Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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31 luglio 2011

In libreria

Iacopo Bottazzi
Montanelli reporter

Roma, Aliberti, 2011, 167 pp. 
Descrizione
Questa non è una normale biografia, ma nemmeno una semplice guida geografica. È entrambe le cose: una sorta di "pedinamento storico" sulle tracce di Indro Montanelli, un'inedita caccia all'uomo condotta attraversando i decenni e i continenti. I luoghi di Indro Montanelli tracciano il cammino della nostra storia recente. È un lungo viaggio a ritroso, alla scoperta di vicende dimenticate e antiche foto ingiallite. Roma, Milano, Firenze e Parigi, ma anche Fucecchio, New York e Addis Abeba: ogni luogo ha la sua storia, e questo libro ce le racconta tutte.
*segnalato da C.S.

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26 luglio 2011

La rappresentazione degli immigrati nei media italiani

L’opinione italiana è spesso divisa sul tema dell’immigrazione. Ma chi è che forma ormai in prevalenza l’opinione che gli italiani hanno di tale fenomeno? I mass media. É quindi molto interessante analizzare l’immagine che questi forniscono riguardo a tale fenomeno.
Innanzitutto si può evidenziare come vi sia, nei discorsi dei media, un rapporto stabile fra immigrazione e criminalità. Questa connessione diventa sia un criterio di selezione delle notizie che criterio di interpretazione e inquadramento della notizia stessa: si tende di fatto a mettere in rilievo la provenienza straniera degli autori di reati (e molto meno di chi subisce un reato) anche quando questa è solo presunta. Il discorso sulla criminalità si unisce anche ad una visione pietistica degli immigrati considerati come persone che vivono in situazioni di marginalità e degrado sociale.
Questa visione si sposa perfettamente con la precedente in quanto nell’immaginario collettivo una persona marginale, povera e in difficoltà viene considerata socialmente pericolosa. I media fanno attenzione solo alla quotidianità e ai piccoli atti criminali: il fenomeno “immigrati” viene presentato soprattutto nella cronaca (nera nella maggior parte dei casi) e nelle pagine di politica interna mentre invece sono da sempre invece molto scarse, se non quasi assenti, inchieste e approfondimenti sul tema.
Le notizie ci suggeriscono quindi prettamente l’idea di un binomio fra immigrazione e devianza: le notizie di atti criminosi da parte di immigrati si susseguono di giorno in giorno, al più cambia il reato che gli si imputa.
Gli argomenti sono quelli dell’invasione (sbarchi, sovraffollamento etc.), della sicurezza e della criminalità (prostituzione, spaccio, terrorismo islamico etc.).  Leggendo qualsiasi giornale si può constatare,come vi siano alcuni leitmotiv: queste ricorrenze possono essere individuate su tre livelli. Nelle pagine “internazionali” e nazionali di carattere generale i due argomenti ricorrenti sono il terrorismo di matrice islamica (legato agli immigrati di fede musulmana) e l’arrivo, come se fosse un’orda, di “clandestini” nelle nostre coste.
A livello nazionale, ma prevalentemente nelle pagine dedicate alla cronaca, e in quelle locali, l’immigrato viene descritto nella maggior parte dei casi come un deviante: vengono infatti presentate un susseguirsi di notizie riguardanti atti di microcriminalità imputabili a stranieri. Emergenza, clandestinità, invasione, sbarchi, criminalità, disperazione e terrorismo sono parole che ricorrono costantemente in relazione all’immigrazione.
I mass media attuano un’informazione molto schiacciata sugli eventi contingenti -e su quelli più sensazionali ed emotivi connotati in termini di conflitto, emarginazione etc.- e poco propensa non solo all’inchiesta e all’approfondimento ma anche alla sua semplice problematizzazione secondo diversi punti di vista. L’immigrato infatti fa notizia soprattutto se è coinvolto in episodi di cronaca nera o è oggetto dell’azione istituzionale; raramente diventa protagonista di reportage giornalistico in quanto espressione di un mondo, di una cultura, di un vissuto diverso che viene a contratto con la nostra realtà .
Il tema immigrazione viene trattato prettamente come un problema da risolvere (solitamente di ordine pubblico) e come emergenza, più che come un fenomeno da analizzare e approfondire: questa dimensione problematica e di eterna eccezionalità e emergenza trasmette un’idea erronea del fenomeno, non facendo comprendere all’audience che l’immigrazione è un fenomeno ormai strutturale e ordinario della nostra società. La migrazione viene così presentata quasi come una fatalità, non come l’inevitabile conseguenza di una sviluppo economico diseguale fra paese e paese. La continua ripetizione di immagini di sbarchi, l’uso di termini come invasione, clandestini etc. porta a creare una sorta di panico morale nella società, creando una sindrome da invasione, da cittadella assediata. Sono infatti molto spesso proprio i media che costruiscono e fomentano l’allarme sociale, soprattutto a partire dai singoli episodi di cronaca.
Ciò che caratterizza il discorso sull’immigrazione è infine la creazione di un senso comune sull’argomento. Si creano così una serie di stereotipi e categorizzazioni che rappresentano l’extracomunitario come portatore di degrado, violenza e criminalità: si impone di conseguenza l’idea che l’immigrazione debba essere controllata se non addirittura completamente fermata. A dare una legittimazione a quanto detto dai mass media sono le numerose citazioni di rappresentanti istituzionali (forze dell’ordine, politici etc.) o presunti esperti del tema; a ciò fa da contr’altare una pressoché assenza di parola dei diretti interessati.
Giacomo Solano

