Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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31 ottobre 2010

Un diverso giornalismo

Gabriele Del Grande
Il mare di mezzo. Al tempo dei respingimenti
Castelgandolfo, Infinito edizioni, 2010, 222 pp.


Sant’Agostino era africano.
Oggi che ne sarebbe di lui?
Forse respinto in Libia.
Oppure disperso in mare.
Magari rinchiuso in un centro di espulsione...


Tre anni di inchieste, un viaggio tra memoria e attualità che vi farà trattenere il fiato dalla prima all’ultima pagina. Una raccolta di testimonianze e storie che fanno la storia. La nostra storia. E quella di un Mediterraneo sempre più blindato dalla paura dell’altro. Gabriele Del Grande – espulso dalla Tunisia e nella lista nera dei servizi segreti locali – si mette sulle tracce dei somali e degli eritrei respinti in Libia, facendo luce sul più misterioso naufragio mai verificatosi sulla rotta per l’Italia. La rete di informatori dell’Autore si allarga dalla costa meridionale del Mediterraneo all’Italia e ai centri di espulsione. Ne nascono inchieste su truffe e pestaggi. E parecchi guai. Ma – come insegnano i pescatori di Mazara – non ci si può girare dall'altra parte. E il viaggio alla ricerca della verità continua, dal Nilo al Burkina Faso.
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30 ottobre 2010

In libreria

Giovanni Solimene
L’Italia che legge
Roma-Bari,Laterza, 2010, 182 pp.

Scheda di presentazione
Le statistiche ci dicono che in Italia si legge poco, drammaticamente meno che negli altri paesi. Il 'lettore forte', come l'Istat definisce chi legge almeno un libro al mese, è una persona che non fa parte della maggioranza degli italiani, è fuori dalla 'norma'. E il futuro che si annuncia non sembra migliore. Le differenze per genere, fascia d'età, area geografica, livello culturale e sociale non solo si confermano ma si radicalizzano. Giovanni Solimine analizza i numeri di questa incrollabile allergia alla lettura, riflette sul profilo di chi legge, sui suoi gusti e sui suoi stili di vita, confronta i dati del panorama del libro e dell'editoria con gli altri consumi culturali e delinea qualche possibile strategia per voltare finalmente pagina

*link all' Indice del libro.


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28 ottobre 2010

Riprendiamoci la facoltà di distinguere ciò che è vero da quello che non lo è!

