Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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31 luglio 2019

In libreria

Silvana Turzio
Il fotoromanzo. Metamorfosi delle storie lacrimevoli
Meltemi, Milano, 2019, pp. 216.
Descrizione
Che cosa ha significato il fotoromanzo per la cultura italiana? Cosa ne ha determinato l‘impressionante successo nel corso degli anni Cinquanta? Superando l’idea di un prodotto subculturale in cui si narrano solo banali storie d’amore a lieto fine, Silvana Turzio ripercorre l’evoluzione di questo genere, di fama ambivalente, indagandone i rapporti con il cinema e la letteratura “popolare” (dal rosa al giallo), ma non solo. Scopriamo infine che il fotoromanzo è stato un genere anche politico e di controinformazione. Arricchito da un prezioso apparato fotografico, questo viaggio nelle “storie lacrimevoli” è la più completa ricostruzione di un genere, fondamentale per portare uno sguardo più contemporaneo sulla cultura visiva popolare.

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18 luglio 2019

Il cambiamento “normale” del giornalismo



Sergio Splendore è un docente di Communication Research e Sociologia della comunicazione all’Università degli Studi di Milano e visiting professor all’Ècole de Journalisme de Grenoble. Nel seguente libro si occupa di come cambia il mondo del giornalismo. Le nuove tecnologie hanno portato alla mutazione del modo di fare informazione e degli strumenti utilizzati. Tutto questo viene definito “ecologia dei media”. Ciò ha comportato un cambiamento anche nel lavoro del giornalista, che si distacca inevitabilmente dalle modalità “tradizionali”.
La trasformazione avviene soprattutto a partire dagli anni 2000. Infatti l’autore riporta come avvenimento divisorio, tra la “vecchia” tradizione e le nuove modalità, il discorso di R. Murdoch del 2005. Le parole dell’imprenditore americano vanno dritte al punto: i giornalisti inizialmente disprezzavano il web ma, furono costretti ad adeguarsi ed avvicinarsi alle nuove tecnologie quando tutto il mondo iniziò a farlo. Splendore vuole far capire, partendo da queste parole, come il “vecchio” mondo non esisteva più ma l’idea positiva del giornalismo digitale non fu immediata, almeno non ovunque.
Ma cosa cambia nel legame tra cittadino e mondo dell’informazione? Il ruolo del lettore assume un’importanza differente perché attraverso i social media può partecipare quando vuole e comunicare ciò che vuole. Chi legge non è passivo ma può intervenire, commentare, dando visioni differenti e spesso offrendo fonti al giornalista. Questo tipo di giornalismo è definito “partecipativo” perché il mondo del web, rispetto alla carta stampata, può essere interattivo. Il problema di tutto questo è che non si hanno limitazioni e non tutti quelli che scrivono online hanno un “filtro morale”.
Ruolo nuovo e fondamentale è quello dell’uso dei dati e di algoritmi. Questi servono al giornalista per distribuire al meglio le notizie e per garantirsi una diffusione massima dell’informazione. Tutto questo si denota come “indicizzazione” dei motori di ricerca.
Splendore evidenzia come il punto di forza del giornalismo online sia l’eliminazione dei limiti temporali e fisici per la scrittura di un articolo. Questa è la grande differenza tra la carta e lo schermo. La mancanza di barriere offre maggiori possibilità e un flusso di notizie continuo. Il lettore può essere sempre informato e il giornalista può sempre informare.
Innovazione dell’autore è la considerazione “normale” di questo processo Le sue riflessioni non esprimono nessun giudizio negativo tra ciò che è stato e ciò che è ma vengono unicamente esposte le differenze. Questa trasformazione è sinonimo di normalità e soprattutto di utilità.
Il libro si occupa del giornalismo italiano, spesso confrontandolo con quello anglosassone. In Italia i tratti distintivi, che si differenziano dal mondo inglese, sono sempre uguali: il legame con la politica, la mancanza di obiettività e la presenza invasiva del commento. Questo evidenzia che il cambiamento ha mutato il contenitore ma non la tradizione del contenuto. L’autore espone anche la difficile e lenta adozione delle nuove tecnologie da parte dei giornalisti italiani, che tuttora si trovano arretrati rispetto ad altri.
Splendore propone una riflessione positiva ed esaustiva dell’ambito del giornalismo che, come molti altri, è cambiato, stando al passo con i tempi. Il giornalismo muta e si trasforma ma non cessa la sua natura.
Alessia Lancini

Sergio Splendore 
Giornalismo ibrido. Come cambia la cultura giornalistica italiana 
Carocci, Roma, 2017, pp. 144.

