Le riviste dell'informazione
- Bollettino LSDI
- British Journalism Review
- Columbia Journalism Review
- Comunicatori & Comunicazione
- Cuadernos des Periodistas
- Digital Journalism
- Etudes de communication
- Image of the Journalist in Popular Culture Journal
- International Journal of Press Politics
- Journal of Computer-Mediated Communication
- Journalism
- Journalism Practice
- Journalism Studies
- Key4biz.it
- Le Temps des médias
- Les Cahiers du Journalisme
- Media2000
- Mediascape Journal
- Nieman Reports
- Prima comunicazione
- Problemi dell'informazione
- Tabloid
27 marzo 2015
In libreria
Alejandro Zambra
I miei documenti
Sellerio, Palermo, 2015, 120 pp.
disponibile anche in formato e-book
Descrizione
Una delle nuove grandi voci della
letteratura latinoamericana. Il primo sudamericano a essere pubblicato in
anteprima sul New Yorker, segnalato dalla rivista «Granta» tra i maggiori
narratori di lingua spagnola. Undici brevi romanzi, un mondo di personaggi
e di oggetti, smarriti e ritrovati. «Mio padre era un computer e mia madre
una macchina da scrivere» si legge nelle prime pagine di questo libro, ed è
proprio nell’incrocio e nella sovrapposizione tra la vita degli oggetti e
quella degli esseri umani che prende forma l’epica quotidiana, intima e minuta,
ma non per questo meno potente, di Alejandro Zambra. Lo scrittore cileno mette
in rassegna bugiardi impenitenti e fantasmi in carne e ossa, banditi armati e
giovani amanti, uomini ossessionati da un’idea superata della mascolinità o che
si giocano l’ultima carta scommettendo sull’amore. Altri personaggi scoprono
l’obsolescenza, come di merce, di sentimenti che sembravano eterni, o inseguono
invano un padre che esiste solo nella memoria dell’infanzia. Il loro mondo è al
tempo stesso modernissimo e antico, la cultura digitale del nostro secolo
permea i dialoghi intensi e brillanti, ma nel cuore dei personaggi si insinua
spesso una malinconia senza tempo, una passione romantica, un dubbio amletico.
Le storie di Zambra scrutano vite che ci sembrano tanto più riconoscibili
quanto più sono diverse dalle nostre, e risvegliano un desiderio di conoscenza,
un sentimento della curiosità, quello in cui risiede la vera natura dell’arte
narrativa quando prova a essere chiave di lettura del mondo, della sua crisi,
del suo enigmatico ritrarsi. Queste vicende, questi documenti, vivono di
suspense e fine ironia, humour e passione, spirito parodico e a tratti
rabbioso. Sullo sfondo c’è il Cile con le sue recenti trasformazioni politiche
e sociali («L’adolescenza era vera. La democrazia no» sostiene uno dei
personaggi), e poi il mondo intero, da Oriente a Occidente, da Sud a Nord.
Perché Zambra e le sue pagine plasmano e raccontano senza timore una
sensibilità nuova e contemporanea, quel senso di apparente connessione che
sembra unirci tutti nelle reti della comunicazione globale e che alla fine,
paradossalmente, nasconde a noi stessi quanto siamo davvero vicini.
Alejandro Zambra è nato nel 1975 a
Santiago del Cile. Poeta, narratore e critico, insegna letteratura all’Università Diego Portales e scrive per alcune riviste. Il suo primo romanzo, Bonsai (Neri Pozza 2007), ha vinto il premio cileno della
critica. Ha poi pubblicato La
vida privada de los árboles (2007)
e Modi di
tornare a casa (Mondadori 2013). È tradotto in oltre
dieci paesi e ha vinto l’English Pen Award e il Premio Príncipe Claus in Olanda
per l’insieme della sua opera.
____
22 marzo 2015
La morte non è uguale per tutti
Non tutte le notizie di atrocità hanno lo stesso peso
nell’economia della notiziabilità. Ne è un triste esempio molto recente l’uccisione il 21 marzo
2015 di una donna di soli 27 anni a Kabul, in Afghanistan. Farkhunda, così si
chiamava, soffriva da 16 anni di problemi mentali ed è stata accusata di aver
bruciato il Corano, libro sacro dell’islam. Quindi, massacrata con inaudita
violenza, buttata nel fiume dopo essere stata bruciata ancora viva.
