"[...] So che tutti quanti passiamo mille volte da via Ugo Bassi, via Fratelli Bandiera, via Saffi, piazza Garibaldi, via Pisacane, piazza Cinque Giornate e largo Aspromonte, ma so che sono nomi che non hanno più voce e non raccontano più nulla. Salvo quello che c’è scritto sotto: patriota. Che poi, per molti di quelli la patria per cui hanno combattuto e sono morti non assomiglia nemmeno un po’ a quella che per loro conto hanno chiamato così. E so che questo obnubilamento, smemoratezza, estraneità, è l’insoluta tragedia, la sconfitta irrimediabile del mio Paese e del popolo di cui sono parte. Un popolo, ogni popolo, ha bisogno di una storia per sé; un racconto per specchiarsi e condividerne il riflesso attraverso le generazioni e le epoche. La storia di un popolo non può che essere ai suoi occhi una storia grande, anzi, grandiosa; ed unica, allo stesso modo che ogni essere umano sente in cuor suodi essere unico, e sa che la sua vita ha diritto ad essere grande. In qualunque condizione di vita si trovi, in qualunque paesaggio si collochi. La storia di un popolo si forma nella materia di racconti straordinari, perché abbisogna per la sua grandiosità non di nude cronache, ma di un costante romanzare. I racconti diventano leggende, le leggende si fanno epopee, e le epopee costruiscono un romanzo epico in continuo movimento. Quel romanzo, nato orale e collettivo, cresce con la scrittura, con le immagini, con la musica, con ogni strumento adatto a perpetuarne il racconto, rendendolo sempre più grande, diffuso, coinvolgente. Un popolo ha nel romanzo di sé il suo motivo fondante, il suo più potente strumento di duratura affermazione, e partecipa del suo racconto come di una realtà irrinunciabile, l’unica adatta a costruire altre realtà molto più pratiche e materiali. Molto prima di farsi nazione, ed accettare e partecipare di vincoli che lo terranno soggetto ad astratti e vincolanti istituti, un popolo ha già elaborato il racconto della sua storia, e quel racconto gli è necessario proprio per arrivare fin lì. E il suo ultimo e più fiero e tragico capitolo è proprio quello che racconta la sua nascita come nazione. Ed è sempre una rivoluzione o una guerra, una guerra sempre civile. Nessuna nazione potrebbe sopravvivere e prosperare sopra il peso dell’infinità sequela di miserie e tragedie, sconfitte e turpitudini, generate dal suo formarsi, se quegli avvenimenti non fossero elaborati e sublimati, resi persino ultra umani in un corale canto epico. Una storia che tutti sanno cantare, e rinnovare, tutte le volte che il popolo è richiamato a farsi nazione. [... leggi tutto]"
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17 marzo 2011
1861 - 17 marzo - 2011
"[...] So che tutti quanti passiamo mille volte da via Ugo Bassi, via Fratelli Bandiera, via Saffi, piazza Garibaldi, via Pisacane, piazza Cinque Giornate e largo Aspromonte, ma so che sono nomi che non hanno più voce e non raccontano più nulla. Salvo quello che c’è scritto sotto: patriota. Che poi, per molti di quelli la patria per cui hanno combattuto e sono morti non assomiglia nemmeno un po’ a quella che per loro conto hanno chiamato così. E so che questo obnubilamento, smemoratezza, estraneità, è l’insoluta tragedia, la sconfitta irrimediabile del mio Paese e del popolo di cui sono parte. Un popolo, ogni popolo, ha bisogno di una storia per sé; un racconto per specchiarsi e condividerne il riflesso attraverso le generazioni e le epoche. La storia di un popolo non può che essere ai suoi occhi una storia grande, anzi, grandiosa; ed unica, allo stesso modo che ogni essere umano sente in cuor suodi essere unico, e sa che la sua vita ha diritto ad essere grande. In qualunque condizione di vita si trovi, in qualunque paesaggio si collochi. La storia di un popolo si forma nella materia di racconti straordinari, perché abbisogna per la sua grandiosità non di nude cronache, ma di un costante romanzare. I racconti diventano leggende, le leggende si fanno epopee, e le epopee costruiscono un romanzo epico in continuo movimento. Quel romanzo, nato orale e collettivo, cresce con la scrittura, con le immagini, con la musica, con ogni strumento adatto a perpetuarne il racconto, rendendolo sempre più grande, diffuso, coinvolgente. Un popolo ha nel romanzo di sé il suo motivo fondante, il suo più potente strumento di duratura affermazione, e partecipa del suo racconto come di una realtà irrinunciabile, l’unica adatta a costruire altre realtà molto più pratiche e materiali. Molto prima di farsi nazione, ed accettare e partecipare di vincoli che lo terranno soggetto ad astratti e vincolanti istituti, un popolo ha già elaborato il racconto della sua storia, e quel racconto gli è necessario proprio per arrivare fin lì. E il suo ultimo e più fiero e tragico capitolo è proprio quello che racconta la sua nascita come nazione. Ed è sempre una rivoluzione o una guerra, una guerra sempre civile. Nessuna nazione potrebbe sopravvivere e prosperare sopra il peso dell’infinità sequela di miserie e tragedie, sconfitte e turpitudini, generate dal suo formarsi, se quegli avvenimenti non fossero elaborati e sublimati, resi persino ultra umani in un corale canto epico. Una storia che tutti sanno cantare, e rinnovare, tutte le volte che il popolo è richiamato a farsi nazione. [... leggi tutto]"
Maurizio Maggiani
*estratto da M. Maggiani, Risorgimento, chi ci ha rubato gli eroi? , "La Stampa", 17 gennaio 2010.
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