Spazio e tempo. Dove siamo? A che punto? Giusto il tempo di controllare la bussola, di guardarci un attimo intorno e indietro. Il saggio è brevissimo, potrebbe esser un male non fosse fatto bene, potrebbe esser spazzatura finisse con la sola lettura, invece non solo è scheletrico e sintetico ma anche essenziale ed emblematico. Tanti, non troppi, esempi. Corsi all’ultima pagina vien da correre ad altre di pagine. Perché in un’intera vita non si legge mai abbastanza, ancora un quinto in quella di un ventenne, studente al quale questo testo è principalmente rivolto (Clotilde Bertoni è docente universitario). Più che un piccolo saggio credo sia quindi un grande invito alla lettura. A meno che non si riesca a resistere al grande ottocento francese (illusioni) o a un sottovalutato novecento italiano (allusioni), alla ferocia di Balzac e alla delicatezza di Flaubert (doti intercambiabili), al tocco femminile della Cederna e della Serao, al tocco umoristico di Pirandello, quello fantastico di Buzzati, a meno che non si riesca a resistere a Capote, a sangue freddo. Il tempo di controllare la bussola, di guardarci intorno e indietro: bene, andiamo di là. Il rapporto tra giornalismo e letteratura. Pochissime pagine per ripassare e riscoprire lungo l’asse dello spazio le differenze tra il giornalismo italiano e quello anglosassone, tra la letteratura europea e quella americana. Per ricordare e riflettere lungo l’asse del tempo, per esser spettatori della tradizionale “lotta corpo a corpo” tra i due generi che “tendono costantemente a ribadire la loro specificità e a confermare la loro lontananza, ma altrettanto costantemente a confrontare le loro dinamiche e a confondere i loro confini” (Clotilde Bertoni, Letteratura e giornalismo, Roma, 2009). L’esclusività di questo punto di vista, la promiscuità tra questi due mondi, è il senso dell’invito, del testo. Sì, tutti avranno letto qualcosa di Balzac e di Pirandello, ma probabilmente pensando a tutto il resto, pensandoli come altro. Il senso dell’invito è a cercare nelle Illusioni perdute o tra vita e forma come giornalismo e letteratura si siano incontrati, scontrati. Sì, tutti sapranno almeno qualcosa della Cederna e di Capote, ma l’invito è a cercare dietro una donna, un’altoborghese, dietro a Il lato debole, oltre le polemiche di una memoria collettiva smemorata e smaniosa, e dietro un dandy, a un omosessuale, dopo una Colazione da Tiffany, oltre tutto, come l’essere giornalista e l’essere letterato si siano abbracciati. Questo testo funziona, anche se qualche approfondimento in più serviva (una pennellata in più nei ritratti degli autori o nei paesaggi storici), anche se qualche posizione netta non serviva (non è detto che l’asciuttezza della scrittura sia cosa buona e giusta sempre, sarebbe alzare il braccio del giornalismo come vincitore della lotta), questo grande invito alla lettura funziona perché non invita (solo) a leggere Balzac, Pirandello, Cederna e Capote, ma a leggerli con la bussola puntata esattamente là, a metà tra giornalismo e letteratura, e con il tempo fermo. Non avrebbe senso, non ha senso un invito a qualcosa già visto o dovuto (“Oggi vieni con me? Ti faccio vedere casa tua. Un consiglio intanto: respira regolarmente”). Ecco che, lo spazio d’affacciarsi dalla scrivania, il tempo di finire il libro, tutti corrono per assistere all’incontro tra giornalismo e letteratura, all’incendio: “un barbaglio di luci e di splendori, indimenticabile turbinio di nudità femminili, ecco lo spettacolo che la vita mondana offre di quando in quando allo stanco monocolo del disincantato croniqueur”, l’emblematico personaggio di Campanile che continua così il suo pezzo a metà tra giornalistico e letterario, un pezzo di cronaca né nera né rosa, quanto rosso fuoco: “ieri sera, nei sontuosi saloni di palazzo Folena s’è svolto un grandioso, indimenticabile incendio a cui hanno partecipato tutti gli inquilini dello stabile” (Achille Campanile, In campagna è un’altra cosa, Milano, Rizzoli, 1999, p. 268).
