«La Vie Française era, soprattutto, un giornale d’affari, il padre un affarista a cui la stampa e il mandato parlamentare avevano servito da trampolino. Della bonarietà si era fatta un’arma, aveva sempre manovrato sotto la maschera sorridente di un brav’uomo, ma non affidava un lavoro, qualunque fosse, se non a gente che aveva davvero conosciuta, provata, istruita, e che sentiva astuta, audace, arrendevole. Duroy, nominato capo cronista, gli sembrava un ragazzo prezioso. Quell’incarico era stato affidato fino ad allora al segretario di redazione, Boisrenard, vecchio giornalista, corretto, puntuale, meticoloso come un impiegato. Da trent’anni era stato segretario di redazione in undici giornali diversi, senza mutare in niente il suo contesto e le sue vedute. Passava da una redazione all’altra come si cambia trattoria, accorgendosi appena che la cucina non ha il medesimo sapore. Le opinioni politiche o religiose gli restavano estranee. Si dedicava al giornale, qualunque fosse, pratico del mestiere, e prezioso per la sua esperienza. Lavorava come un cieco che non vede niente, come un sordo che non sente niente, e come un muto che non parla mai di nulla. Aveva tuttavia una grande lealtà professionale, e non si sarebbe prestato a nessuna cosa che non giudicasse onesta e leale, corretta dal punto di vista particolare del suo mestiere.»
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04 dicembre 2011
L'alba del pianeta delle scimmie
L’incontro con Raffaele Mastronardo ha instillato in molti studenti del corso di Laurea magistrale in Informazione e Editoria la voglia di riflettere e discutere intorno all’argomento “stampa e futuro”. Tralasciando motti piuttosto semplicistici come “il futuro è morto” o la “stampa è finita” quello che a mio parere è emerso è un dato chiaro: le opportunità, sia lavorative, sia intellettuali e speculative che il mondo del giornalismo 2.0, ma forse è meglio dire dell’Informazione con una rigida e magniloquente lettera maiuscola, offre sono enormemente maggiori rispetto a quelle di soltanto dieci anni fa. Prima la figura del giornalista era sostanzialmente una figura “manichea”, intimamente divisa entro due nature, anzi quattro, due “di specie” e due “etiche”: c’erano i giornalisti della carta stampata (classicamente e imperturbabilmente in cappello, cravatta e cappotto) e gli anchorman della televisione (condannati a vita alla dorata prigione del tubo catodico); poi le inscindibili categorie dei “buoni giornalisti” e dei “cattivi giornalisti”. Ora, le ultime due categorie hanno la stessa valenza degli universali per la filosofia tomistica: sono la conditio sine qua non della sussistenza stessa dell’Informazione. Ma le altre due categorie, quelle che sprezzantemente ho definito “specie”, si sono notevolmente evolute e modificate. Ora per fare il giornalista non si deve per forza seguire quelle due strade obbligate ma si possono seguire vie alternative, con, certamente una maggiore confusione e incertezza, ma anche una ridda esponenzialmente più ricca di opportunità. Nella nostra epoca cangiante (ma quale epoca non è stata di transizione, quale epoca non si è “mossa” ma è stata ferma?) può accadere che giovani blogger iraniani, olandesi o camerunensi diano notizie in anticipo, con un rapido e impalpabile tweet, rispetto alle grandi agenzie stampa internazionali. Può accadere anche che un computer, una serie di algoritmi creati dall’uomo sia in grado di scrivere articoli di baseball “dannatamente buoni” e superiori, per abilità nel conteggio del punteggio e imparzialità (ma anche parzialità) di giudizio, rispetto a quella dei cronisti sportivi “di lunga data. Ma tutta questa carica di stordente novità non fa tramontare l’era del giornalista competente, arguto, capace di avere, per dirla come in Whatever Works di Woody Allen, “una visione d’insieme, una percezione allargata delle cose del mondo”. Tutto il contrario. L’esigenza di prendere fiato dall’incessante flow delle notizie, delle breaking news e dell’informazione compressa e frullata in pochi secondi, fa aumentare il desiderio, il bisogno fisico e mentale di una riflessione, sicuramente di parte, ma proprio per questo di maggior valore rispetto alla notizia brutalmente sbattuta in poche parole. La verità, nel mondo del giornalismo, non esiste e il fatto stesso, come c’insegnano i grandi (e piccoli) maestri del giornalismo, di dare o non dare (o dare in un certo qual modo) quella notizia piuttosto che quell’altra è indice di scelta. La scelta, come ci dice Carofiglio, è insita nel genere umano e per fortuna che si sceglie se no si sarebbe delle scimmie, che scrivono articoli di baseball molto buoni, ma senza conoscere la bellezza di passeggiare per i boulevard di Parigi ascoltando la vox populi che parla ora del tandem Merkozy ora delle vicende di Bel-Ami. Guy de Maupassant racconta la vicenda di un “supergiornalsta” di un certo modo di intendere tale professione: collusione con i poteri forti, volontà di emergere, stile strillato e sopra le righe e animo incendiario ma anche remissivo di fronte alla censura (autoimposta a volte). Ma non solo questo è il giornalista “corrotto”. Spesso si è corrotti anche facendo bene il proprio lavoro, con puntiglio e rigore, ma senza alcuna personalità e, per l’appunto, “volontà e capacità di scelta”:
Le ultime parole “non si sarebbe prestato a nessuna cosa che non giudicasse onesta e leale, corretta dal punto di vista particolare del suo mestiere” sono parole che mi hanno sempre agghiacciato e spaventato a morte, più di un dozzinale romanzo di un qualche scrittore americano di romanzi horror. La figura di questo “giornalista di mestiere” è la quintessenza di un certo modo di fare il giornalista, che è si lavoro artigianale, di fatica, estremamente fisico ancora prima dell’atto supremo di vergare il foglio intonso (tanto ormai esistono gli smart-phone e gli i-pad senza rischi di rovesciare inchiostri o di macchie sospette) ma è innanzi tutto un lavoro di scelte, non di ossequioso lavoro impiegatizio ma di pressante sforzo intellettuale. La notizia non si presenta per così dire in atto, ma con un grado di in potenza sempre diverso. Sta al giornalista, buono, cattivo, della stampa, televisivo, collegato da un blog, giovane o vecchio, vagliarla, arricchirla con le sue impressione, distorcerla, ampliarla o modificarla. Il futuro non è morto, non è stata ancora scritto come amava dire Joe Strummer, è compito nostro, nostra missione e nostra natura, sceglierlo.
Mattia Nesto
___
*link al blog La scimmia che vinse il Pulitzer
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