Se l’intento di Cass R. Sunstein era quello di farci venire dei dubbi su tutto quello che sappiamo e che crediamo, penso che il suo obiettivo sia stato più che raggiunto. Con semplicità ci prende per mano e ci accompagna nel mondo che sta dietro alla realtà, ci porta lì dove tutto il sapere viene creato e ci spiega i meccanismi. Ci fa capire come sia facile omologare il proprio pensiero alle altre persone e come non ci pensiamo due volte a estremizzarlo al massimo se ci sentiamo spalleggiati. L’autore utilizza sempre un linguaggio molto scorrevole (o comunque così l’ha tradotto Lucia Cornalba) e con esempi pratici, tratti dalla Storia, fa valere ancor di più le sue tesi.
Lì per lì ci si sente delle persone stupide, senza personalità, però proseguendo con la lettura ci risulta quasi inevitabile tutto questo. I gossip, i rumors, le false dicerie, come le si voglia chiamare, si diffondono peggio di un’epidemia di colera ai tempi della Guerra dei Cent’anni, ma perché? Tutti ne sono colpiti, e lo sono sempre stati, dalla nascita della parola. Verrebbe da pensare che nessuno ha abbastanza coraggio, voglia o cervello da riuscire a smontare una bugia, però in ogni pagina del libro ci rendiamo sempre più conto di far parte anche noi di quel processo di diffusione e creazione di calunnie. Sarà capitato a chiunque di credere a qualcosa solo perché una persona fidata ha detto che era vero. Oppure non avere quasi il coraggio di far valere le proprie opinioni solo perché il nostro era il pensiero meno quotato. A volte è più semplice allinearsi alle argomentazioni degli altri, perché se sono in tanti sarà il pensiero giusto, o, ancora peggio, perché si potrebbe essere emarginati, e questa è un’epoca in cui l’uomo è solo e sempre più isolato, quindi si ricerca l’unione con qualcuno, anche se questa arriva a scapito delle nostre idee.
Un problema grosso si ha quando è una fonte autorevole a diffondere falsità, è quasi inevitabile non crederci, anche dopo che le nostre conoscenze personali hanno ripassato approfonditamente tutto il nostro sapere e che mette in dubbio quell’argomento. A questo punto però tutte le nostre barriere cadono e lietamente ci adeguiamo a quello che è il sapere comune e condiviso da tutti. Ancora di più, se quello che ci viene “svelato” è quello che già credevamo, ci facciamo cullare nella consapevolezza di aver ragione.
Chi ha quest’autorevolezza di fonte importante dovrebbe saper gestire, o imparare a farlo, il proprio potere e cercare di scoprire ciò che veramente è la realtà, prima di dare in pasto all’opinione pubblica persone comuni o personaggi famosi solo perché “si dice che”. Un esempio, riguardo il potere dei mass media, lo ritroviamo quando vengono create prime pagine e grandi titoli con la notizia che una persona è un delinquente, un molestatore, o chissà di quale reato viene accusato; quando però questa stessa persona, dopo lunghi processi, viene scagionata, la notizia nei giornali e nei tg viene relegata a 5 righe in una zona della pagina che difficilmente attirerà il nostro sguardo. Dunque quella persona per noi sarà sempre ingiustamente una cattiva persona solo perché è facile denigrare qualcuno, ma è difficile risollevare la sua reputazione.
Con l’avanzare sempre più impetuoso di internet tutti i processi vengono estremizzati, sia in bene che in male. Il web è una potente macchina di informazione, con il problema però che non tutti i siti hanno la stessa visibilità, quindi c’è comunque il rischio che proprio quella notizia che dice la verità non verrà messa in primo piano da nessun motore di ricerca e quindi si perderà nella moltitudine di siti. Al contrario saranno visibili tutti gli altri che non apportano nessun valore aggiunto.
Una soluzione per proteggersi dalle ondate di disinformazione e sapere condizionato sarebbe quindi il chilling effect (la censura), sarebbe però chiaramente molto dannoso alla storia dell’umanità. C’è da chiedersi se a volte non è più dannosa la libera circolazione delle idee, o il suo impedimento. In ogni caso, visto che dopo tante lotte, abbiamo la libertà di stampa, e ci teniamo a conservarla, nell’ultima parte del suo libro, Sunstein fa alcune proposte per regolamentare il flusso di pensieri personali. Quindi sbaglia dovrebbe ritrattare nel momento in cui la notizia si rivelasse falsa mentre nel mondo di internet dovrebbe svilupparsi il diritto di segnalare e richiedere la rimozione di una notizia non vera.
Non ci resta che informarci il più possibile per creare la nostra opinione così da non credere incondizionatamente a ciò che ci viene detto; soprattutto dovremmo dotarci di forza di volontà e far valere ciò che riteniamo sia vero, perché, chi lo sa, potremmo essere convincenti e portare dalla nostra parte altre persone, e assieme diffondere quello che può essere il giusto pensiero.

Silvia Dessì




Cass R. Sunstein

Voci, gossip e false dicerie.
Come si diffondono, perché ci crediamo, come possiamo difenderci
Milano, Feltrinelli, 2010, 106 pp.




27 ottobre 2010

In libreria

Giorgio Bocca

Fratelli, coltelli. 1943-2010 L'Italia che ho conosciuto
Milano, Feltrinelli, 2010, 336 pp.

