La comunità musulmana vuole un centro di culto nel centro storico della città, la destra, da An a Forza Nuova, si scatena e chiede il referendum. E il sindaco Marta Vincenzi (Pd) propone: ok ma senza il minareto. Ma gli islamici non ci stanno
GENOVA - Caricare tutti quelli che dicono no alla moschea su un pullman direzione Casablanca o una nave per Tunisi «per capire di che cosa stiamo parlando»: l'idea è di Silvio, dipendente pubblico, uno dei genovesi fermati a caso nei vicoli, tra la Commenda dove il sindaco vorrebbe far incontrare musulmani, cristiani ed ebrei, la Darsena dove nel Medioevo c'era una moschea e piazza Banchi, insomma l'area del centro storico che, secondo gli ultimi boatos, potrebbe ospitare un luogo di culto ufficiale per gli islamici. Della moschea si parla senza costrutto da dieci anni, ma è tornata sulle pagine dei giornali con la firma di un patto tra il sindaco di centrosinistra Marta Vincenzi e l'Associazione islamica d'integrazione culturale in cui questi ultimi prendono le distanze dall'Ucoii, promettono di non fare sermoni ad alto contenuto terrorista e di promuovere il dialogo con la città.La questione è annosa: la comunità ha acquistato nel 2002 un'industria in disuso a Cornigliano e ha proposto un progetto approvato dalla commissione edilizia privata comunale e poi «bocciato« da quattro preti e decine di persone del Ponente post-siderurgico, mobilitate prima dalla Lega e poi da Forza Nuova. Cercando una via d'uscita, la comunità islamica ha cercato di fare una permuta per un immobile a Campi e poi ha persino trovato un accordo con un convento di francescani, sempre in Valpolcevera, ma tutto senza successo. Silvio pensa che «qui il problema è il razzismo, altro che questioni urbanistiche»; che «se si andasse a vedere il rispetto dei parametri sulla sicurezza chiuderemmo quasi tutte le chiese del centro storico» e che quanto a delinquenti non siamo secondi a nessuno «visto che in chiesa a pregare ci andavano anche Riina e Provenzano e alla fine con i musulmani non sono le differenze ma le similitudini che ci dividono, per esempio viviamo tutti e due uno stato teocratico». Di una cosa è convinto: «Se fanno il referendum lo vinceranno. C'è un clima d'intolleranza». Obiettivo il referendumIl referendum è la nuova croce del sindaco. Non bastavano i banchetti della Lega, un rosario notturno di Forza nuova con prete lefevriano seguito da incontro in locali connessi a una chiesa cattolica del centro, ed ecco che alcuni consiglieri regionali, Gianni Plinio (An) in testa, raccolgono 1600 firme per chiedere una consultazione cittadina, mentre la Lega promette mobilitazioni in autunno, come assicura il segretario provinciale Edoardo Rixi (il cui padre è nato nel quartiere di Galata a Istanbul). E così, mentre il sindaco avanza dubbi di incostituzionalità sul referendum «moschea sì, moschea no», la questione trova sponda nel governo col ministro per le politiche comunitarie Andrea Ronchi, prima portavoce di An, che osserva: «Il messaggio della cittadinanza è chiarissimo: i genovesi vogliono pronunciarsi in prima persona sulla possibile costruzione di una moschea nella loro città. Lo dimostrano quelle 1600 firme raccolte venerdì scorso in sole due ore dai consiglieri regionali del Pdl». Che con la consultazione cittadina possa finire male ne è convinto anche Arcadio Nacini, consigliere comunale del Ponente di Rifondazione, seduto sotto la fontana a piazza De Ferrari: «Il referendum lo perdiamo. Altro che moschea, qui sta venendo fuori una città di destra». Le voci della stradaContinuando il sondaggio a caso nei vicoli pare di vivere altrove: «Mi sembra strano che la gente faccia tanto rumore - commenta Flavia, educatrice e buddista - noi abbiamo i nostri luoghi di preghiera e come essere umano m'irriterebbe se qualcuno limitasse la mia libertà di culto». A Fossatello passa un ambulante marocchino che vive a Genova dal '77: «Vengo dal centro storico di Casablanca dove ho sempre vissuto con cristiani ed ebrei». Nella sua agenda c'è anche Braham, numero di telefono e stella di Davide. Due carpentieri in ferro, Corrado ed Emiliano in via San Luca, pensano che «se non danno fastidio e lavorano c'è libertà di religione, basta che non diventi Al Qaeda, insomma bisogna entrare in contatto senza picchiarsi, la globalizzazione è anche questo». Anche Marina Pupo, pensionata, scesa a vivere nel centro storico dalla circonvallazione a monte, della moschea pensa «tutto il bene possibile. Dovrebbe essere normale. E' più facile cavalcare la paura della gente che creare una cultura in cui il diverso non venga vissuto come un pericolo. Sarebbe un gran bene dare alla comunità degli spazi del centro storico come la loggia dei Banchi o i silos inutilizzati dietro al museo Galata». A parte Paul, ecuadoriano a Genova da sei anni, cameriere, cattolico non praticante, che dice «la moschea non va costruita» e un ateo comunista che raderebbe al suolo tutte le chiese, le sinagoghe e le moschee e per il quale «si svia l'attenzione dal fatto che mancano programmi sociali per gli uni e gli altri», persino un avvocato che vota centrodestra dice di «non essere contrario. Se vivono qui hanno diritto a professare la loro fede, anche nel centro storico». Alla domanda su come mai nessuno dica apertamente no alla moschea come succede in consiglio comunale, l'avvocato argomenta che il politically correct impera. Passando