Solo il "Corriere della
Sera" decide di dare la notizia. Silenzio stampa di tutti gli altri
principali quotidiani. Forse perché la morte è avvenuta in Afghanistan, lontano
dall’attenzione puntata sull’attentato di Tunisi. O forse perché riguardava una
povera donna disabile, corpo considerato purtroppo da molti inutile e
invisibile in questo mondo. O perché il portavoce del ministro degli Interni
afgano, pur confermando la notizia, parla di “evento molto sfortunato.”
Certo è che una giovane donna è morta nel modo più atroce e
vergognoso possibile e la notizia non viene considerata rilevante dalla maggior
parte dei giornali e delle televisioni.
Per analogia, se pensiamo all’eco mediatica che ha suscitato
l’uccisione del pilota giordano arso vivo dall’Isis, non si capisce come mai questo
orrore più recente non sia stato considerato altrettanto meritevole di enfasi.
Eppure entrambe le persone sono vittime del fanatismo
islamico. Entrambe sono state arse vive. Entrambe sono state riprese da
orribili video che mostrano la loro lenta morte. Ma non sono entrambe
ugualmente notiziabili. Perché? Esiste una “pubblicità della morte” secondo cui
alcuni morti hanno più dignità di altri? C’è il morto che sbattuto in prima
pagina, con bella foto annessa, fa vendere molti giornali. E c’è il morto che
non interessa, anzi annoia.
Molti, come Farkhunda, non raggiungono nemmeno gli onori del
ricordo o dello sdegno pubblico tra le cronache dei giornali. Non meritano
neppure questo rispetto.
La cosiddetta notiziabilità non è data dal fatto cruento,
come molti credono. E nemmeno dal legame con argomenti di interesse più
generale come il terrorismo o l’integralismo islamico.
Sembra che ha fare di un evento una notizia, degna di essere
pubblicata sui quotidiani, sia più che altro lo share e il pubblico gradimento.
In sostanza, se il fatto è una novità assoluta merita la prima pagina e la
prima serata, come per il pilota giordano. Mentre se il fatto è una sorta di
replica di qualcosa di già visto, non merita spazio e visibilità. Questo perché
è il pubblico che decide sia i palinsesti televisivi che le prime pagine dei
quotidiani.
Così l’informazione non è più un servizio di pubblica
utilità, ma un servizio per “vendere” il pubblico al miglior offerente. Il
pubblico, il lettore sono al centro degli interessi dell’informazione non
perché considerati una collettività a cui fornire il miglior servizio.
Sono, al contrario, stimati come “merce” di scambio da
barattare con gli spazi pubblicitari di qualche supermercato editoriale.
Quindi, bisogna assecondare i suoi gusti. Non lo si deve annoiare, ma bensì
divertire e sollazzare. Anche se questo significa renderlo sempre più ignorante
e privo di spirito critico. È vero che non tutta l’informazione si adegua a
questo dictat, come, in questo caso, ha dimostrato il "Corriere della Sera". Ma è
anche vero che per chi decide di andare controcorrente i rischi sono molti e le
difficoltà tante. Perché la notizia è diventata come un qualsiasi “prodotto”
che piace se è nuovo, trasgressivo e osceno. Deve suscitare stupore e orrore.
Altrimenti passa inosservata. Come la morte: mentale più che fisica.
Anna Scavuzzo
___
19 marzo 2015
In libreria
Benjamin Dormann
Ils ont acheté la presse.
Pour comprendre enfin pourquoi elle se tait, étouffe ou encense
Picollec, Paris, 2015 (Prima edizione 2012), 420 pp.
Descrizione
La stampa ha rinunciato al proprio ruolo di quarto potere per fondersi con il quinto potere, quello delle vaste reti mondializzate in cui si mescolano uomini d'affari, finanzieri, banchieri, media e politica. L'autore Benjamin Dormann è stato un giornalista economico, poi tesoriere di un partito politico e candidato alle elezioni europee e legislative.
Ils ont acheté la presse.
Pour comprendre enfin pourquoi elle se tait, étouffe ou encense
Picollec, Paris, 2015 (Prima edizione 2012), 420 pp.