*Il presente articolo è una rielaborazione di una parte di un saggio sull’argomento, dello stesso autore, presente in un libro uscito quest’anno: Baggiani B., Longoni L., Solano G. (a cura di), Noi e l'altro? Materiali per l'analisi e la comprensione dei fenomeni migratori contemporanei, Discanti Editore, Bagnacavallo (Ra), 2011 (con saggi di Aime Marco, Arvati Paolo, Baggiani Bianca, Ballerini Alessandra, Carlini Giuliano, Longoni Laura, Palidda Salvatore, Petrillo Agostino, Queirolo Palmas Luca, Solano Giacomo).
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25 luglio 2011

Riflessioni sull’analisi dei fenomeni migratori nell’era della globalizzazione

Alla luce dei processi di globalizzazione è utile rileggere in una chiave diversa e nuova i fenomeni migratori, fenomeni che stanno sempre più diventando strutturali nello scenario mondiale. A livello globale le persone residenti in un Paese diverso da quello di nascita sono in costante aumento. Secondo le stime delle Nazioni Unite queste sono circa 214 milioni, pari a più del 3% della popolazione mondiale. Questa cifra, che può sembrare irrisoria, è comunque in costante ascesa ed è rilevante in quanto i migranti si concentrano prevalentemente in alcuni Paesi (ma è bene specificare non solo ed esclusivamente in quelli del cosiddetto primo mondo).
Prima riflessione da trattare a proposito dei fenomeni migratori nell’epoca della globalizzazione è quello della riscoperta di culture, identità ed etnie più o meno fittizie. Quello che in questa sede è interessante mettere in evidenza è che le identità sono spesso, se non sempre, costruite attraverso processi di “immaginazione”; alla base della costruzione dell’identità troviamo spesso un processo di purificazione e di eliminazione delle impurità. L’identità, la cultura e anche l’appartenenza etnica sono quasi sempre costruzioni che non affondano le loro radici in tempi antichi, ma sono tradizioni (ri)scoperte in risposta ai bisogni della comunità che se ne appropria: per citare una celebre frase dell’antropologo sociologo francese Gerard Lenclud “non sono i padri a generare i figli, ma i figli che generano i propri padri”. Questa riscoperta delle identità, dovuta, per dirla banalmente, all’effetto di insicurezza e sradicamento che i processi globali instillano nelle persone, ha una profonda conseguenza sulle relazioni interculturali che i processi migratori provocano: le relazioni con l’altro vengono sempre più sviluppate attraverso le categoria della paura (di contaminarsi, di perdere la presunta “purezza culturale”) e del rifiuto.
È bene però precisare che spesso queste dinamiche di rifiuto dell’alterità sono messe in atto dai cosiddetti “imprenditori della paura”, cioè tutte quelle persone (politici, rappresentanti delle istituzioni, associazioni rappresentanti interessi particolari etc.) che fomentano il clima di sospetto e insicurezza, promuovendo un clima di intolleranza e cavalcando le inquietudini dei cittadini indirizzandole contro gli stranieri, gli immigrati. Queste categorizzazioni “negative” vengono attuate soprattutto quando si parla di collettività (per esempio i rom, gli arabi etc.), invece, nel concreto, quando si hanno interazioni singole (per esempio con il vicino di casa straniero) queste retoriche vengono meno, o comunque diminuiscono notevolmente.