Scheda del libro
Di Giorgio Bocca sono note la vena polemica e la mordace ironia che puntellano con forza i suoi settimanali commenti sulla situazione politica. Per l'Antiitaliano per eccellenza del giornalismo nostrano è persino facile mettere alla berlina i tanti protagonisti delle vicende nazionali, quando si ha alle spalle una conoscenza storica degli eventi di prima mano, come per certi versi testimoniano i tanti libri scritti sulla Resistenza o sui protagonisti del primo dopoguerra, come la sua biografia su Togliatti. In questo libro-antologia è raccolto in modo organico e sistematico il meglio della sua produzione "storica", articoli che a suo tempo hanno rivoluzionato lo stesso modo di fare inchiesta e quindi il giornalismo italiano, quando Bocca si mischiava ai pendolari che al mattino presto si recavano al lavoro nel Triangolo industriale o descriveva gli abbacinanti fasti del Miracolo italiano. Dalla caduta del fascismo alla Resistenza, dall'eredità della dittatura al boom economico degli anni sessanta, dal Sessantotto al fattore K., dagli anni di piombo alla fine del fordismo, dalle mafie al leghismo e all'ascesa del berlusconismo: tutti i grandi temi storici e civili che hanno contrassegnato la storia nazionale dal secondo dopoguerra sono qui al centro di un libro straordinario, specchio di antichi mali e al contempo di caduche virtù.


*link ad un estratto del libro e un'audiointervista all'autore [leggi tutto].
*link alle pagine del sito di Feltrinelli editore dedicate a Giorgio Bocca

26 ottobre 2010

In libreria

Carlo M. Marletti
La Repubblica dei media. L'Italia dal politichese alla politica iperreale
Bologna, Il Mulino, 2010, 172 pp.

Scheda di presentazione
Perché, se la televisione è così potente, Berlusconi si è premurato di avere dei giornali che lo fiancheggino, e mostra di sapersene servire contro i suoi avversari? E perché Massimo D'Alema dice di preferire la televisione, con cui si parla a tutti, mentre la sua influenza sugli affari politici è dovuta soprattutto a messaggi in chiave affidati ai giornali, di cui pochi possono cogliere pienamente le implicazioni? Dal 18 aprile 1948 ad oggi spettacolarizzazione della politica e messaggi in politichese rappresentano le due facce della democrazia in Italia, dando luogo a fasi alterne e a volte combinandosi tra loro. Nella Repubblica dei partiti i "messaggi di fumo" di Aldo Moro e il suo lessico fatto di "convergenze parallele" e "strategie dell'attenzione" risultavano funzionali per evitare tensioni politiche e sociali. Negli anni Ottanta al pubblico di massa, passivo e indifferenziato, si sostituì un'audience segmentata e mobile. Ciò ha aperto la strada alla politica pop e a Berlusconi, che servendosi degli effetti di iperrealtà generati dai media si accaparra il consenso con annunci clamorosi e promesse ottimistiche spesso non mantenute. Ma con la crisi economica il pendolo torna ad oscillare. Dalla Repubblica dei media si tornerà indietro alla Repubblica dei partiti e ai suoi rituali?