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17 luglio 2019

Mafia onnipresente



Attilio Bolzoni è un giornalista nato nel settembre del 1955 in una provincia della Lombardia, esattamente a Santo Stefano di Lodigiano. Intraprende la carriera di giornalista dal 1983 e scrive cronaca nera per il quotidiano L’Ora. Trascorre un lungo periodo della propria vita in Sicilia, a Palermo, dal 1979 al 2004, dove viene arrestato insieme al collega Saverio Lodato de L’Unità per aver pubblicato le rivelazioni del pentito Antonio Calderone, violando il segreto istruttorio. Viene assolto nel 1991 dall’accusa di peculato e amnistia per quella di rivelazioni del segreto istruttorio. Non scrive solo articoli di giornali sulla mafia, ma bensì diverse opere tra quali: “La Giustizia è cosa nostra”, “Rostagno: un delitto tra amici”, “Parole d’onore”, che ha ispirato uno spettacolo teatrale.
La sua arte si estende anche alla sceneggiatura e, nel 2004 partecipa alla miniserie televisiva Paolo Borsellino e del docufilm Silencio.
Lascia la Sicilia nel 2004, poiché inviato per il suo giornale in Iraq.
Bolzoni, per la sua carriera come “penna” contro la mafia, riceve nel 2009 il Premio “E’giornalismo”, perché tratta delle vicissitudini siciliane da oltre trent’anni.
Giornalisti in terre di mafia è un grido fatto in coro di diversi giornalisti, che in queste centoquaranta pagine condannano la situazione l’intera situazione Italiana, affermando che la Mafia non è soltanto quell’entità legata al Sud, a Corleone o a “Cosa Nostra, bensì si è costruita il suo nido anche al Nord.
L'opera è scritta da trenta cronisti, oltre ad Attilio Bolzoni, che attraverso brevi racconti, riferiscono quale sia stato il loro “rapporto” con la mafia.
Queste voci raccontano di una mafia travestita in una realtà imprenditoriale e politica. Di quanto oggi il ruolo del cronista faccia paura a queste realtà, ma anche di quanto sia difficile raccontare della mafia. A costo della libertà propria e dei propri famigliari, come scrive Federica Angeli, o addirittura in cambio della vita, come racconta Alessandra Ziniti, le persone che decidono di scrivere di questo tema, sono spinte sì, dal denunciare e migliorare la società, ma soprattutto dalla passione.
Nel testo, ritroviamo un altro tema, quello della solitudine, perché decidere di scrivere di Mafia, ti emargina: colleghi, redazioni e persino gli amici iniziano ad escluderti, come tratta Elisa Marincola.
Ho trovato questa lettura interessante, e molto facile da capire: una lettura d’impatto, mirata a colpire chi non ha remore, chi non ha un’etica, chi scrive tanto per scrivere. Le voci che animano questo libro, sposano il loro mestiere nel bene e nel male, ed è questa la ragione che ti mi ha spinto a leggere pagina dopo pagina. Facendomi un esame di coscienza, non so se potrei fare come questi autori, rischiare la vita, rischiare querele, rischiare la libertà, perché siamo consapevoli tutti in fondo che avere la scorta a vita, è una sorta di ergastolo. Probabilmente io sarei come quei giornalisti che gli autori definiscono inetti e facili, che preferiscono fare una cronaca “comoda”.
Hanaa Sobhi

Attilio Bolzoni
Giornalisti in terre di mafia.
Quelli che scrivono e quelli che si voltano dall'altra parte
Melampo, Milano, 2019, pp.176