Altra importante tematica é quella dei percorsi migratori: infatti se negli anni ‘70 e ‘80 questi erano statici o comunque molto lineari, con le nuove tecnologie questi sono stati completamente rimodellati. Fino a poco tempo fa il percorso era prevalentemente del tipo “spostamento da paese A a paese B”, con eventuali processi di ritorno comunque poco frequenti, ora invece si hanno esperienze radicalmente diverse. I nuovi “viaggi della speranza” si snodano tranquillamente su più Paesi, in modo da poter cogliere le opportunità che nel corso del tempo si presentano. Sempre più si hanno spostamenti in più Paesi: un migrante può cercar fortuna in uno Stato, che abbandona nel caso di un fallimento per trasferirsi in un’altra nazione ancora; dopo un po’ di tempo accumula qualche risparmio e allora può ritornare per un po’ di tempo nel Paese di origine, salvo poi riemigrare nuovamente..
Terzo argomento rilevante è quello dell’analisi del diffuso fenomeno delle gang giovanili. Attraverso l’appartenenza alle gang i giovani migranti cercano di affermare la loro appartenenza al territorio in cui vivono per uscire da quel cono di invisibilità positiva e ipervisibilità negativa in cui sono relegati: la maggioranza degli episodi violenti documentati sono riconducibili a questo bisogno simbolico di affermazione, più che a vere e proprie condotte criminose legate allo sfruttamento della prostituzione o allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Connesso all’appartenenza alle gang c’è quindi un processo di costruzione di identità, di mondi immaginari e costruiti socialmente in un meccanismo che potremmo chiamare di home- making. L’appartenenza alle gangs, l’orgoglio della propria identità (basti pensare al mito della raza latina per esempio) e l’ostentazione di simboli e stili che permettono di distinguersi dal resto dei propri coetanei è un meccanismo classico della trasformazione dello stigma in emblema.
Giacomo Solano

*Percorsi di lettura sull'argomento:
Longoni L., Solano G.; Baggiani B. (a cura di), Noi e l'altro? Materiali per l'analisi e la comprensione dei fenomeni migratori contemporanei, Discanti Editore, Bagnacavallo (Ra) 2011; Palidda S., Mobilità umane. Introduzione alla sociologia delle migrazioni, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008.

*Questo articolo accoglie alcune tematiche emerse nel corso del ciclo di lezioni “Noi e l'altro?Analisi dei fenomeni migratori e dei rapporti interculturali nell'era della globalizzazione”, organizzato da alcuni studenti dell’Università degli Studi di Genova, coadiuvati da Laura Longoni (Docente di Sociologia della comunicazione presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Genova), nelle giornate del 3, 6, 11 Maggio 2010 presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Genova. Ciclo di lezioni che ha visto la partecipazione di Marco Aime (Docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Genova), di Paolo Arvati (Docente di Statistica sociale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Genova), di Alessandra Ballerini (Avvocato civilista esperta di diritti umani e immigrazione), di Giuliano Carlini (Docente di Sociologia delle relazioni interculturali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Genova), di Salvatore Palidda (Docente di Sociologia dei processi migratori presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Genova), di Agostino Petrillo (Docente di Sociologia presso il Politecnico di Milano) e di Luca Queirolo Palmas (Docente di Sociologia dei processi migratori presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Genova).
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23 luglio 2011

Libri ri/trovati



Denis Diderot
Sulla libertà di stampa 
a cura di Pino di Branco,
Milano, La Vita Felice, 2011, 256 pp.