Descrizione
La stampa ha rinunciato al proprio ruolo di quarto potere per fondersi con il quinto potere, quello delle vaste reti mondializzate in cui si mescolano uomini d'affari, finanzieri, banchieri, media e politica. L'autore Benjamin Dormann è stato un giornalista economico, poi tesoriere di un partito politico e candidato alle elezioni europee e legislative.
____
18 marzo 2015
In libreria
Alessandro Barbano
Manuale di giornalismo
Laterza, Roma-Bari, 2015, 310 pp.
disponibile anche in ebook
Descrizione
L'obiettivo di questo manuale è fornire un sapere teorico-pratico integrato per chi voglia operare sulla carta stampata, sul radio-televisivo e sulle diverse piattaforme digitali presenti in Rete. Il libro si sviluppa lungo otto linee didattiche, ciascuna delle quali tiene insieme le acquisizioni della tradizione con le nuove evoluzioni teorico-pratiche del giornalismo, con un ricco corredo di esempi tratti dai più autorevoli media italiani e stranieri:
• la ridefinizione del concetto di notizia ai tempi dell'informazione in tempo reale;
• la teoria e la tecnica della scrittura giornalistica, tra cartaceo e on-line;
• lo studio dei generi del giornalismo, da quelli più tradizionali, come la cronaca e l'intervista, a quelli più recenti, come il retroscena;
• l'organizzazione del lavoro nei principali media e la sua evoluzione segnata dal ruolo crescente delle tecnologie;
• la crisi delle aziende editoriali e la transizione verso il mercato delle nuove piattaforme digitali, attraverso esempi concreti tratti dalle esperienze di alcune delle più grandi e innovative imprese del mondo, come 'New York Times", 'Washington Post", Bbc, "Guardian", fino allo studio delle nuove avventure editoriali sulla rete;
• l'analisi del caso italiano, dell'omologazione e della prevalenza dell'informazione politica che caratterizza i media nostrani;
• lo studio del foto e video-giornalismo e delle nozioni di grafica essenziali;
• l'etica del giornalismo e i problemi aperti dalla necessità di tutelare la privacy di fronte alla grande forza di impatto che le moderne tecnologie informative hanno sulla vita delle persone.
Link all'Indice del libro.
_____
Manuale di giornalismo
Laterza, Roma-Bari, 2015, 310 pp.
disponibile anche in ebook
Descrizione
L'obiettivo di questo manuale è fornire un sapere teorico-pratico integrato per chi voglia operare sulla carta stampata, sul radio-televisivo e sulle diverse piattaforme digitali presenti in Rete. Il libro si sviluppa lungo otto linee didattiche, ciascuna delle quali tiene insieme le acquisizioni della tradizione con le nuove evoluzioni teorico-pratiche del giornalismo, con un ricco corredo di esempi tratti dai più autorevoli media italiani e stranieri:
• la ridefinizione del concetto di notizia ai tempi dell'informazione in tempo reale;
• la teoria e la tecnica della scrittura giornalistica, tra cartaceo e on-line;
• lo studio dei generi del giornalismo, da quelli più tradizionali, come la cronaca e l'intervista, a quelli più recenti, come il retroscena;
• l'organizzazione del lavoro nei principali media e la sua evoluzione segnata dal ruolo crescente delle tecnologie;
• la crisi delle aziende editoriali e la transizione verso il mercato delle nuove piattaforme digitali, attraverso esempi concreti tratti dalle esperienze di alcune delle più grandi e innovative imprese del mondo, come 'New York Times", 'Washington Post", Bbc, "Guardian", fino allo studio delle nuove avventure editoriali sulla rete;
• l'analisi del caso italiano, dell'omologazione e della prevalenza dell'informazione politica che caratterizza i media nostrani;
• lo studio del foto e video-giornalismo e delle nozioni di grafica essenziali;
• l'etica del giornalismo e i problemi aperti dalla necessità di tutelare la privacy di fronte alla grande forza di impatto che le moderne tecnologie informative hanno sulla vita delle persone.
Link all'Indice del libro.
_____
17 marzo 2015
Giornalismo è potere
"Il giornalismo deve fornire un resoconto che sia comprensibile e interessante, ma più di ogni altra cosa conforme ai fatti e alla verità, sulla base del principio secondo cui conoscere la verità aumenta la nostra libertà."