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25 ottobre 2010

Misura per misura

Alla fine dello spettacolo, quando le luci di sala si accendono ed il brusio del pubblico sovrasta gli ultimi applausi, una domanda sorge spontanea . Perché?
Per tentare di fornire una risposta non certo definitiva ma il più possibile ponderata, occorre fare un piccolo passo indietro ed analizzare velocemente quanto si è appena visto. Misura per misura di Shakespeare (per la regia di Marco Sciaccaluga), prima produzione del Teatro Stabile di Genova per la stagione 2010/2011, si propone di indagare temi attualissimi (del resto, in quale epoca o in quale luogo non furono tali?) quali il potere, la giustizia e la corruzione. Il duca di Vienna (Eros Pagni) difatti di finge un viaggio, lascia il pieno potere al suo braccio destro Angelo (Gianluca Gobbi) e si traveste da monaco per osservare di nascosto gli eventi in sua assenza. Il duca sa di essere stato in passato troppo buono col suo Popolo nel non applicare le leggi che condannano vizi ed adulteri, ma non vuole nemmeno venire ora additato come tiranno. E, ben conoscendo le inclinazioni puritane di Angelo, sa che egli svolgerà al meglio il compito affidatogli. Difatti questi come primo atto del nuovo regno condanna a morte il giovane Claudio reo di aver messo incinta Giulietta, la ragazza di cui è innamorato e del quale è in realtà promesso sposo. I due, in definitiva, hanno solo precorso i tempi. La causa di Claudio viene allora perorata dalla sorella e novizia Isabella (Alice Arcuri), la quale si reca da Angelo a domandarne non la liberazione, visto che il peccato è stato effettivamente compiuto, ma almeno la grazia. Ma Angelo, sino a qual momento integerrimo castigatore di vizi, è sopraffatto dalla carne e giunge a chiedere alla ragazza la sua verginità in cambio della vita del fratello. Isabella rifiuta e toccherà al duca travestito da frate, attraverso una serie di inganni e colpi di scena, dipanare la matassa, salvare Claudio, punire l'ingiusto Angelo e farsi sposare da Isabella.
Lo spettacolo è, pur con qualche sbavatura (come il balletto lascivo finale di Isabella davanti al duca completamente in contrasto col carattere che la ragazza aveva rivelato sino ad un attimo prima), ben diretto, recitato e curato. Ed è a questo punto che sorge la domanda di cui si diceva all'inizio. Perché? Perché il Teatro Stabile di Genova allestisce oggi, nel 2010, spettacoli come se avanguardie, sperimentazioni e ricerche non fossero mai esistite? O meglio, perché questo allestimento, pur essendo consapevolmente e dichiaratamente realizzato per venire incontro al gusto dominante del pubblico, strizza l'occhio alla veramodernità utilizzando qualche trovata puramente esteriore ripresa da questa o quella avanguardia? Quello che ne risulta alla fine è una commistione ben poco comprensibile. La recitazione e l'impianto generale sono difatti di tipo naturalistico (a parte un Eros Pagni ormai ingabbiato in una recitazione sempre uguale a se stessa, e qualche personaggio comico minore ridotto a macchietta), ma la scenografia è composta da due strutture praticabili mobili molto belle (scale, ripiani sopraelevati e porte) che ruotando e spostandosi danno vita ai differenti ambienti dell'azione. Da notare anche che, benché la scenografia sia decisamente di carattere medioevale, i costumi sono un miscuglio che porta addirittura Claudio e Giulietta ad essere due punk con tanto di maglietta strappata, borchie e ciocca di capelli tinta di viola. In altre scene comparivano una radio ed un registratore portatile. Forse l'intento era trasportare in qualche modo l'azione ai giorni nostri, ma allora si sarebbe dovuta percorrere questa strada sino in fondo e dare un taglio decisamente diverso all'intera messa in scena. E però sono esattamente questi elementi che, presi da avanguardie anche vecchie di cento anni (alcuni esempi di prime scenografie mobili e praticabili risalgono addirittura al futurismo russo ed alle opere di Mejerchol'd), regalano a questo spettacolo una patina di modernità che decisamente non ha. 
Detto questo è lecito allora domandarsi quale debba o dovrebbe essere il ruolo di un Teatro Stabile pubblico come quello di Genova. Salvaguardare una tradizione desueta e ben patinata che riempie la sala di abbonati, o tentare il balzo verso un reale cammino di ricerca? Lo Stabile genovese ha deciso da alcuni anni di relegare la sua modernità alla Rassegna di drammaturgia contemporanea di fine stagione. Ma qui l'attenzione è posta solo sui testi di cui si vuole provare la tenuta col pubblico e non sugli specifici linguaggi del palcoscenico (recitazione prima di tutto, poi scenografie, costumi, luci, ecc.).  E' qualcosa certo, ma può bastare? Anche perché bisogna dire che vi sono esempi positivi in questo senso, ad es. Emilia Romagna teatro coproduce gli spettacoli di Pippo Delbono, forse il regista ed attore più interessante oggi in Italia. Senza dimenticare il sostegno, tra gli altri esempi possibili, dato dal Teatro Stabile di Napoli ad Emma Dante o quello del Festival di Volterra alla Compagnia della Fortezza diretta da ArmandoPunzo.
La domanda resta senza risposta  e Misura per misura uno spettacolo ben fatto buono per passare una serata senza pensare più di tanto. 
Andrea Scarel