 
 
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20 luglio 2011

Ritrovare la responsabilità della nostra cultura

"[...] La cultura dipende dalla nostra crescita civile ed interiore non dal nostro reddito. Noi italiani siamo stati i primi ad inventare il cittadino responsabile fra il Trecento e il Cinquecento con l’Umanesimo e il Rinascimento. Perché l’Italia ritorni ad essere culturalmente una super potenza dobbiamo prima domandarci come è successo che a centocinquanta anni di splendore sia seguita la nostra lunga servitù civile e morale con il suo bagaglio di sudditanza, di menzogne, di opportunismo e di cinismo. Dobbiamo quindi ritrovare la responsabilità culturale e la sana dimensione di un egoismo civile che ci porti a considerare ogni angolo del nostro Paese e della nostra cultura un angolo di cui siamo legittimi proprietari. Un angolo che dobbiamo e vogliamo curare. Un angolo del quale siamo responsabili. Curare nel senso di prendersi cura. Curare nel senso di guarire i malanni che hanno reso la cultura ed i suoi beni un malato, se non terminale, un malato grave. Essendo un curatore di professione, nel bene e nel male, è chiaro che sia convinto che l’Italia abbia necessità di una società e di una classe politica che si prendano la responsabilità di assumere il ruolo di curatori della propria cultura. Curare significa creare un’armonia, una funzionalità, un’efficacia e un dialogo fra parti diverse. Curare significa costruire un sistema funzionante, fruibile e leggibile di tante realtà autonome ma complementari fra di loro. Curare la cultura del proprio Paese vuol dire sentire il dovere e la necessità di rendere percorribile una rete che unisca l’espressività geografica ed artistica del nostro territorio, fatto di così tante e differenti parti, collegando il patrimonio artistico con la contemporaneità. Una contemporaneità che non è fatta solo di musei e di mostre ma è costituita da tanti soggetti e contesti vivi e vivaci; musicali, teatrali, cinematografici, architettonici, artistici. La cultura ha bisogno di moltissimi interventi e di molti meno eventi. [...]"

Francesco Bonani




*F. Bonani, La cultura non è petrolio, "La Stampa", 23 giugno 2011.

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18 luglio 2011

Meraviglioso luglio italiano

A vederlo da fuori deve sembrare una meraviglia il luglio italiano: santi e cristi che escono dalle chiese e ballando nelle strade si scrollano felici e contenti di dosso la polvere, paesi che vai feste che trovi, fuochi d'artificio, ravioli e vitello tonnato, belle ragazze sulle spiagge e un cielo blu, dipinto di blu, che è sempre più blu.
Cartolina buona per i giapponesi forse, neanche più per gli americani, l'Italia non è questa. Lo è stata, forse per un decennio, dal 1959 al 1969, dal boom economico al boom di Piazza Fontana: Mastroianni baciava la Loren, Sordi mangiava gli spaghetti, si costruivano palazzi in cemento armato e la buona massaia usava il dado Knorr; anni ipocriti in cui vigeva una democrazia cristiana che con Cristo aveva poco da spartire e un comunismo a ruota che invece pareva a molti essere stato fondato da Gesù in persona per i principi che in un'Italia appena alfabetizzata si mescolavano in un intruglio che ci ha resi quel che siamo oggi.
Ma i tempi cambiano, e lo fanno al ritmo di chi decide l'economia e la manda all'aria e al ritmo di chi conseguentemente decide le manovre finanziarie per aggiustare l'economia (peccato che spesso le persone coincidano). Così oggi un Italiano consapevole deve rendersi conto che non esiste più il clima da commedia all'italiana, ma piuttosto da tragedia all'italiana e comportarsi di conseguenza, nel suo piccolo, non scendere in piazza a festeggiare, perché nulla c'è da festeggiare, semmai andare a rivedere qualche capolavoro cinematografico di neorealismo e meditare sul cambiamento dei tempi in corso.
Davide Olivieri

