Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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25 maggio 2018

Tracciare confini




“Di confini non ne ho mai visto uno. Ma ho sentito che esistono nella mente di alcune persone”. Questa citazione attribuita all’esploratore norvegese Thor Heyerdhal si sposa in maniera eccellente con la questione etica affrontata da Marco Binotto, Marco Bruno e Valeria Lai nel libro Tracciare confini. L’immigrazione nei media italiani (edito da Franco Angeli, 2016). Confini che vengono subdolamente tracciati dai mezzi di comunicazione di massa, nel tentativo di descrivere i fenomeni migratori nel nostro paese. Confini che inibiscono la capacità del lettore di comprendere compiutamente le dinamiche dei processi migratori. Confini che dividono noi da loro. Gli autori propongono alcuni spunti di riflessione attraverso, tra gli altri, varie indagini da loro condotte tra il 2008 e il 2012 sulle principali testate di informazione italiane, con l’obiettivo di fare chiarezza sui problemi scatenati dalla rappresentazione pubblica dei fenomeni migratori. Il risultato è un testo chiaro e interessante, decisamente utile per comprendere gli effetti di una comunicazione ambigua.
I media vestono un ruolo da protagonista nella rappresentazione dei fenomeni migratori, incidono sull’agenda politica e verso le opinioni dei cittadini. L’approccio giornalistico al tema immigrazione, però, non considera quei valori di obiettività propri del codice deontologico che sono necessari per un’informazione neutra. Attraverso un uso della lingua colmo di metafore, icone e simboli, attraverso una gerarchizzazione e una selezione mirata delle notizie, i media italiani offrono un’immagine deviata del fenomeno in questione che viene puntualmente sfruttata da una politica interessata a porre sempre nuove questioni in agenda. Rappresentazione sociale dell’alterità che si contrappone a una rappresentazione sociale della realtà, per usare due termini presenti nel volume. La tendenza dei media è quella di offrire un’immagine alterata nelle forme e nelle dimensioni, concentrandosi sui dettagli negativi del fenomeno. Questo porta ad avere un’immagine immobile, “un fotogramma fermo da quasi quaranta anni su un fenomeno in perenne movimento”. Gli autori ci mostrano come il giornalismo italiano si sia dedicato quasi esclusivamente alla parte problematica, quella “legata al vocabolario del delitto, alle sue emozioni e ai suoi dolori, al terrore di essere invasi e al timore del degrado”; questo ha portato all’inevitabile risultato dell’immigrazione vista come “problema da risolvere”. Analizzando le notizie dei vari siti d’informazione è evidente come il termine immigrazione sia troppo spesso affiancato a fatti violenti: il crimine dell’immigrato fa notizia. Come possiamo allora avere una buona informazione, se la cronaca tralascia alcuni aspetti delle vicende e si concentra solo su quelli negativi?
Altra riflessione che vien spontanea riguarda l’integrazione dello “straniero”. I processi sociali e culturali necessari per formare uno spirito collettivo di inclusione trovano numerosi ostacoli, non avverranno mai completamente finché non cambia l’opinione pubblica riguardo il fenomeno dell’immigrazione. Il problema fondamentale è proprio questo: in Italia non potrà esserci un’idea positiva di integrazione nell’assetto culturale del paese se non mutano le modalità di comunicazione. La prassi giornalistica comune è quella di descrivere lo straniero come una minaccia per l’economia, per la sicurezza, per lo status di società civile; questo anche a causa di violazioni deontologiche ricorrenti: manipolazione di dati, utilizzo senza troppe distinzioni di termini come “extracomunitario” o “rifugiato”, sovra-rappresentanza della “devianza immigrata”. Le analisi degli autori parlano chiaro: l’immagine dell’immigrato è associata a quella del criminale, e questo non può che ostacolare il processo di integrazione. Processo che può nascere solo con una conoscenza più approfondita della questione, che presti attenzione anche alle dinamiche e ai dettagli che si nascondono dietro la superficiale e distorta immagine che viene proposta dai media. Siamo di fronte ad un problema di comunicazione, piuttosto che di immigrazione.
Il lavoro proposto da Binotto, Lai e Bruno in questo volume suona come un j’accuse rivolto ai giornalisti e, più in generale, a tutti i mezzi di comunicazione di massa. Le routine giornalistiche, le dinamiche della cultura professionale, la competizione tra testate, le relazioni con le fonti (soprattutto nella cronaca nera), sono solo alcuni degli aspetti che incidono negativamente sul lavoro dei giornalisti, e questo non può che gravare la condizione di trasparenza che l’informazione dovrebbe avere. Non è, quindi, un’accusa di complotto verso i giornalisti, ma solo un’analisi su come le dinamiche di creazione delle notizie portino i media a plasmare una realtà distorta. Per risolvere questi problemi di ricostruzione di una pseudo-realtà, gli autori propongono una soluzione tanto semplice da sviluppare quanto difficile da mettere in atto: ci vuole maggiore responsabilità. Uno spirito di cronaca responsabile da parte dei media, da una parte, e una visione critica delle notizie, da parte dei lettori, dall’altra. Viviamo in un mondo sempre più interconnesso, che ci offre grandissime possibilità di conoscenza, ma non riusciamo a sfruttare completamente queste opportunità per migliorare qualitativamente i contenuti dell’informazione. Piuttosto che incrementare la quantità di notizie, i media dovrebbero soffermarsi a raccogliere più dati e dettagli possibili per offrire una visione più accurata delle vicende che vogliono raccontare. Non è sicuramente semplice, ma questo potrebbe facilitare uno sviluppo culturale e, di conseguenza, un’apertura ideologica dell’opinione pubblica verso il tema dell’immigrazione. Forse, così facendo, il concetto di integrazione, prima o poi, entrerà a far parte dell’assetto culturale del nostro paese. Forse, quel giorno, non vi saranno più confini a dividere noi da loro.
Gerardo Baldassarre



Marco Binotto, Marco Bruno, Valeria Lai
Tracciare confini. L’immigrazione nei media italiani
Franco Angeli, Milano 2016

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