John Lloyd
*John Lloyd, Il potere pubblico del giornalismo, "La Repubblica", 17.3.2015.
____
16 marzo 2015
In libreria
Patrizia Delpiano
Liberi di scrivere. La battaglia per la stampa nell'età dei Lumi
Laterza, Roma-Bari, 2015, 206 pp.
disponibile anche in ebook
Descrizione
Nell'età dei Lumi fece la sua comparsa sulla scena europea un nuovo attore: il "philosophe", che rivendicava apertamente, tra le altre, la libertà di esprimersi a livello pubblico attraverso la parola scritta. Concentrandosi in particolare su Francia e Italia, Patrizia Delpiano esplora il processo che tra la fine del Seicento e la fine del Settecento condusse alla teorizzazione e alla messa in pratica della libertà di stampa. È una storia segnata da ostacoli istituzionali come la censura ecclesiastica e statale e da altri, non meno coercitivi, posti dalla coscienza degli autori stessi. Tra l'etica del silenzio e la libertà di scrivere si apriva infatti il vasto campo dell'autocensura: un universo del non scritto sinora largamente inesplorato, che segnò a lungo la vicenda degli intellettuali europei.
*Link all'Indice del libro
Liberi di scrivere. La battaglia per la stampa nell'età dei Lumi
Laterza, Roma-Bari, 2015, 206 pp.
disponibile anche in ebook
Descrizione
Nell'età dei Lumi fece la sua comparsa sulla scena europea un nuovo attore: il "philosophe", che rivendicava apertamente, tra le altre, la libertà di esprimersi a livello pubblico attraverso la parola scritta. Concentrandosi in particolare su Francia e Italia, Patrizia Delpiano esplora il processo che tra la fine del Seicento e la fine del Settecento condusse alla teorizzazione e alla messa in pratica della libertà di stampa. È una storia segnata da ostacoli istituzionali come la censura ecclesiastica e statale e da altri, non meno coercitivi, posti dalla coscienza degli autori stessi. Tra l'etica del silenzio e la libertà di scrivere si apriva infatti il vasto campo dell'autocensura: un universo del non scritto sinora largamente inesplorato, che segnò a lungo la vicenda degli intellettuali europei.
*Link all'Indice del libro
___
Etichette:
Libertà di stampa,
Libreria,
Storia del giornalismo
14 marzo 2015
Buon compleanno babbo!
Oggi è il 14 marzo. Oggi mio padre compie 60 anni.
Fa il carrozziere, e lo fa da quando di anni ne aveva 14.
Precisamente è un battilama, quindi da un groviglio di lamiere, fa venire fuori una macchina nuova, o meglio, una macchina aggiustata. E' questo che lui semplicemente mi ha insegnato: che bisogna prestare attenzione e avere rispetto delle cose come delle persone. Mi ha insegnato che rimanere bambini non vuol dire essere infantili, che l'intelligenza non va di pari pas...so con un titolo di studio e che l'umiltà è caratteristica rara da maneggiare con cura.
Mio padre mi ha portato bambina alle prime manifestazioni, e piano piano mi ha portato in Consiglio Comunale. Per lui la politica è una grande passione e questa passione me l'ha un po' cucita addosso. La foto risale alle notte delle votazioni amministrative. Abbiamo aspettato in sede di partito che ogni singolo seggio fosse chiuso per avere la certezza che il risultato fosse quello giusto, e una volta constatato che ero diventata consigliere comunale, semplicemente ci siamo abbracciati. Gli ho chiesto se era più felice in quel momento o il giorno della mia laurea, e lui ha risposto : "Se devo essere sincero, sono più contento stasera!".
Un abbraccio tra un padre e una figlia, con tutto quello che ci può stare in mezzo: delusioni, paure, rabbia, momemti belli e momenti brutti. Non so dove mi porterà quest'avventura, ma sarà stata un ricordo che ci siamo costruiti.
Buon compleanno babbo.
Auguri.
Elena Mosti Fa il carrozziere, e lo fa da quando di anni ne aveva 14.