15 luglio 2011

In libreria


Simona Guerra (a cura di)
Mario Dondero
Milano, Bruno Mondadori, 2011, 224 p.
Descrizione
 “Se non vedessi la fotografia come documento, come testimonianza possente della storia e dei fatti, prevarrebbero in me altri interessi. Parlo di interessi sociali, politici, molto più importanti per me dei fatti estetici. È dall’importanza della fotografia come strumento di assoluta testimonianza che nasce il mio impegno come fotografo.” Mario Dondero, nato a Milano nel 1928, è uno dei più noti fotoreporter italiani. Ha vissuto a lungo a Parigi. Continua a girare il mondo e a ritrarre gli uomini e la loro storia, per giornali, riviste e associazioni umanitarie come Emergency. È membro onorario della Compagnia Unica dei Portuali di Genova.
*link al sito di Mario Dondero.

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14 luglio 2011

In libreria

Stefano Cristante
 Prima dei mass media.
La costruzione sociale della comunicazione
Milano, EGEA, 2011, XX-234 p.
Descrizione
La maggior parte degli studi di storia sociale della comunicazione prende le mosse dalla fine dell'Ottocento, un'epoca in cui la comunicazione era già "comunicazione di massa" grazie ai giornali e alla comunicazione elettrica via telegrafo. Ma la costruzione sociale della comunicazione è evidente sin dall'alba dell'homo sapiens e cresce in complessità via via che nuovi mezzi di comunicazione vengono ideati e utilizzati. Obiettivo di questo volume è di andare a ritroso nel tempo, fino ad attribuire alla comunicazione un significato strategico nel cuore dell'intera storia umana. Dai poemi omerici ai Vangeli, dal monachesimo medievale alle strategie di comunicazione politica di Federico II, dal teatro elisabettiano ai discorsi dei deputati francesi durante la rivoluzione, dagli emblemi delle corporazioni medievali alle simbologie della potenza usate da Luigi XIV, "Prima dei mass media" racconta attraverso quali tappe fondamentali l'Occidente sia giunto alle soglie dell'elettricità, tecnologia che inquadra l'epoca dei mass media. Prima di essi l'umanità aveva già dietro di sé una ricca e affascinante storia comunicativa
*link all' Indice e Prefazione del libro.

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11 luglio 2011

Scaffale amico

Isabelle Pesce
De Tiglieto à Saint-Mard de Réno. Les Zunino, itinéraire d'une famille italienne dans le Peche. Histoire et langue,  Saint-Hilaire de Montligeon, Editions Les Amis du Perche, 2011,  126 pp.

Il libro rievoca una storia di immigrazione iniziata nel 1928 quando gli Zunino lasciarono Tiglieto, piccolo centro dell’Appennino ligure, per stabilirsi e radicarsi in Normandia, nel cuore della regione di Perche. Lì, di generazione in generazione, nella quotidianità familiare, il dialetto della terra d’origine si è via via mescolato con la parlata locale, il Percheron. Partendo dagli affetti familiari l’autrice, docente di francese presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Genova, ha studiato  questo lento percorso sotto il profilo storico e linguistico proponendo al lettore i risultati di una ricerca che ha il pregio della originalità e del rigore scientifico.
*link alla scheda di presentazione del libro.

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10 luglio 2011

In libreria

Stefano Nazzi
Kronaka. Viaggio nel cuore oscuro del Nord
Roma-Bari, Laterza, 2011, 176 pp.
Descrizione

