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15 marzo 2011
Crociate
Crociate della regia di Gabriele Vacis si presenta come liberamente ispirato a Nathan il saggio di Gotthold Ephraim Lessing, ma nello spettacolo c'è molto di più. Valerio Binasco, unico attore sulla scena, menziona altre opere: inizia con la Crociata dei bambini per introdurre l'argomento crociate, usa stralci della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso per raccontare la guerra a Gerusalemme e per descrivere l'ampolloso elmo del sultano Saladino.
Tutto svolto a forma di monologo in una scenografia spartana, essenziale. Assieme a Binasco sul palcoscenico infatti solo un lenzuolo bianco in primo piano, una sedia che non si nota subito, degli specchi che formano il pavimento che l'attore calpesta, dei gradini su cui si siede e un disco che pare una luna che lui stesso cala verso la fine. Ma non sono necessari altri elementi, la bravura dell'attore riesce a colmare i possibili vuoti lasciati e tutti i personaggi della narrazione.
L'inizio fa pensare che tutto lo spettacolo segua un altro corso. Con un gioco di luci e di specchi che muove l'attore inginocchiato, sul lenzuolo disteso verticalmente rivolto alla platea vengono proiettati visi di bambini, e Binasco di volta in volta ci mostra gli occhi, il naso o la bocca di queste proiezioni. Questo per introdurre il tema delle crociate, le crociate dei bambini, e per continuare la scena nella classe di quando era bambino a fianco del suo compagno di banco balbuziente Paolo Battazzi che riusciva a porre alla maestra domande pungenti che gli sono costate anche l'uscita dall'aula.
Tutta l'opera si dirama quindi tra l'interpretazione dell'opera illuministica di Lessing, i due bambini a scuola e le spiegazioni che l'attore fa al suo pubblico che, per essere più intime, si rivolge dagli scalini del palcoscenico e con la sua vera voce, con l'umiltà di chi vuole spiegare le cose in modo facile, perché il dolore, le guerre, le “piscine di sangue” che ci sono state durante le crociate, non sono nulla di diverso da quello che si ripete in continuazione nel mondo moderno, ma soprattutto oggi.
Tanti i temi trattati: la tolleranza, la guerra, la religione, l'amicizia che varca le differenze. La Storia ci insegna sempre qualcosa ma qui, più che la Storia è un racconto che vuole guidarci a comprendere che quello che è stato fatto, il fanatismo religioso che nascondeva ben altri interessi, persone che partivano in nome di Dio, che non erano guidati dal altri che dal Papa, dai Re che vedevano interessi di conquista, interessi economici, che pensavano solo a privilegiare su un'altra religione che sembrava sempre quella sbagliata, mentre loro quelli giusti, quelli civili che dovevano andare a sconfiggere il cattivo, il burbero il rozzo ebreo o musulmano.
Dalla voce del bambino Battazzi si chiede: "Come mai non esiste mai una Pace Santa, ma solo alla guerra si associa questo aggettivo?". E la maestra non sa rispondere, perché non si trova una risposta. E forse è questa la domanda che veleggia su di noi che abbiamo assistito alla rappresentazione: più che chiederci quale religione è più importante e perché Dio vuole una cosa e non un'altra, cose che sappiamo già, ma di sicuro non capiamo perché nessuno chieda la pace in nome di Dio, ma solo la guerra.
Valerio Binasco è riuscito benissimo nel suo ruolo di narratore, tipico del teatro narrato di Gabriele Vacis. Riesce a raccontare seriamente, con alcune battute, sottolineate dalla platea con troppa ilarità, ma è erroneo chiamarle così, forse è meglio dire gioco di parole utilizzate per smorzare la tensione dell'argomento non giocoso, tanto che ad uno scoppio di risata degli spettatori è intervenuto con un “No, no!”. L'argomento era serio eccome, e pure molto sentito, ed è riuscito a trasmettere il pathos giusto interpretando da solo quasi una decina di personaggi, e riuscendo ogni volta a dare loro dei tratti che diventavano, all'interpretazione successiva, familiari, così che capissi subito se a parlare era il vecchio Nathan, il templare graziato, il sultano Saladino o il suo compagno di scuola Battazzi.
Quel lenzuolo della scena viene usato come riflesso della scena. Perennemente puntato addosso un faretto che gli dà una venatura per non lasciare il telo bianco candido è un elemento di moto che modifica ogni volta l'atmosfera che accompagna, infatti quando si parla dei templari viene proiettata una croce rossa. Viene anche usato come mantello dei monaci guerrieri o di tonaca del Papa. Viene alzato e riabbassato, sempre da Binasco che funge, oltre che da autore, anche da tecnico scenografico.
Sul palco per un'ora e mezza circa accompagnato da luci che scuriscono e si alzano tanto da illuminare addirittura le prime file degli spettatori, ma soprattutto dalla musica. Una musica moderna anche, canzoni conosciute e orecchiabili, come l'immortale We will rock you dei Queen.
Al termine l'attore è dovuto uscire tre volte prima che gli applausi finissero, anzi li ha quasi dovuti interrompere lui con il tipico movimento da maestro d'orchestra. Un opera di pathos che fa anche riflettere con quel pizzico di amara ironia e un Valerio Binasco bravo e commovente al tempo stesso.
Silvia Dessì
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