Precisamente è un battilama, quindi da un groviglio di lamiere, fa venire fuori una macchina nuova, o meglio, una macchina aggiustata. E' questo che lui semplicemente mi ha insegnato: che bisogna prestare attenzione e avere rispetto delle cose come delle persone. Mi ha insegnato che rimanere bambini non vuol dire essere infantili, che l'intelligenza non va di pari pas...so con un titolo di studio e che l'umiltà è caratteristica rara da maneggiare con cura.
Mio padre mi ha portato bambina alle prime manifestazioni, e piano piano mi ha portato in Consiglio Comunale. Per lui la politica è una grande passione e questa passione me l'ha un po' cucita addosso. La foto risale alle notte delle votazioni amministrative. Abbiamo aspettato in sede di partito che ogni singolo seggio fosse chiuso per avere la certezza che il risultato fosse quello giusto, e una volta constatato che ero diventata consigliere comunale, semplicemente ci siamo abbracciati. Gli ho chiesto se era più felice in quel momento o il giorno della mia laurea, e lui ha risposto : "Se devo essere sincero, sono più contento stasera!".
Un abbraccio tra un padre e una figlia, con tutto quello che ci può stare in mezzo: delusioni, paure, rabbia, momemti belli e momenti brutti. Non so dove mi porterà quest'avventura, ma sarà stata un ricordo che ci siamo costruiti.
Buon compleanno babbo.
Auguri.
___
13 marzo 2015
Morire d'amianto
Sabato 14 marzo 2015, ore 9, nella Sala Maggiore del Comune di Pistoia, presenterò il mio libro "Morire d'amianto a Pistoia. Il caso Breda e l'informazione", discutendone con il sindaco Samuele Bertinelli. Il lavoro, che ha avuto origine dalla mia tesi di laurea, è stato pubblicato da Settegiorni Editore grazie al contributo della Fondazione Valore Lavoro di Pistoia e della Cgil Toscana. La mattinata proseguirà poi con una tavola rotonda dal titolo "Le parole per dirlo: l'amianto tra cronaca, reportage e romanzo". Al dibattito prenderanno parte Alberto Prunetti (scrittore, autore di Amianto. Una storia operaia), Giampiero Rossi (giornalista de Il Corriere della sera, autore di La lana della salamandra), Silvana Mossano (giornalista de La Stampa, autrice di Malapolvere) e Silvano Balestreri (giornalista, docente di Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico presso l'Università di Genova, nonché relatore della mia tesi). Nella locandina trovate il programma completo della mattinata. Io vi aspetto. Sono sicura che sarà una mattinata intensa e piena di emozioni (per me sicuramente!)
Valentina VettoriValentina Vettori
Morire d'amianto a Pistoia. Il caso Breda e l'informazione
Settegiorni editore, Pistoia, 2015.
___
Etichette:
Ambiente,
Attualità,
Giornalismo d'inchiesta,
Libreria,
Scaffale amico,
Tesi di laurea
10 marzo 2015
In libreria
Francesco Occhetta
Le tre soglie del giornalismo. Servizio pubblico, deontologia, professione
UCSI, Roma, 2015
Descrizione
Quale funzione deve assumere il giornalismo in un tempo in cui la quantità di informazione dall'inizio dell'umanità fino al 2003 viene oggi riprodotta in sole 48 ore? Il giornalista si distingue dal comunicatore se ha cura della democrazia e la narra come "bene fragile" da costruire giorno per giorno e se assume la deontologia non come un obbligo ma come la responsabilità per la sua missione nella società. Il giornalismo, ancora diviso tra vecchi e nuovi media, si rifonda sulla credibilità che non si costruisce sul successo, sull'audience e sull'essere "creduti", ma su un fatto: non essere falsificabili. Il volume parte da qui: interroga il lettore su cosa deve essere oggi il "servizio pubblico" del giornalismo; esamina il modo in cui la Rete sta ridefinendo i connotati della democrazia; approfondisce il significato della deontologia; chiarisce il ruolo del giornalismo politico, giudiziario e religioso. Molti organi di stampa sono pensati come arene moderne in cui si sceglie di dire mezze verità e si occultano le notizie. Un giornalista può essere indipendente raccontando sempre la verità se la maggioranza dei giovani della professione sono precari?
