Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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24 maggio 2013

I rischi della comunicazione internazionale

Molteplici sono i rilievi da cui il lettore del saggio Comunicazione e politica internazionale, a cura di Emilio Diodato, può muovere verso considerazioni proprie, tuttavia pare opportuno rilevare l’interesse che riveste per i cultori del rapporto tra autorità di governo e sistema dell’informazione in ambito internazionale. In specie dalla complessiva lettura si avverte una crisi irreversibile dell’informazione intesa come fattore di riflessione per il destinatario.
Già dall’antichità classica Aristotele pone in evidenza il fondamento “costruttivista” di ogni trasmissione di un messaggio tra le parti di un discorso. In sostanza il contenuto della comunicazione costruisce l’interpretazione della realtà oggetto della stessa. Tale approccio sembra, oggi, portato alle sue estreme conseguenze. L’opinione pubblica assurge ad elemento centrale delle relazioni politiche, internazionali ed interne, a seguito della diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. In questo contesto rileva osservare che la risposta delle autorità di governo alla pervasività dei mezzi di comunicazione nel processo di formazione dei temi propri della società degli stati consiste nel news management. Questo si distingue sia dalla propaganda sia dalla censura. Si esplica in una condotta tesa non a ridurre l’ampiezza dell’informazione, ma, al contrario, in una serie di attività preordinate ad offrire ai canali di trasmissione una rappresentazione dei fatti conforme all’immagine che più risulta idonea all’obiettivo prefissato. All’uopo si organizzano conferenze stampa, briefing, l’embedding dei corrispondenti e così via.
Ora, è chiaro che l’informazione che gli organi esecutivi responsabili delle politiche internazionali ritengono di veicolare si atteggi sempre più quale prodotto da inserire nel mercato della comunicazione pubblica. La notizia assume la forma del pacchetto in sé concluso e destinato ad essere recepito passivamente dal pubblico di volta in volta interessato.
Tanto trova conferma, dal punto di vista delle fonti giornalistiche, nel criterio di notiziabilità che si impone quale filtro per l’accesso di un fatto al circuito di diffusione delle circostanze potenzialmente di interesse. Per la redazione giornalistica appare essenziale che un potenziale oggetto di comunicazione abbia specifiche caratteristiche ovvero, facile classificabilità con conseguente immediatezza narrativa ed inseribilità in una trasmissione di contenuti pianificata. Si aggiunga, inoltre, l’ulteriore fattore dipendente dalla relazionabilità della notizia alle altre. Si comprende, quindi, come lo stesso sistema della comunicazione possa essere suscettibile di accondiscendenza verso l’insidioso fenomeno del news management, vale a dire del prodotto informativo.
Ne discende un duplice fattore di crisi della comunicazione. Innanzitutto, emerge il rischio che fenomeni manipolativi diventino la prassi normale dei rapporti tra potere politico e mezzi di comunicazione, con serio pregiudizio per i destinatari finali della trasmissione, i quali vedono inconsapevolmente comprimersi il diritto ad una informazione, per quanto possibile, trasparente.
Si ravvede, tuttavia, un pericolo ancora maggiore. Il prodotto informativo, proprio perché teso ad accreditare una lettura e quindi in sé compiuto, presuppone un pubblico sempre più passivo, che riceve i pacchetti informativi di volta in volta necessari a giustificare una contingenza politica. Ne consegue che l’informazione sarà sempre meno orientata a dare un significato, un senso alla vita collettiva, con conseguente aumento del senso di smarrimento ed inoltre non assolverà alla funzione di favorire la riflessione del recipiente. In questa prospettiva assai difficilmente potrà formarsi una società ed una coscienza mondiale.
Ovviamente gli autori del testo affrontano anche la questione del ruolo e dell’incidenza dei mezzi di comunicazione nell’ambito delle relazioni internazionali e dei conflitti. Anche qui, tuttavia, a fianco del tema principale sorgono questioni inerenti l’integrità dei diritti afferenti la comunicazione.
L’avvento della comunicazione di massa, in particolar modo con la televisione ed, oggi, la rete, ha determinato un radicale mutamento dei rituali tradizionali delle diplomazie. Dei rapporti tra i soggetti della società delle nazioni, in cui peraltro si inseriscono sempre più frequentemente soggetti atipici come organizzazioni multinazionali e movimenti d’opinione, non possono conoscere solamente i protagonisti diretti, ovvero i governanti ed i diplomatici, ma deve darsene conto anche all’opinione pubblica. In questo senso sembra cambiare il ruolo degli organi di stampa.  Nel saggio, ovviamente si parla di media diplomacy, vale a dire la capacità concessa dai mezzi di comunicazione, ed in specie la televisione, di funzionare da mezzo di contatto tra l’esecutivo di un paese e la popolazione di un altro, cui il primo si rivolge direttamente per influenzarla.
Interessa qui, tuttavia, un altro aspetto che si evince dalla lettura del testo in questione. L’azione dei mezzi di comunicazione si identifica frequentemente con iniziative di agenda setting e di consent manufacturing effettuate in virtù di obiettivi propri degli stessi organi di comunicazione. Si sta modificando, in sostanza il rapporto tra la stampa ed il potere. I mezzi di comunicazione sempre meno agiscono quali sentinelle del potere politico. Per converso sembrano eseguire campagne di informazione dirette ad esercitare un influenza sul potere stesso. Il rapporto tra governi e mezzi di informazione, quindi, prende la forma di una lotta di potere tra soggetti di potere, in cui la pubblica opinione altro non è che il terreno di battaglia e non il beneficiario dell’attività informativa.
Vi è il rischio che le libertà, ormai ritenute consolidate, di espressione del pensiero e della libertà di stampa, che della prima è specificazione, siano così tradite perché piegate a fini che non collimano con l’originario spirito che ne ha determinato l’insorgenza. I media avvalendosi di tale facoltà concessa da tutti gli ordinamenti occidentali e facendosi scudo di essa, si tramutano essi stessi in organi di potere che stabiliscono e cercano di stabilire i temi fondamentali ed il ritmo delle relazioni internazionali e della vita politica. Si tratta di una questione di particolare delicatezza nell’attuale contesto internazionale che vede una contrapposizione proprio sul punto della libertà di pensiero, in particolare verso l’area di religione musulmana: diventa difficile far passare tale messaggio quando il nostro stesso modello di società tradisce i valori che cerca di accreditare presso altre culture.
Sono, questi, solo alcuni temi che sono apparsi emergere, anche indirettamente, dalla lettura del saggio in questione e che pare opportuno sottoporre all’attenzione del lettore per evidenziare la varietà di argomenti che possono trarsi da tale significativa lettura.
Corrado Grasso

Comunicazione e Politica Internazionale
 a cura di Emilio Diodato
Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2004, pp. 163.

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