Misura per misura, di William Shakespeare
Con Eros Pagni, Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Marco Avogadro, Massimo Cagnina, Fabrizio Careddu, Gianluca Gobbi, Aldo Ottobrino, Nicola Pannelli, Roberto Serpi, Antonio Zavatteri, Antonietta Bello ed Irene Villa
Scenografie di Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl
Costumi di Jean-Marc Stehlé
Musiche di Andrea Nicolini
Luci di Sandro Sussi
Regia di Marco Sciaccaluga
Produzione Teatro Stabile di Genova

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20 ottobre 2010

In libreria

Televisione convergente. La tv oltre lo schermo
a cura di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni
Milano, Linkricerca, 2010

Scheda di presentazione
Convergenza è una delle parole centrali degli ultimi anni. Se ne è parlato molto, ma poco è stato fatto (e scritto) per capire cosa vuol dire davvero e quale sono le sue reali implicazioni. Televisione convergente cerca di colmare questa lacuna, raccontando i cambiamenti nel modo di fare e di vedere la tv attraverso esempi concreti (dal Grande fratello a X Factor, da I Cesaroni a Romanzo criminale, da CSI a Mad Men). Con lo sguardo attento di chi sa che, con il web e la convergenza, i confini del piccolo schermo sono tutti ancora da scrivere.

*link all' Indice e all'Introduzione del libro [leggi tutto]

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16 ottobre 2010

Tv talk: la tv in tv

Tv Talk è un programma di Rai Educational diffuso da Raitre, giunto alla decima edizione. Condotto da Massimo Bernardini, dalla fascia mattutina del palinsesto è passato, quest'anno, a quella pomeridiana, alle 14.55.
Uno "show-magazine" come si legge nel sito del programma  http://www.tvtalk.rai.it/, dove critici, studenti e laureati delle facoltà di scienze della comunicazione, giornalisti e tutti quelli che fanno televisione (autori, registi, presentatori,...), commentano e analizzano la tv, i suoi linguaggi, i retroscena e le curiosità.
Attraverso lo studio della settimana appena trascorsa, con alcuni frammenti video, i titoli dei giornali italiani e internazionali, l'analisi delle curve di ascolto delle trasmissioni o dei film più seguiti, si racconta il mondo televisivo.
Un'attenta osservazione con l'intervento di corrispondenti esteri come Piero Badaloni da Madrid, Franco Schipani da New York o Barbara Serra da Londra.
Puntualità e precisione in quello che gli esperti del settore definiscono programma "metatelevisivo", una televisione autoreferenziale, la tv che parla di tv, di se stessa.
E ne parla per tutti, anche per lo spettatore meno abituato a termini come format, share o web-tv.
Lo consiglio per riscoprire il potere comunicativo di un mezzo che ha cambiato il mondo dell'informazione, e in un certo senso anticipato Internet, strumento che spesso diventa parte del nucleo famigliare.
da seguire su Facebook: http://www.facebook.com/tvtalk
Annamaria Dall'Aglio.