Le tre soglie del giornalismo. Servizio pubblico, deontologia, professione
UCSI, Roma, 2015
Descrizione
Quale funzione deve assumere il giornalismo in un tempo in cui la quantità di informazione dall'inizio dell'umanità fino al 2003 viene oggi riprodotta in sole 48 ore? Il giornalista si distingue dal comunicatore se ha cura della democrazia e la narra come "bene fragile" da costruire giorno per giorno e se assume la deontologia non come un obbligo ma come la responsabilità per la sua missione nella società. Il giornalismo, ancora diviso tra vecchi e nuovi media, si rifonda sulla credibilità che non si costruisce sul successo, sull'audience e sull'essere "creduti", ma su un fatto: non essere falsificabili. Il volume parte da qui: interroga il lettore su cosa deve essere oggi il "servizio pubblico" del giornalismo; esamina il modo in cui la Rete sta ridefinendo i connotati della democrazia; approfondisce il significato della deontologia; chiarisce il ruolo del giornalismo politico, giudiziario e religioso. Molti organi di stampa sono pensati come arene moderne in cui si sceglie di dire mezze verità e si occultano le notizie. Un giornalista può essere indipendente raccontando sempre la verità se la maggioranza dei giovani della professione sono precari?
____
09 marzo 2015
In Libreria
Carlo Gambalonga
Casa Ansa. Da settant’anni il diario del Paese
Roma, Edizioni Centro Documentazione Giornalistica, Roma, 2015
Descrizione
L'agenzia nazionale di stampa associata è la piu importante agenzia di stampa italiana e una delle più importanti a livello mondiale... Sarebbe questa la descrizione dell’Ansa fatta dall’Ansa. Ma non è così! L'Ansa è di più, molto di più. Lo sa bene chi l'ha vissuta da dentro per quasi quarant’anni e ce lo trasmette chiaramente in queste pagine. L’autore spiega come l'Ansa, vedendo la luce con la nascita della Repubblica, ne ha accompagnato tutta la sua storia. Ne è stata fedele testimone e, in molti casi, partecipe. La caduta del muro di Berlino, i comunicati delle Br, il ritrovamento di Moro, narrati in questo libro, dimostrano come da osservatrice è diventata, suo malgrado, spesso protagonista. Carlo Gambalonga ci fa capire come l'agenzia, nei suoi 70 anni di vita, sia stata una casa per i tantissimi giornalisti che ci hanno lavorato. La casa delle notizie: importanti, belle e drammatiche di questo e di altri paesi. La casa dell'indipendenza, dell’imparzialità e della libertà di stampa. Ma soprattutto come, attraverso i milioni di notizie prodotte e riprese da giornali, internet, radio e televisioni del mondo intero, l'Ansa sia diventata un po' per tutti la casa della verità.
____
Casa Ansa. Da settant’anni il diario del Paese
Roma, Edizioni Centro Documentazione Giornalistica, Roma, 2015
Descrizione
L'agenzia nazionale di stampa associata è la piu importante agenzia di stampa italiana e una delle più importanti a livello mondiale... Sarebbe questa la descrizione dell’Ansa fatta dall’Ansa. Ma non è così! L'Ansa è di più, molto di più. Lo sa bene chi l'ha vissuta da dentro per quasi quarant’anni e ce lo trasmette chiaramente in queste pagine. L’autore spiega come l'Ansa, vedendo la luce con la nascita della Repubblica, ne ha accompagnato tutta la sua storia. Ne è stata fedele testimone e, in molti casi, partecipe. La caduta del muro di Berlino, i comunicati delle Br, il ritrovamento di Moro, narrati in questo libro, dimostrano come da osservatrice è diventata, suo malgrado, spesso protagonista. Carlo Gambalonga ci fa capire come l'agenzia, nei suoi 70 anni di vita, sia stata una casa per i tantissimi giornalisti che ci hanno lavorato. La casa delle notizie: importanti, belle e drammatiche di questo e di altri paesi. La casa dell'indipendenza, dell’imparzialità e della libertà di stampa. Ma soprattutto come, attraverso i milioni di notizie prodotte e riprese da giornali, internet, radio e televisioni del mondo intero, l'Ansa sia diventata un po' per tutti la casa della verità.