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23 gennaio 2010
Grande invito al grandioso incendio
Scintille tra giornalismo e letteratura
Spazio e tempo. Dove siamo? A che punto? Giusto il tempo di controllare la bussola, di guardarci un attimo intorno e indietro. Il saggio è brevissimo, potrebbe esser un male non fosse fatto bene, potrebbe esser spazzatura finisse con la sola lettura, invece non solo è scheletrico e sintetico ma anche essenziale ed emblematico. Tanti, non troppi, esempi. Corsi all’ultima pagina vien da correre ad altre di pagine. Perché in un’intera vita non si legge mai abbastanza, ancora un quinto in quella di un ventenne, studente al quale questo testo è principalmente rivolto (Clotilde Bertoni è docente universitario). Più che un piccolo saggio credo sia quindi un grande invito alla lettura. A meno che non si riesca a resistere al grande ottocento francese (illusioni) o a un sottovalutato novecento italiano (allusioni), alla ferocia di Balzac e alla delicatezza di Flaubert (doti intercambiabili), al tocco femminile della Cederna e della Serao, al tocco umoristico di Pirandello, quello fantastico di Buzzati, a meno che non si riesca a resistere a Capote, a sangue freddo. Il tempo di controllare la bussola, di guardarci intorno e indietro: bene, andiamo di là. Il rapporto tra giornalismo e letteratura. Pochissime pagine per ripassare e riscoprire lungo l’asse dello spazio le differenze tra il giornalismo italiano e quello anglosassone, tra la letteratura europea e quella americana. Per ricordare e riflettere lungo l’asse del tempo, per esser spettatori della tradizionale “lotta corpo a corpo” tra i due generi che “tendono costantemente a ribadire la loro specificità e a confermare la loro lontananza, ma altrettanto costantemente a confrontare le loro dinamiche e a confondere i loro confini” (Clotilde Bertoni, Letteratura e giornalismo, Roma, 2009). L’esclusività di questo punto di vista, la promiscuità tra questi due mondi, è il senso dell’invito, del testo. Sì, tutti avranno letto qualcosa di Balzac e di Pirandello, ma probabilmente pensando a tutto il resto, pensandoli come altro. Il senso dell’invito è a cercare nelle Illusioni perdute o tra vita e forma come giornalismo e letteratura si siano incontrati, scontrati. Sì, tutti sapranno almeno qualcosa della Cederna e di Capote, ma l’invito è a cercare dietro una donna, un’altoborghese, dietro a Il lato debole, oltre le polemiche di una memoria collettiva smemorata e smaniosa, e dietro un dandy, a un omosessuale, dopo una Colazione da Tiffany, oltre tutto, come l’essere giornalista e l’essere letterato si siano abbracciati. Questo testo funziona, anche se qualche approfondimento in più serviva (una pennellata in più nei ritratti degli autori o nei paesaggi storici), anche se qualche posizione netta non serviva (non è detto che l’asciuttezza della scrittura sia cosa buona e giusta sempre, sarebbe alzare il braccio del giornalismo come vincitore della lotta), questo grande invito alla lettura funziona perché non invita (solo) a leggere Balzac, Pirandello, Cederna e Capote, ma a leggerli con la bussola puntata esattamente là, a metà tra giornalismo e letteratura, e con il tempo fermo. Non avrebbe senso, non ha senso un invito a qualcosa già visto o dovuto (“Oggi vieni con me? Ti faccio vedere casa tua. Un consiglio intanto: respira regolarmente”). Ecco che, lo spazio d’affacciarsi dalla scrivania, il tempo di finire il libro, tutti corrono per assistere all’incontro tra giornalismo e letteratura, all’incendio: “un barbaglio di luci e di splendori, indimenticabile turbinio di nudità femminili, ecco lo spettacolo che la vita mondana offre di quando in quando allo stanco monocolo del disincantato croniqueur”, l’emblematico personaggio di Campanile che continua così il suo pezzo a metà tra giornalistico e letterario, un pezzo di cronaca né nera né rosa, quanto rosso fuoco: “ieri sera, nei sontuosi saloni di palazzo Folena s’è svolto un grandioso, indimenticabile incendio a cui hanno partecipato tutti gli inquilini dello stabile” (Achille Campanile, In campagna è un’altra cosa, Milano, Rizzoli, 1999, p. 268).