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13 ottobre 2010

Questa sera si recita a soggetto

La stagione del Teatro Stabile di Genova si è aperta martedì 12 ottobre al Teatro Duse con Questa sera si recita a soggetto di Luigi Pirandello per la regia di Alberto Giusta.
Si tratta di uno dei tre testi pirandelliani della Trilogia del teatro nel teatro (gli altri due sono Sei personaggi in cerca d'autore Ciascuno a suo modo) nella quale l'autore scandaglia, smonta e rimonta a suo piacere tutti i meccanismi della messa in scena del dramma borghese ottocentesco. Se nei Sei personaggi in cerca d'autore si analizzano i contrasti tra Attori e Personaggi ed in Ciascuno a suo modo quelli tra Attori e Pubblico, in Questa sera si recita a soggetto viene affrontato il conflittuale rapporto tra Attori e quello che oggi viene comunemente definito regista ma che nel 1929, anno della prima rappresentazione, era ancora indicato come "direttore". Il termine "regista" (derivante dal tedesco régisseur) in Italia sarà introdotto solo nel 1932 nel vocabolario Migliorini e diverrà di uso comune solo dopo la Seconda guerra mondiale. 
Questa sera si recita a soggetto mette in scena il tentativo del direttore tedesco dottor Hinkfuss di mettere una scena la novella Leonora, addio!, di Pirandello anch'essa: un tipico dramma borghese nel quale si intrecciano tradimenti, gelosia e morti drammatiche. Il direttore però vuole allestire la novella senza un copione prestabilito ma attraverso le improvvisazioni (la recitazione "a soggetto" appunto) degli attori. Attori che però non sono liberi di affrontare scene e personaggi come meglio ritengono, ma che vengono costantemente ingabbiati da un direttore che li considera meri strumenti della propria arte al pari delle scenogragie e delle luci. Dapprima gli attori tentano di seguire le indicazioni del direttore e, fra proteste ed interperanze, recitano circa tre quarti del dramma; ma la scena della drammatica morte del padre è disastrosa. Egli dovrebbe entrare in scena insanguinato per la pugnalata ricevuta al cabaret, ma il suo bussare non viene sentito dagli altri attori (impegnati a cantare un'aria del Trovatore) ed alla fine sale sul palcoscenico solo per portare le proprie rimostranze al direttore. Ne nasce una discussione nella quale il direttore dimostra quanto poco importante reputi la necessità di immedesimazione degli attori nei propri personaggi, e quanto sia invece interessato alla realizzazione della sua personale opera d'arte. A questo punto gli attori si ribellano, cacciano il direttore e concludono da soli il dramma recitando, finalmente, come vogliono. Vale a dire mettendo in pratica un'immedesimazione quanto più possibile vera e credibile col proprio personaggio. Addirittura la prima attrice avrà un vero collasso al momento della morte del personaggio. Ma vi è un colpo di scena finale: il dottor Hinkfuss ricompare ed asserisce di non aver mai smesso di guidare, anche a loro insaputa, i propri attori. Come un burattinaio tiene i fili delle proprie marionette. 
L'allestimento curato da Alberto Giusta brilla per la grande capacità dimostrata nel rendere giustizia ad un teatro umoristico (nel senso descritto dal medesimo Pirandello nel saggio L'umorismo) che però spesso viene allestito come estremamente drammatico, cervellotico e noioso. Sicuramente sono stati d'aiuto i molti tagli operati nei confronti di quelle parti didascaliche che Pirandello inseriva nei propri testi proprio perché sapeva quanto possa essere facile per gli attori travisare o distorcere volontariamente il pensiero dell'autore.
Alberto Giusta ha inoltre accentuato, nel suo dottor Hinkfuss, i tratti che rendono questo personaggio un regista-demiurgo, solo ed unico padrone della scena, il quale pone ogni elemento della rappresentazione, attori compresi, a completo servizio della sua arte. Hinkfuss indossa un frack logoro, leggermente troppo piccolo, si muove a scatti perchè nervoso, e fisicamente è quasi sempre leggermente piegato di lato. Forse leggermente stereotipata, ma l'idea dell'artista della prima metà del secolo scorso leggermente sregolato è resa alla perfezione.
Gli altri attori sono parimenti bravi nel continuo gioco di essere se stessi (non a caso si utilizzano i loro veri nomi e cognomi) ed i personaggi del dramma. In particolar modo Mariella Speranza  nella caratterizzazione popolar siciliana della signora Ignazia ed Alessia Giuliani, veramente emozionante nel confronto finale col marito/carceriere Verri (Massimo Lorino), la conseguente morte di crepacuore ed il vero malore dell'attrice. 
La scenografia di Laura Benzi e le luci di Sandro Sussi hanno ben reso l'atmosfera del piccolo teatro di provincia dove è probabilmente ambientata la rappresentazione. Su un palcoscenico libero da quinte e fondali un piccola tenda rossa, sorretta da una struttura metallica, funge da sipario. Alcuni pannelli dipinti ricordano i fondali in uso ai primi del '900; vi sono inoltre alcune sedie di legno e vimini e poco altro. Il tutto estremamente essenziale e funzionale alla rappresentazione. Interessanti poi sono tutte le luci dal basso poste da Sandro Sussi a ricordare come nei teatri primonovecenteschi usasse ancora questo tipo di illuminazione con le classiche luci sulla ribalta. 
Il giudizio generale su questo allestimento è dunque positivo. Rimane solo un dubbio. Perché, dopo la cacciata del regista, il dramma viene rappresentato in maniera così vera e credibile? Nella Trilogia del teatro nel teatro Pirandello ha non solo posto l'attenzione sui nodi focali degli allestimenti teatrali, ma ha anche (e forse maggiormente) decretato, smembrandolo e picconandone le fondamenta, la fine e l'irrapresentabilità del dramma borghese sino a quel tempo (ed anche oggi in fondo) imperante sulla scena italiana. Forse questo tema è maggiormente evidente nei Sei personaggi in cerca d'autore, ma di certo non è estraneo a Questa sera si recita a soggetto. Non sarebbe forse stato meglio portare l'ottima recitazione di Alessia Giuliani ad una carica di emozioni tali da renderla, alla fine, ridicola nel suo cercare di "essere" il personaggio? Questo, ovviamente, senza alcuna presa di coscienza da parte sua o degli altri attori. Pirandello mina la rappresentabilità del dramma borghese che invece, qui, appare ancora perfettamente realizzabileQuesta sera si recita a soggetto è sì un testo incentrato sul rapporto tra il direttore e gli attori, ma la riflessione sul teatro al suo interno è decisamente di più ampio respiro.
Un'ultima notazione. E' interessante che il direttore sia tedesco e non italiano. In Europa invece, ed anche in Germania ovviamente, sin dalla fine del secolo precedente si stava andando definendo il concetto di regista come unico e vero autore, e quindi artista, dello spettacolo. In Italia invece il direttore era inteso, secondo i dettami di Silvio d'Amico, come un garante della volontà dell'autore contro le interperanze degli attori. E' quindi altamente probabile che Pirandello abbia riversato sul dottr Hinkfuss tutta la sua diffidenza per una figura che non considerava il testo come parola sacra da restituire al pubblico, ma come un semplice strumento di lavoro da modificare a proprio piacimento.
Andrea Scarel