____
Etichette:
Agenzia di stampa,
Libreria,
Storia del giornalismo,
Storia italiana
06 marzo 2015
Fantasmi nella polvere
Rotolano nella polvere. Privi
della sostanza della vita. Spesso si presentano al mondo con tute mimetiche e
veli neri. Lo schermo è il loro sudario. Non scompaiono, ma appaiono. Sono i fantasmi che popolano la
mente di chi riconosce il diritto all’apparire come unica modalità esistenziale.
Infiniti frammenti di corpi sparsi nella polvere dei deserti dell’anima o nelle
paludi melmose della vergogna. Spettri sconfitti che vagano negli schermi
postmoderni in cerca di illusori attimi di celebrità. Ombre vuote che non hanno
niente. Nemmeno la banalità del presente. L’unica vittoria è postare un video
su YouTube o lanciare un sasso su Twitter.
Per questi fantasmi l’efferatezza
della violenza è diventa un valore. Un
merito da censire. Un motivo d’orgoglio se ne
parlano i giornali e la televisione. Un eroismo se si fanno proseliti.
Così si costruiscono le pagelle
dei fantasmi del terrore. Così si catalizzano le opinioni. Così si enfatizzano
i fanatismi. Che siano i tagliagole dell’Isis o i terroristi europei o un
branco di stupratori o i bulli in età scolare che usano violenza a un disabile
o le ragazze di buona famiglia che si menano per futili motivi (e gli esempi
potrebbero continuare a lungo), poco importa.
L’equazione è sempre lo stessa. Violenza
+ selfie = Attenzione mediatica = Esistere.
Lo spot virtuale si trasforma in
testamento intellettuale. Il passaggio in prime time si converte in manifesto
ideologico. La notiziabilità dell’esistenza è data dall’impeto della
violenza.
Apparire. Farsi notare. A
qualsiasi costo. Anche della pubblica vergogna. Anche della morte. Perché tanto
morti lo sono già. E lo sanno. Quindi, rendere pubblico ciò che rimane di una
crisalide senza identità, sembra l’unica alternativa rimasta. L’unico singulto
di vita possibile. Di questo si nutrono le piovre dei regimi e delle mafie. Di
questo si drogano gli esclusi.
Preoccupa questa perversa volontà
di uscire dall’anonimato. Preoccupa ancora di più l’assuefazione alla violenza
che si cela dietro tale fenomeno. Una violenza che per diventare notizia deve
sorprendere sempre di più. Per stupire un pubblico che esiste solo nel nostro
immaginario arriva, per esempio, a bruciare vivo un uomo chiuso in gabbia o a esecuzioni
in diretta. Atrocità per far parlare di sé. Questa è la modalità esistenziale del
secolo della comunicazione e della condivisione. Dimenticando, però, che sopravvivere
nella memoria di un computer non è vivere, ne lo è la comparsa di pochi secondi
in televisione.
Forse, la soluzione che Guido
Olimpio propone per oscurare la propaganda terrorista, nel corsivo pubblicato
il 4 marzo 2015 sul Corriere della Sera (L’Isis
si batte staccandogli la spina sui media, pag.56), potrebbe essere d’aiuto
anche per i bulletti di casa nostra.
Si, staccare la spina.
Distaccarsi dall’etereo potere dei media per non legittimare tanta oscenità.
Censurare la violenza perché è
tutto fuorché espressione dell’uomo. Ritornare a comunicare con i gesti
dell’intelligenza e il cuore della sapienza. Senza la pretesa di stare sopra gli altri, ma con la
consapevolezza di stare con gli
altri. Idea immateriale che anche se non si vede in tv o non viene registrata
su un computer o scaricata come app sul cellulare, esiste ugualmente, con tutta
la forza della sua verità e la potenza della sua umanità.
Anche se non appare, non è un
fantasma. È l’idea dell’uomo che si fa vita. È il rispetto di sé e dell’altro
che si evolve in condivisione.
Se apparire su uno schermo è la
proiezione di un’identità fasulla, eliminare questa possibilità sarebbe come
sgonfiare l’arroganza di un assurdo utilizzo della violenza, prima che possa
esplodere. E senza esplosione si passa inosservati. Si rimane sacchi vuoti
afflosciati. Bisognerà trovare un altro modo per stare in piedi. Magari riconoscendo
l’equilibrio della normalità come valore e il ripristino di una cultura della
tolleranza come arma di libertà di massa.
