sia cambiato è indubbio: che ci si sia allontanati dal giornalismo classico, anche. Si ha l’impressione che ci sia stata un’accelerazione improvvisa che nessuno si aspettava. Il problema del tempo è fondamentale: la rapidità e la facilità della condivisione hanno provocato una modifica importante nel rapporto tra giornalismo e lettori, perché al di là della fortuita casualità, è pressochè impossibile che un reporter si trovi sul luogo della notizia prima della persona che vive lì, ad esempio, o che lavora nel palazzo di fronte, o che passa per quella strada ogni giorno, e che ha a disposizione uno smartphone con cui fare un video. Nell’arco di pochi secondi, la notizia è online: spesso, la notizia è online in diretta. E il giornalismo rimane indietro. Ma il tempo influisce sull’attività giornalistica anche in un altro modo: le persone oggi digitano le proprie domande, e Google ha abituato il suo pubblico ad una risposta immediata. Nessuno attende i giornali del mattino, nessuno attende più nemmeno i telegiornali della sera: e così i giornalisti per rimanere sul “pezzo”, hanno smesso di approfondire gli argomenti, e invece di portare a sé il progresso, e dunque i lettori, gli sono andati incontro, senza modificare il mezzo, ma spostandolo così com’era sulla piattaforma online.

È dunque internet il nemico del giornalismo? Internet ha introdotto mezzi nuovi, a cui i media hanno opposto resistenza, proprio come le grandi testate avevano opposto resistenza alla televisione negli anni cinquanta del novecento. Non conoscere internet e i suoi algoritmi significa divenirne vittime, certo: sono mezzi straordinari, che bisogna saper usare in relazione al proprio apporto personale, e non certo a discapito dello stesso. Istruendoli a lavorare per noi, non a sottometterci. Ma cos’è un algoritmo, nella pratica? Un codice, che ci permette di creare un BOT virtuale: in sostanza un’intelligenza artificiale che è in grado di operare al posto del redattore stesso, facendo più rapidamente lavori che abitualmente erano considerati manuali, per esempio una traduzione, o una ricerca dati. La rapidità di internet viene accusata di aver compromesso quello che definiamo slow journalism, il giornalismo lento, della ricerca e della qualità: ma in verità (e ne abbiamo numerosissimi esempi, a partire dal docu-film “Un unico destino” prodotto da L’Espresso, Repubblica e 42° parallelo) questo esiste ancora, e quel nuovo grande media che è internet può aiutarlo a migliorarsi, trasmettendo un messaggio alle persone con una nuova straordinaria modalità: il video, la diretta, la testimonianza visiva di coloro che erano presenti.

Quali sono, appurato questo, i due grossi problemi che permangono?

  1. La carta stampata mantiene la sua nomea di “informatore affidabile”, ma le persone sono meno disposte a pagare per avere una notizia, perché sanno di poterne disporre “gratis” sulla rete;
  2. La privacy diventa un lusso che nessuno si può permettere.
Le conseguenze sono la nascita del brand journalism ovvero di quel giornalismo che assume la funzione di “influencer” pagato, per cui in sostanza un giornalista diventa impiegato di un’azienda, per la quale fa comunicazione pubblicitaria; e l’assenza totale di intimità, nella vita di tutti i giorni: il discorso sulla privacy è spesso sottovalutato dal pubblico, banalmente perché non è a conoscenza di quanto effettivamente sia controllato. Non solo tramite il cellulare o il pc: le telecamere, gli elettrodomestici intelligenti, le carte di credito, le tessere fedeltà… il progresso ha reso più liberi ma la libertà, paradossalmente, rischia di rendere il mondo schiavo delle grandi compagnie, quelle che hanno accumulato così tanti “numeri” da fare ormai parte di ogni ambito della vita professionale e personale di ognuno, sconvolgendo così anche il mondo dei media. Primi fra tutti, naturalmente, Google e Facebook (ma anche Amazon e Netflix).
In conclusione: il giornalismo è cambiato, è in continua evoluzione, perché è una materia sociale che viaggia di pari passo con le persone, non solo con quelle che la fanno, ma anche con quelle che ne divengono parte. La figura del giornalista è nuova: si è giornalisti senza giornale, senza scrivania, è necessario tornare indietro, scendere per strada a parlare con la gente, ma farlo con gli strumenti del presente, imparando a governarli. Bisogna costruirsela, la “cassetta degli attrezzi”: sviluppare una propria attenta capacità critica e pensare, riflettere, senza rifiutare il progresso, ma imparando a interpretare questa nuova realtà senza tentare di farlo con griglie passate che non possono dare alcun buon risultato.
Micaela Ferraro

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