Una inchiesta giornalistica rigorosa, una scrittura narrativa serrata, otto storie di cronaca nera che lasciano increduli. «Le statistiche raccontano che il Nord Italia è la zona più ricca d'Europa. Ma sono anche altri i primati. Nella classifica della crescita dei delitti, tante province settentrionali occupano i primi posti. Il 45 per cento delle violenze in famiglia avviene proprio qui, dietro le finestre illuminate del Nord Italia. Bisogna tornare a conoscerla questa parte di paese. Non solo attraverso i primati delle fabbriche, dell'urbanizzazione e delle dichiarazioni dei redditi. C'è altro, molto altro, lungo le strade che percorrono la pianura e le zone pedemontane da ovest a est. I fiumi, che innervano il Nord, trasportano vicende a volte dimenticate. C'è un viaggio da fare, attraverso la ricca Lombardia e nel Veneto del miracolo. Un viaggio che inizia in un paese di nemmeno 10mila abitanti in provincia di Pavia, sulle sponde del Ticino»: si parte da Garlasco e si arriva a Gorgo (Treviso), passando per Somma Lombardo (Varese), Como, Chiavenna (Sondrio), Milano, Leno (Brescia) e Verona. Un giornalista decide di entrare nelle case di questo Nord, di chi uccide e di chi è stato ucciso, di scoprire le emozioni, i sentimenti, le passioni che stanno dietro i delitti più efferati, di indagare sui rituali più crudeli degli ultimi anni. Queste pagine sono il suo racconto.
*link all'Indice del libro.
*segnalato da C.S.

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07 luglio 2011

In libreria

"[...] È noto che le lettere a un giornale o a una rivista hanno una duplice valenza: sono sì la voce dei lettori, ma la risonanza che le è data dipende dal direttore che sceglie quali pubblicare e cosa rispondere. E questo, in un equilibrio che nonostante tutto il direttore non sempre può maneggiare a proprio piacimento: quando il consenso generale dei lettori si sposta in una certa direzione, anche la consueta opera di filtraggio e dosaggio dei messaggi e delle risposte non può sconfessarla.[...]".
Enzo Bianchi, "Tuttolibri", 18 giugno 2011

Antonio Sciortino
Il limite. Etica e politica nelle lettere di "Famiglia Cristiana"
Roma-Bari, Laterza, 2011, 216 pp.
Descrizione

L’Italia di domani ha bisogno di valori robusti, e di più dignità civile, etica e religiosa. Da tempo, abbiamo superato ogni limite. E anche la soglia della decenza, senza pudori e vergogna. Ma qualche spiraglio di luce c’è. A patto che la gente torni a indignarsi. Contro chi, con arroganza e furbizia, calpesta norme e legalità nel mondo del lavoro, nelle professioni, nei rapporti con le istituzioni e in ogni espressione della vita sociale. Contro soprusi, inefficienze e illegalità. Come raccontano queste storie di vita. L'autore del libro Antonio Sciortino è direttore del settimanale "Familgia cristiana"
*link all'Indice del libro.

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06 luglio 2011

Libri ri/trovati

Marshall McLuhan
 La galassia Gütenberg
Roma, Armando Editore, 2011, 440 p.
Descrizione
Ne "La galassia Gutenberg", la riflessione di McLuhan si concentra sull'invenzione della stampa a caratteri mobili, valutandone le caratteristiche di medium. L'intento di questo libro è quello di ricercare nelle modalità di comunicazione del passato le dimensioni dell'uomo contemporaneo che si muove in una società, dominata dai media elettronici, in continuo e frenetico mutamento e ancora tutta da scoprire e decifrare.