Questa sera si recita a soggetto, di Luigi Pirandello

con Alberto Giusta, Davide Lorino, Massimo Brizi, Mariella Speranza, Alessia Giuliani, Cristina Pasino, Alex Sassatelli, Barbara Alesse, Ernesta Argira, Manuel Zicarelli, Carlo Sciaccaluga
Scene e costumi di Laura Benzi
Luci di Sandro Sussi
Regia di Alberto Giusta
Produzione Compagnia Gank e Festival teatrale di Borgio Verezzi; in collaborazione col Teatro Stabile di Genova.
Genova, Teatro Duse, dal 12 al 24 ottobre 2010.

07 ottobre 2010

In libreria

Claudio Cerasuolo
Paladini di carta
Roma, Centro di documentazione giornalistica, 2010.

Scheda di presentazione

Per soldi, fama, opportunità, per potere, giustizia, curiosità, per edonismo, per egocentrismo. Storie irriverenti di giornalisti e giornalismi e di una professione che a volte si fa per caso e più spesso per passione.  [...] Un manuale sul come si è fatta, si fa e si dovrebbe fare informazione raccontato, con l’abilità dello scrittore di gialli e l’accuratezza del cronista. Come un romanzo vengono infatti seguiti filoni paralleli che vanno poi ad intrecciarsi: da un lato una rilettura in chiave storica ed ironica della storia del giornalismo e dei personaggi che, direttamente o indirettamente, hanno contribuito allo crescita ed allo sviluppo della professione, dall’altro le caratteristiche del giornalismo “moderno” e delle tecniche da conoscere e mettere in pratica. Claudio Cerasuolo, per oltre 20 anni responsabile della cronaca giudiziaria de “La Stampa”, dipinge il giornalista come arrivista e filisteo, ma anche come il segugio che se fiuta la notizia non la molla. Disposto, pur di arrivare alla verità e fare uno scoop, a vendere l’anima. La sua e non solo la sua! [leggi tutto sul sito dell'editore].

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