Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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19 giugno 2012

La comunicazione come veicolo di convivenza pacifica

Dopo Penser la communication e Il faut sauver la communication, Dominique Wolton torna a riflettere sul tema a lui caro della comunicazione con un libro, ancora inedito in Italia, dal titolo “Informare non è comunicare”. Per l’Autore l’informazione equivale al messaggio e la comunicazione alla relazione. Da qui parte l’elaborazione della sua teoria, che approda al concetto di cohabitation, la convivenza.  Non è sufficiente interagire o trasmettere messaggi affinché gli uomini si comprendano meglio fra loro, visto che più circolano informazioni e più ci sarà “Incommunication”, termine coniato precedentemente dallo stesso Wolton, che si può provare a tradurre con incomunicabilità. E’ quando ci si scontra con una sana incomunicabilità che si deve cercare l’accordo, negoziare e, idealmente, giungere all’auspicata convivenza fra esseri umani tanto differenti fra loro.
Per molto tempo informazione e comunicazione sono stati considerati quasi come sinonimi, se non altro alleati nella difesa della libertà di espressione. Da quando però, soprattutto grazie a Internet, l’accesso all’informazione è diventato più rapido e la scelta più vasta, hanno cominciato a evidenziarsi le differenze fra i due termini. La possibilità per gli utenti di accedere facilmente a un bacino di informazioni sempre crescente non facilita allo stesso tempo la comunicazione, come si sarebbe portati a pensare in un primo momento. Questo perché oggi una delle caratteristiche principali dell’informazione è la velocità, spesso applicata senza riflettere anche alla comunicazione. Comunicare, però, richiede tempo, il tempo dell’essere umano, che non è quello della tecnologia e non potrà mai esserlo. Wolton ricorda che, come già prima di lui aveva sostenuto Paul Watzlazick, “Non è possibile non comunicare” e che gli individui comunicano per un bisogno di condivisione, di seduzione e per convincere gli altri delle proprie idee. Tuttavia, se prima l’obiettivo era quello di stabilire una comunicazione fra le persone, ora è piuttosto quello di gestire l’incomunicabilità, che per forza di cose nasce quando culture diverse si mettono in relazione.
In opposizione con la teoria predominante secondo la quale il progresso della tecnica determina un avanzamento della comunicazione, il saggio di Wolton è una dichiarazione di appartenenza ad un’altra teoria, meno diffusa, che, partendo dalla dimensione antropologica della comunicazione, si concentra sulle politiche necessarie a evitare che l’incomunicabilità diventi causa di conflitti. Il pensiero che l’Autore fa proprio è inscindibile dall’uguaglianza fra gli individui e dalla democrazia, senza le quali non ci potrebbe essere negoziazione. E’ questa la base teorica di cui egli si serve per condurre le numerose ricerche di cui si occupa, non ultima quella sulla francophonie. La mappa della francofonia, che si estende ben oltre il territorio metropolitano, toccando tutti i Paesi che un tempo furono colonie, nonché i départements d’Outre mer, anch’essi ex colonie ma oggi veri e propri distaccamenti territoriali francesi, ha stimolato grandi flussi migratori che hanno finito per trasformare la Francia in un importante laboratorio europeo di convivenza tra culture differenti.
Si potrebbe definire umanista la visione che l’Autore esprime in Informer n’est pas communiquer, quando ribadisce l’impossibilità di ridurre la comunicazione alla tecnica e sceglie lo scambio come orizzonte di ogni esperienza umana e sociale. Wolton si inserisce, così, in un campo già noto agli studiosi della comunicazione, riuscendo però a fare chiarezza su concetti che, sebbene ampiamente discussi, rimanevano alquanto nebulosi.
Camilla Trombi
Dominique Wolton
Informer n’est pas communiquer
Paris, CNRS Editions, 2010, pp. 147.









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