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03 luglio 2011

David nella Valle di Elah

Tre mila anni fa Davide. Oggi la storia si ripete contro il gigante a stelle e strisce
Segreti, omertà e una bandiera a stelle e strisce capovolta, preambolo di una triste verità, segnano i momenti cruciali di un dramma, di una storia vera resa al cinema in una pellicola prodotta nel 2007 dalla Blackfriar’s Bridge: Nella Valle di Elah. È un giorno apparentemente tranquillo, quando all’improvviso, Hank Deerfield riceve una telefonata. Una strana sensazione lo pervade. È l’inizio di una drammatica escalation che lascia senza fiato.
Paul Haggis, sceneggiatore e regista, realizza con abile maestria un film denuncia capace di toccare il cuore. L’impatto e l’intensità della narrazione, la brutalità e le barbarie che la guerra porta con sé, stravolgono l’anima di chi crede fermamente nei valori e nell’ideologia della propria nazione. Allora pensi è solo finzione, purtroppo no, è realtà. Un’amara realtà. Ecco materializzarsi davanti alle nostre coscienze l’ipocrisia di uno Stato che, vuoi per interessi, per quella smania di grandezza spedisce allo “sbaraglio” uomini e donne, come se fossero delle pedine abilmente manovrate, a combattere una guerra, lacerante. C’è dunque, una guerra da combattere ma il campo di battaglia non è l’unico “teatro” a vederla protagonista, si assiste ad un conflitto interiore e a farne le spese sono anche i sopravvissuti. Si, proprio loro. Quei giovani che tornano nelle loro terre profondamente cambiati perché la guerra corrode gli animi, li mette a nudo in tutta la loro aggressività, ferocia quasi animalesca per cosa poi? Una causa nobile? Niente di tutto ciò.
Uno straordinario Tommy Lee Jones interpreta il vecchio Hank, un uomo gelido quasi marmoreo ma con una irrefrenabile voglia di giustizia. È caparbio, non si arrende, indaga sulla misteriosa scomparsa del figlio di ritorno dal fronte iracheno, settantadue ore di licenza, tutti rientrati, eccetto Mike, dissolto nel nulla, non era da lui e questo getta nella disperazione i genitori già segnati dalla morte del loro primogenito in una delle tante missioni che solo l’America riesce a mettere in piedi. Parte alla volta di Fort Rudd nel New Mexico, ma l’inconsistenza e la superficialità della polizia locale spingono l’ex agente a dare corso ad indagini personali.
Film che non ha nulla da invidiare ad un thriller, la tensione è destinata a crescere e trova uno dei suoi momenti più alti nel recupero del cellulare appartenuto allo scomparso. Le analisi della memoria del telefono fanno emergere riprese atroci, inquietanti. Si cambia “frame” e la scena si fa’ cruda, in un campo incolto di proprietà dell’esercito viene recuperato un corpo smembrato, bruciato, lasciato in pasto agli animali notturni che ne hanno spolpato le ossa. È lui, è Mike. Come si fa a descrivere una simile efferatezza? Le parole non possono bastare ciò che parla è il cuore, le emozioni che ciascun essere umano prova nella sua interiorità. L’imperturbabile espressione di Jones racchiude al meglio il dolore di un padre, non una lacrima solca il suo viso ma l’orgoglio e una fiera determinazione lo spingono a scandagliare, come un sonar, ogni singolo momento della vita del figlio. Al fianco di Hank il detective Emily Sanders, interpretata magistralmente da Charlize Theron, donna vittima di mobbing, in un ambiente professionale fin troppo maschilista. I due scopriranno una triste realtà, una verità scomoda che farà crollare quel sistema di valori forti, quel patriottismo tanto sbandierato che hanno stroncato, ad Hank e alla moglie Joan, una commovente e toccante Susan Sarandon, due giovani vite.
La Valle di Elah è quel brandello di deserto israeliano in cui, cita la Bibbia, il Re Saul mandò il figlio David, armato di sole cinque pietre, a combattere contro Golia. La trasposizione alla pellicola è evidente: chi manderebbe un giovane a sfidare un gigante? Chi ha ucciso Mike, uno sviscerato patriottismo paterno o federale? Nessun singolo colpevole, la responsabilità è unanime. Anche la nostra. In fondo gli elettori siamo noi.
Lucy Giovanna Principato