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07 luglio 2019

La RAI, modello di tv generalista per gli italiani


Enrico Menduni, giornalista e professore universitario, percorre e analizza la storia italiana della televisione, di cui è stato protagonista come consigliere di amministrazione della Rai dal 1986 al 1993, collegando le scelte politiche ed economiche dei governi dagli anni del “centrismo” a oggi alle loro ripercussioni sulla produzione dei programmi e la fruizione degli utenti.
Dalla “veterotelevisione” del monopolio Rai (1954-1974) alla digitalizzazione di oggi, passando per gli anni della nascita delle emittenti “libere” e dello sviluppo della “neotelevisione” generalista degli anni ‘80, un anno fondamentale, nel progressivo passaggio dal rigore dell’obiettività, dell’imparzialità e della completezza dell’informazione verso la manipolazione della realtà per renderla rassicurante, neutra e spettacolare, è il 1972, quando scade la convenzione tra Stato e Rai del 1952 e iniziano i dibattiti che portano alla riforma con la legge 103/1975, con cui si ribadisce il monopolio. L’anacronicità di questa scelta non impedisce lo sviluppo delle reti private, che favoriscono la nascita del cosiddetto “contenitore” e dei talk show, in cui le discussioni non arrivano a un approfondimento o a una conclusione, e alla tv senza opinioni ardite e scienza, ma intrattenimento e spettacolo. Il neoliberismo economico degli anni ’80 spinge alla trasformazione dell’uomo in un consumatore e richiede di non soffermarsi sulle tradizioni e sulle usanze, di non tollerare la routine o di rimandare la gratificazione.
Il libro è utile per approfondire la conoscenza della società italiana dalla seconda metà del Novecento e per comprendere quanto la costruzione televisiva della realtà nasca dalle esigenze del pubblico e quali effetti abbia agevolato.
L’autore segue un doppio canale: uno di stampo più tecnico sulle dinamiche imprenditoriali e sulle soluzioni tecnologiche, uno di carattere sociologico. Nonostante il linguaggio generalmente chiaro, alcuni termini specifici non sono efficacemente spiegati e quindi il lettore non preparato potrebbe rimanere confuso di fronte agli argomenti che rientrano di meno nei suoi interessi o nelle sue conoscenze.
Sicuramente però l’analisi sociologica del fenomeno televisivo coinvolge e fa riflettere. Menduni ricalca la visione di Bauman (Intervista sull’identità, 2003) riconoscendo nella diffusione della televisione in Italia il bisogno di stili di vita nuovi di fronte ai cambiamenti radicali dovuti al boom economico prima, all’era globale poi. Le più facili possibilità di ascesa sociale e la condivisione di beni e di servizi portano a una società in cui si è tutti più uguali, a patto di riuscire a mantenere il passo. La televisione, dunque, esprime il bisogno di essere informati facilmente e rapidamente e di occupare il tempo libero, sentendosi parte di una comunità virtuale e non isolati. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie non sono la causa della fine delle relazioni tra gli uomini, ma in realtà ne sono la conseguenza, e un loro progredire potrebbe aiutare ad accettare le sfide che il mondo globale, dominato dalla inevitabile dipendenza reciproca, propone. Lo spirito critico di ciascuno può giovarsi dei contenuti liberamente circolanti in rete.
Fabrizio Rosasco

Enrico Menduni
Videostoria. L’Italia e la tv 1975-2015,
Bompiani, Milano, 2018, pp. 314.
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04 luglio 2019

In libreria


Federico Rampini
L'oceano di mezzo. Un viaggio lungo 24.539 miglia 
Laterza, Bari-Roma, 2019, pp. 208.
Descrizione
«Nella mia vita di nomade non ho mai smesso la ricerca di radici. Immaginarie, costruite, conquistate. Ma indispensabili.» 
Le austere memorie di Genova, le atmosfere nordiche di Bruxelles e le sorprese di Parigi, l’iniziazione all’Oriente in Indonesia, poi verso Ovest a respirare l’aria decadente di New York, lo spaesamento di San Francisco, a riscoprire un’armonia celeste di Pechino, i bambini del Sichuan, le case a fior d’acqua del Kerala, il destino marittimo di Tokyo, le sorgenti del Nilo... Tre oceani e quattro continenti. Federico Rampini ci racconta grande storia e vita quotidiana di tanti luoghi e personaggi indimenticabili. E forse qualche lezione appresa. 

Link all'Indice del libro.

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