Spazio e tempo. Dove siamo? A che punto? Giusto il tempo di controllare la bussola, di guardarci un attimo intorno e indietro. Il saggio è brevissimo, potrebbe esser un male non fosse fatto bene, potrebbe esser spazzatura finisse con la sola lettura, invece non solo è scheletrico e sintetico ma anche essenziale ed emblematico. Tanti, non troppi, esempi. Corsi all’ultima pagina vien da correre ad altre di pagine. Perché in un’intera vita non si legge mai abbastanza, ancora un quinto in quella di un ventenne, studente al quale questo testo è principalmente rivolto (Clotilde Bertoni è docente universitario). Più che un piccolo saggio credo sia quindi un grande invito alla lettura. A meno che non si riesca a resistere al grande ottocento francese (illusioni) o a un sottovalutato novecento italiano (allusioni), alla ferocia di Balzac e alla delicatezza di Flaubert (doti intercambiabili), al tocco femminile della Cederna e della Serao, al tocco umoristico di Pirandello, quello fantastico di Buzzati, a meno che non si riesca a resistere a Capote, a sangue freddo. Il tempo di controllare la bussola, di guardarci intorno e indietro: bene, andiamo di là. Il rapporto tra giornalismo e letteratura. Pochissime pagine per ripassare e riscoprire lungo l’asse dello spazio le differenze tra il giornalismo italiano e quello anglosassone, tra la letteratura europea e quella americana. Per ricordare e riflettere lungo l’asse del tempo, per esser spettatori della tradizionale “lotta corpo a corpo” tra i due generi che “tendono costantemente a ribadire la loro specificità e a confermare la loro lontananza, ma altrettanto costantemente a confrontare le loro dinamiche e a confondere i loro confini” (Clotilde Bertoni, Letteratura e giornalismo, Roma, 2009). L’esclusività di questo punto di vista, la promiscuità tra questi due mondi, è il senso dell’invito, del testo. Sì, tutti avranno letto qualcosa di Balzac e di Pirandello, ma probabilmente pensando a tutto il resto, pensandoli come altro. Il senso dell’invito è a cercare nelle Illusioni perdute o tra vita e forma come giornalismo e letteratura si siano incontrati, scontrati. Sì, tutti sapranno almeno qualcosa della Cederna e di Capote, ma l’invito è a cercare dietro una donna, un’altoborghese, dietro a Il lato debole, oltre le polemiche di una memoria collettiva smemorata e smaniosa, e dietro un dandy, a un omosessuale, dopo una Colazione da Tiffany, oltre tutto, come l’essere giornalista e l’essere letterato si siano abbracciati. Questo testo funziona, anche se qualche approfondimento in più serviva (una pennellata in più nei ritratti degli autori o nei paesaggi storici), anche se qualche posizione netta non serviva (non è detto che l’asciuttezza della scrittura sia cosa buona e giusta sempre, sarebbe alzare il braccio del giornalismo come vincitore della lotta), questo grande invito alla lettura funziona perché non invita (solo) a leggere Balzac, Pirandello, Cederna e Capote, ma a leggerli con la bussola puntata esattamente là, a metà tra giornalismo e letteratura, e con il tempo fermo. Non avrebbe senso, non ha senso un invito a qualcosa già visto o dovuto (“Oggi vieni con me? Ti faccio vedere casa tua. Un consiglio intanto: respira regolarmente”). Ecco che, lo spazio d’affacciarsi dalla scrivania, il tempo di finire il libro, tutti corrono per assistere all’incontro tra giornalismo e letteratura, all’incendio: “un barbaglio di luci e di splendori, indimenticabile turbinio di nudità femminili, ecco lo spettacolo che la vita mondana offre di quando in quando allo stanco monocolo del disincantato croniqueur”, l’emblematico personaggio di Campanile che continua così il suo pezzo a metà tra giornalistico e letterario, un pezzo di cronaca né nera né rosa, quanto rosso fuoco: “ieri sera, nei sontuosi saloni di palazzo Folena s’è svolto un grandioso, indimenticabile incendio a cui hanno partecipato tutti gli inquilini dello stabile” (Achille Campanile, In campagna è un’altra cosa, Milano, Rizzoli, 1999, p. 268).
Alessandro Ferraro
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