Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti. (Bernardo di Chartres)
Ecco come si apre il libro di Michele Mezza, giornalista RAI ed ideatore di RAI News 24. Un bell’entimema, come direbbe Aristotele, estremamente vincente per attirare l’attenzione sulle pagine a seguire.
L’obiettivo che Mezza si propone è quello di provare che la rete altro non è che un ritorno di valori, ibernati dall’avvento del sistema fordista. Sistema, come si sa, basato sulla verticalizzazione gerarchica dell’azione produttiva, che cancellò quella cultura della cooperazione individuale ripresa, ad oggi, proprio dalla cara, ma non vecchia, rete. E indovinate un po’? Proprio grazie a questa cooperazione orizzontale oggi i social network (più simili ai mercati boari, che agli shopping center) sono i modelli sociali che si diffondono più rapidamente sul pianeta.
Facendo un rapido excursus nella storia della civiltà europea, si scopre che è stata proprio la possibilità di riprodurre i libri a spezzare quella verticalizzazione che gerarchizzava in maniera oppressiva la società. La pergamena, simbolo del potere, diventava libro, e il libro diventava controllabile, negoziabile.
Ma questo volumetto, da leggere tutto in una volta per paura di perdere dei passaggi salienti, non parla certo di libri, né di storia, ma parla di presente e di futuro.
Tira in ballo giornalisti ancora troppo attaccati al passato per aprire gli occhi ed adattarsi ai tempi che corrono, che scappano e scivolano via, lungo una rete di fibre ottiche ed abbonamenti “flat”.
Oggi purtroppo solo alcuni si accorgono dei cambiamenti che stanno scuotendo l’intero mondo della comunicazione, e non per questo riescono ad “afferrare il toro per le corna”, come si usa dire.
È il caso di Obama, Presidente super acclamato degli Stati Uniti d’America, che ha basato la propria campagna elettorale proprio sulla rete. Come mai il candidato più improbabile, il meno scontato, è riuscito a far breccia nel cuore del popolo americano? Indubbiamente perché ha saputo sfruttare al meglio il potere di internet e dei social network.
Fin qui tutto liscio.
Poi però qualcosa è cambiato, generando un effetto boomerang che ha causato un altro genere di breccia, questa volta nella credibilità del Presidente; è bene tener sempre presente che il popolo della rete è utilitaristico e competitivo proprio mentre è generoso e trasparente, ed Obama si è trovato davanti al rischio di farsi disintermediare dal popolo che lui stesso ha appoggiato, e che ha sottovalutato.
Come diceva Mao “anche la rete non è un pranzo di gala”.
Al giorno d’oggi siamo investiti non tanto da una vera e propria rivoluzione, quanto piuttosto da una rivelazione, portata soprattutto dall’evoluzione giornalistica. Ognuno di noi diventa giornalista, diventa “spettautore”. La dimostrazione lampante di questo si ebbe, per esempio, durante le due guerre in Iran ed in Iraq.
Mentre i giornalisti embedded si perdevano tra i cavilli della burocrazia militare, le notizie arrivavano fluide e precise dai palmari dei soldati che scrivevano alle famiglie, in tempo reale.
Siamo noi a fare la notizia, noi a mediare la nostra informazione. E per sopravvivere i giornali devono dimostrare di essere qualcosa che va molto oltre la tipica idea di giornale. L’autore indica varie strade per realizzare questa possibilità, tra cui il giornalismo on demand, il graphic journal e non ultimo il metodo delle hyperlocal news. Ma se tutto questo si attualizzasse, che ruolo avrebbe l’editore di informazione? L’unico a sopravvivere probabilmente sarebbe Mr. Murdoch, ovvero il magnate che ha praticamente inventato l’e-commerce delle informazioni.
Un altro punto che Mezza sottolinea è l’importanza della territorialità delle notizie, nonché della sesta W, che sta per While, ovvero il mentre, il momento in cui la notizia sta accadendo, il tempo reale.
Basandosi proprio su questa necessità del pubblico di avere notizie “fresche” e che lo riguardino da vicino, porta avanti, da qualche tempo, la sua idea di fondere la struttura del TGR con RAI News 24, e dispensa consigli alla RAI, chiedendo di passare “dal cavallo alla farfalla”, ovvero “di abbandonare l’abitudine, da parte dei dirigenti della televisione pubblica italiana, a pensarsi come un colosso che si fa seguire dal suo pubblico, e invece di iniziare a diluirsi in un progetto che colga le mutazioni di una domanda di comunicazione sempre più differenziata, specializzata e composita, dove l’utente si confonde con l’autore di linguaggi comunicativi”.
Anche perché, ormai, la TV generalista è stata abbandonata dal Dio del successo, la cosiddetta “couch TV” è stata buttata nel dimenticatoio per dare spazio ad una TV portatile, diventata un’applicazione del cellulare, un po’ come snake, per chi ricorda cosa fosse, ai tempi d’oro.
La televisione dal canto suo si dimena, si gioca la carta dell’alta definizione, ma deve vedersela non solo con la TV mobile dei cellulari, ma anche con quella in streaming della rete.
È finito il tempo in cui la RAI si identificava in questo o in quel direttore, in questo o in quel conduttore. È arrivato il momento, per la radiotelevisione italiana di tornare ad essere quel colosso innovativo che ha fatto la storia. Ma perché questo si realizzi è necessario ritrovare un senso di utilità che non può più coincidere con una specifica cultura politica, come sta succedendo oggi.
Enrica Basso
Michele Mezza
Sono le news, bellezza! Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale.
Roma, Donzelli editore, 2011, pp. XIV-194.
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