però a un sondaggio promosso dal sito del Secolo XIX si scopre che 1669 cittadini hanno votato contro la moschea perché è meglio investire risorse in altre questioni (45,7 per cento), «non so se in Medio Oriente siano così aperti ai cristiani» (37,6 per cento) e poi c'è il rischio di cattive frequentazioni (16,6). I sì sono 712 e il 78 per cento pensa che il primo motivo sia il diritto al culto. Il sito precisa che non c'è nessun intento statistico. Eppure... Islamici pronti al dialogo «In questi anni avrei potuto raccogliere migliaia di firme o scendere in piazza con centinaia di persone, ma ho sempre scelto, abbiamo scelto, il dialogo e mai lo scontro, anche se questo mi è costato discussioni anche all'interno della mia comunità e accuse di eccessiva cautela». Finita la preghiera pomeridiana dell'Asr, Salah Hussein trova un po' di tempo per parlare al piano superiore di un'ex officina nel cuore di Sampierdarena, nei locali sottotetto dove pregano donne e bambine mentre gli uomini si raccolgono al piano terra. Presidente dell'Associazione di integrazione culturale nata cinque anni fa e portavoce storico della comunità islamica a partire dal primo luogo di preghiera nel '78, in via Venezia a monte dei moli dei traghetti, Hussein, palestinese di Nablus, a Genova da 27 anni, ingegnere, mediatore culturale e non sempre imam («lo facciamo a turno e siamo eletti dal consiglio della comunità»), non ha mai smesso di credere che prima o poi la sua gente avrà una moschea come si deve, un punto di riferimento per 9 mila immigrati di fede musulmana e un luogo di culto degno per le grandi feste che ora si è costretti a celebrare nel parco dell'Acquasola o nella Sala Chiamata del porto. Sul tavolo le bollette della luce, un computer, la masbaha appesa al muro, alla finestra una macchia di verde tra la ferrovia e il monte. «Va bene il centro storico, va bene la Darsena, va bene qualsiasi luogo accessibile anche in auto e dove non diamo fastidio ai vicini, come dice anche Maometto - spiega Hussein - ma se non si arriva a uno sbocco noi torniamo a Coronata». Coronata sarebbe lo stabile industriale a Cornigliano, «acquistato con i soldi di una comunità povera che non ha dietro nessun paese ricco». Per combattere pregiudizi e stereotipi negli ultimi mesi la Comunità ha incontrato il cardinale e presidente della Cei Angelo Bagnasco, il sindaco Marta Vincenzi, il rabbino, un sikh, decine di associazioni, per spiegare che via Sasso e gli altri quattro luoghi di preghiera sono aperti al dialogo interconfessionale, alle scuole, che nessuno vuole convertire nessuno, che esistono in città cinque luoghi di preghiera in perfetta convivenza con i quartieri. Ripetono a destra e manca che ci sono chiese in Marocco, Tunisia e che ne hanno aperta una anche in Qatar, che si sentono musulmani genovesi più che marocchini, tunisini o giordani e che non c'è alcun saudita. Tant'è, statisticamente «ogni volta che si tira fuori la moschea Plinio raccoglie firme contro di noi - riflette il portavoce - E' successo nel '97 quando il petroliere Garrone disse che gli sarebbe piaciuta una moschea nel centro storico. Così quando due studenti di architettura nel '99 fecero una tesi ipotizzando una moschea a piazza Sopranis e poi Coronata, Campi, Perrone e ora con la storia del referendum, un precedente che sarebbe gravissimo». Insomma, «alcuni esponenti politici ne fanno una questione ideologica e mi dispiace. Fomentano una paura che non si controlla perché è una questione di pancia». Così la discussione si protrae. Il sindaco nei giorni scorsi ha proposto di fare della Commenda di Prè un luogo d'incontro per le tre religioni monoteiste, nonostante da lì partissero i crociati. Hussein sorride: «Vuol dire che i tempi sono cambiati. Prima si partiva per la guerra, ora ci s'incontra nella pace». Ma i Cavalieri di Malta, proprietari dell'immobile, hanno replicato che avevano altri progetti e dell'idea del sindaco non ne sapevano niente. La questione minareto Passando alla Darsena, alla Facoltà di economia e commercio dietro il Museo del mare, Lorenzo Caselli, presidente della Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, docente di Etica economica e responsabilità sociale delle imprese e sostenitore della prima ora del centro studi sull'immigrazione Medì, sostiene che «la Commenda è un modo per inserire una pausa di riflessione. Lasciamo passare agosto e a settembre vedremo. Certo il referendum è incostituzionale e se il discorso è che nei paesi arabi non ci sono chiese cattoliche, allora bisogna riflettere che nelle relazioni internazionali in un mondo globale la generosità è un investimento. Bisogna ripartire dai sogni, dalle aspettative di centinaia di bambini che sono nati in Italia pur avendo genitori stranieri, insomma costruire una buona società in cui vivere, come dice Amartya Sen». Certo dopo aver fatto i conti anche con la questione minareto. Il sindaco vorrebbe una moschea che ne fosse priva. Caselli suggerisce «misura, costruiamo intanto un luogo di culto». Don Andrea Gallo insorge: «Tutte le chiese hanno un campanile». Hussein allarga le braccia: «Il progetto di Coronata approvato dalla commissione edilizia del Comune ha un minareto non agibile. Per noi è un simbolo. In cima c'è la mezzaluna, ma niente muezzin», assicura. Anche nel Corano Giobbe è il paziente per eccellenza.
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