Il 20 luglio 1969, Neil Armstrong imprime con la sua scarpa la polvere lunare. Non esiste impronta più netta nella memoria e nel cuore dell'umanità. Non si tratta solo del segno di una scarpa supertecnologica ma di un prodigio. Un essere vivente, un uomo, sceso da una scatola magica, registrava su un lontanissimo corpo celeste il suo spaventato passaggio. Nell'inafferrabile e mobile frontiera siderale si posava un libro misterioso e la sua storia. Spinto oltre la porta della parola, per lo sguardo futuro su un altro mondo, più inquietante del nostro. Abbiamo trattenuto il respiro per quello “scarafaggio umanato” che posandosi sulla luna avrebbe tipografato per sempre la nostra mente. Quasi una celebrazione dei primi caratteri gutenberghiani calati con la forza di gravità sulle grandi pagine della Bibbia. Si udì per la prima volta il gemito fluttuante del torchio intorno al 1453. La scarpa di Armstrong, imprimendo il suolo lunare, gorgogliava sillabe e lettere in ode alla grandezza dei mortali. Ci rivelava un segno tipografico che pur andando al di là della nostra coscienza attuava in noi una misteriosa osmosi trascendentale e profonda. Supera la poetica antropologica dell'orma umana nella grotta di Toirano o quella della supericona dell'esistenza inconscia e profonda della sindone. Ma con essa l'umano vive all'infinito una silenziosa rivolta che lotta tra mondo oggettivo e soggettivo. Per questo ci attraversa di nostalgia la morte di Armstrong. Le immagini della sua archeologia hanno tracciato i percorsi imponderabili di un'erranza che sostituisce la forza muscolare con la forza elettronica. La storica impresa del Lem ci lascia l'esempio più alto del vivere intelligente. Ci ha insegnato cos'è la teoria del feedback, efficace applicazione – ostinatamente inconciliabile con la nostra sedentarietà mentale - dell'automazione in un concetto di economia ecologica. Finestre che salgono dal profondo e osano, non senza inquietudine, guardare nell'infinità danzante degli astri.
Quaranta milioni di anni prima, un piede nudo, tipografava l'argilla della grotta di Toirano. Nel nostro mondo popolato, il sangue scorreva a fiumi, lotte disperate per la sopravvivenza, mostri trasfigurati vivevano la morte. Nessuno di noi desidera ritornare alla materialità primaria di quell'alba.
Ripensiamo piuttosto all'autoritratto di quell'impronta, insolita e indimenticabile, le cui pagine raccontano la forza imprimibile del cammino. La nostra deambulazione quotidiana che ha l'andamento imprevedibile e ripetitivo di un sogno. L'indefinito fluire nell'oppressivo spazio urbano.
*Francesco Pirella, editore e studioso dell'arte grafica, è fondatore e direttore di ARMUS Archivio Museo della stampa di Genova.
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