Igor Man
Un uomo certamente grande è stato nei giorni scorsi a Roma, reduce da uno strabiliante concerto in suo onore a Hyde Park. Parliamo di Nelson Mandela, novant’anni oggi. «46664 Concert»: a indicare il numero di matricola del prigioniero più illustre del mondo, in galera dal 1962 al 1990, Capo dello Stato dal 1994 al 1999. Il concerto è cominciato con una standing ovation, venti minuti di applausi. Una folla immensa con mezzo mondo del pop: da Leona Lewis a Joan Baez, a Zucchero. Il ricavato del concerto alla battaglia contro l’Aids dedicata soprattutto ai bambini: «Tutti loro, gli innocenti, hanno il diritto di esser curati per vivere», ha detto Annie Lennox.Infine, nello sfinirsi della lunga notte augurale, Peter Gabriel («se il mondo avesse potuto scegliere un padre, avrebbe scelto Nelson Mandela») ha intonato l’happy birthday e lui, Madiba, «il Vecchio» è apparso sul palco inondato di luce. I riflettori han centuplicato le lacrime di Mandela, esattamente due, seguendone il percorso sul volto segnato dagli anni e dalla difficile vita. Vestito di nero, appoggiandosi a un bastone d’ebano sudanese, Mandela ha coraggiosamente ammesso che «il nostro lavoro è ancora lontano le mille miglia dall’essere completato. La gente lo sa, non possiamo deluderla. È giunto il tempo di dare spazio ai giovani». Oramai da tempo Nelson Mandela è una «icona», come usa dire. Questa «icona» ha salvato il Sud Africa dal disastro. Se è vero com’è vero ch’egli sia stato un rivoluzionario atipico, quel che si dice un «patriota coraggioso», è anche vero e comprensibile ch’egli abbia salvato il suo paese dal disastro in forza d’un messaggio sommesso. Forse non adatto a un lider maximo che si pretende sia sempre sul problema e lo risolva, ma misteriosamente efficace. Il messaggio di Mandela è tutto nell’esempio di quest’uomo coraggioso sino all’incredibile. Il Vecchio Cronista ricorda la domanda di un bravo reporter della Cnn a Mandela: «Come ha fatto a resistere in poco spazio, al buio, durante 27 anni»? E Madiba: «Ci vuole pazienza», disse.La cella in cui sopravvisse in grazia della «pazienza» non gli consentiva di starsene disteso: se alzava la testa doveva ripiegare le gambe, se voleva stenderle doveva abbassare il capo. Tutto questo al buio. «Ma io non ero solo», ha sempre detto Mandela. Gli dava conforto la fede, lo aiutava la poesia: componeva versi nel buio della cella sotterranea, appesi a un immaginato pentagramma tracciato a mente.Da vero rivoluzionario, Mandela è uomo d’azione politica, e di guerriglia armata: se i suoi incessanti messaggi dalla galera al mondo non si fossero tradotti in un patto patriottico egli sarebbe stato un terrorista. Il sole è risorto, laggiù, in Sud Africa paese bello e rude quando i Boeri decisero, incalzati da Mandela, di essere innanzitutto sudafricani. Premio Nobel per la Pace, Mandela assiste impotente al truce presente dell’Africa flagellata dalla fame, svenata dal ping pong dei massacri etnici, straniata da guerre assurde (vedi il Kenya). Madiba soffre ma non si arrende: cede il timone ai giovani («novant’anni sono troppi per fare un certo lavoro») ma si può scommettere che se avessero bisogno di lui per «un certo lavoro», Mandela direbbe quel che disse ai giudici che lo avevano condannato all’ergastolo nel 1964: «Se aveste bisogno di me, sapete dove trovarmi».
1 commento:
Proprio in questi giorni sto rileggendo alcuni scritti e interviste di Nadine Gordimer. Parole permeate di coraggio e concretezza.
"(...) è anche vero e comprensibile ch’egli abbia salvato il suo paese dal disastro in forza d’un messaggio sommesso". Quanto siamo lontani da certi messaggi "gridati".
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