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02 luglio 2011

Libri da ardere

E tu, quale libro salveresti dalle fiamme a costo della vita?
Si scatena il fuoco ed ecco materializzarsi l’inferno tragico della guerra scandito dai colpi di cannone. E come contrappunto si scatena il gelo con l’inverno pungente che penetra con cinismo nei corpi e nei cuori. Nessuna via d’uscita, tutto intorno è distruzione e morte. C’è una guerra da combattere ma il campo di battaglia non è l’unico “teatro” a vederla protagonista, si assiste ad un conflitto interiore, egoistico, un singolare ménage a trois: il professore, l’assistente e la giovane studentessa costretti dai sanguinosi eventi ad una convivenza forzata. Fabio Rivieccio con la Compagnia dello Scagno, al Teatro Instabile di Genova mette in scena l’unico testo teatrale di Amélie Nothomb, con sobrietà, ironia ed eleganza.
Una città sotto assedio, bombardamenti, spari risuonano come stridenti melodie per le strade al ritmo delle urla straziate e strazianti, un’università centro della più effervescente attività culturale ridotta ad un cumulo di macerie. Simboli di una realtà, di un’umanità disarmata, lacerata, offesa. La guerra spoglia gli animi, li mette a nudo in tutta la loro aggressività, ferocia quasi animalesca per godere di quel calore, unico sottile barlume di sopravvivenza, in un appartamento sempre più gelido e ostile. Ed è proprio quell’appartamento, strabordante di libri, il set dal quale si dipana la storia dei tre. Al centro della scena, il motore della vita e unica ancora di salvezza, una stufa metafora di esistenza per questi sopravvissuti e inferno distruttivo per la letteratura. Le drammatiche circostanze suggeriscono a Marina, fidanzata di turno di Daniel e amante per necessità, per istinto di sopravvivenza, dell’accademico, a bruciare i libri per riscaldare quelle fredde mura.
La selezione dei libri da ardere è inizialmente appannaggio della cattiva letteratura che paradossalmente non coincide con quella rigettata dai cattedratici: ironia della sorte, proprio quella letteratura oggetto di dissertazioni, commentata e celebrata durante le lezioni dal professore è la prima ad essere mandata al rogo, mentre un romanzetto d’appendice Il ballo dell’osservatorio, sottovalutato, deriso sarà destinato ad essere l’ultimo libro superstite.
Ed è proprio Marina, fautrice e ispiratrice dell’arsura dei testi universitari, ad aggrapparsi a quel romanzo. Lo difende con tutta la forza che gli è rimasta in corpo, a costo di esaurire le restanti energie come se fosse l’ultimo suo legame con la vita. D’altronde il valore di un libro non si misura dalla profondità dei temi trattati o dalla notorietà dello scrittore. C’è di più. Molto di più. C’è il valore umano che “trasuda” dalle sue pagine, c’è un ricorso ai propri ricordi, alle proprie fantasie, alle proprie emozioni. Il ballo dell’osservatorio è inquisito, sembra quasi un condannato a morte in attesa di essere giustiziato. Nessuna amnistia. È costretto ad ardere, questa è la sentenza, per soddisfare un bisogno, questa volta no, non della mente ma del corpo. La sua ultima fiammata, quel momentaneo calore sprigionato e poi il vuoto, implacabile cala il gelo. Scaffali vuoti. Nessun combustibile da bruciare per continuare a sperare, per vivere. È giunto il momento. Non rimane allora, che accelerare i tempi. Il loro tragico destino è segnato, la gelida grande piazza li attende. E quasi fosse una “litania” umana uno dopo l’altro vanno incontro alla morte per tornare cenere, in compagnia di quella stessa cenere che per antitesi li ha ancorati saldamente alla vita e che in quella stufa ha trovato il suo sepolcro.
Libri da ardere andato in scena, il 14 e il 15 maggio, può contare su un trio di interpreti molto affiatato e ben collaudato, a partire da Massimo Orsetti, che con grande ironia e spirito di immedesimazione ha reso al pubblico un’interpretazione magistrale del professore di letteratura. Le sue movenze sul palco erano naturali, il suo viso mascherava bene ogni emozione vissuta dal suo personaggio, a lui si contrappongono i due giovani. Lo scettico e irreprensibile Daniel, interpretato egregiamente dall’attore Andrea Scarel. Una prova di carattere la sua, ha “vestito” con assoluta naturalezza e carisma il giovane assistente universitario. Infine l’inquieta, profonda e nevrotica Marina, interpretata dalla bravissima Licia Di Cristina che con disinvoltura ha dato il giusto contributo al suo ruolo senza mai essere troppo scontata e melodrammatica.
In un Teatro Instabile pullulante di ricordi, si incontrano per le scale come antichi pezzi da mausoleo, abiti andati in scena a decretare il successo di una qualche rappresentazione, locandine incorniciate ai muri a rappresentare il passaggio di compagnie di attori. Accogliente e avvolgente l’aria che si respirava a pochi minuti dall’inizio del dramma teatrale.
Lucy Giovanna Principato

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