Disattivare il canale di
sopravvivenza di questi fantasmi equivale a rendere un servizio al Paese, alla
comunità tutta. Ne gioverebbero le nuove generazioni, trovando finalmente un
punto di riferimento nella forza della consistenza intellettuale e morale
dell’uomo, riattivando l’ideale umano della dignità, sintomo distintivo
rispetto all’animale, che non si può smarrire dentro uno schermo. La dignità.
Questa si che bisogna possederla. Non come privilegio, ma come conquista.
Rendere innocuo un sistema che ha
reso l’ignoranza collettiva un punto di forza e la violenza fanatica un’attitudine
alla moda, non significa censurare la libertà di comunicazione o la possibilità
di corretta informazione, ma, al contrario, significa liberarla dalle catene
dell’idolatria all’apparenza che ne svalutano e distorcono il reale valore.
Per non sentire il rantolo di certi
fantasmi nella polvere. Per non cadere nella fossa comune dell’inesistente. Per
tutto questo, bisogna prima coesistere e consistere.
“Vivere per non apparire”.
Chissà. Potrebbe essere questo uno slogan del nostro millennio.
Anna Scavuzzo
____
01 marzo 2015
Assalto alla pace
Non c’è limite all’egoismo umano. Neppure a quello che si
serve della propaganda di guerra per fare soldi. Come ha scritto su "Repubblica"
del 7 febbraio Massimo Recalcati, “il culto pragmatico del denaro ha sostituito
il culto fanatico dell’ideale.”
Lo dimostra la notizia, riportata da "Il Venerdì di
Repubblica" del 27 febbraio, secondo cui in Russia il costruttore di fucili
d’assalto Kalashnikov, Aleksej Krivoruchko, l’anno scorso ha moltiplicato i
suoi profitti con la vendita delle temibili armi. Il che non solo la dice lunga
sulle bugie raccontate all’opinione pubblica in merito alla ricerca condivisa
dalle grandi potenze mondiali per il mantenimento di equilibri di pace, ma fa
chiaramente capire quanto il mercato delle armi sia in rapida espansione. Come se
non bastasse, la nuova strategia che la società russa aspira a costruire, è un
vero e proprio brand da diffondere
nel mondo. Come la Apple o la Coca-Cola. A Mosca, in una recente conferenza
stampa è stato presentato il nuovo logo dell’azienda: una K bianca (il colore
della resa) impressa su un quadrato rosso (il colore del sangue), circondata da
uno sfondo nero (il colore dei terroristi) con sottostante la parola
KALASHNIKOV. Il marchio apparirà non
solo sulle armi ma anche sugli accessori e l’abbigliamento di una nuova linea
di prodotti pensati per chi ama vivere all’aria aperta come cacciatori,
sportivi o… guerriglieri. Un modo come un altro per diffondere nel mondo la
filosofia del potere armato. Naturalmente a corredare l’operazione di
costruzione del marchio non poteva mancare uno slogan forte e facile da
ricordare. Così, il Kalashnikov viene ribattezzato con lo slogan “arma di pace”. Un ossimoro che fa venire i brividi. Un insulto per chi
nella pace crede o per essa ha perso la vita.
Ma c’è di più. Creare un marchio che associa il concetto di
guerra a quello di pace significa comunicare al mondo l’intenzione, più o meno
velata, di perseguire progetti espansionistici militari con la contemporanea costruzione
e fondazione di un immaginario
collettivo dove il valore della pace viene venduto
assieme a quello dell’uomo che deve essere
comunque armato.
Una spiccata propensione nel legittimare la guerra perpetua risulta quanto mai
evidente.
Si vede che l’evoluzione delle capacità cognitive umane
arriva a un punto di saturazione tale che comporta l’implosione delle stesse
capacità nell’assidua ricerca dell’autodistruzione.
Non che, in contrapposizione, si possa giustificare il
fanatismo della pace. Qualsiasi fanatismo è deleterio perché manca di
equilibrio. Piuttosto, è auspicabile il tentativo di riprendere quegli ideali
che molta della classe dirigente che ci governa cerca di mandare in soffitta.
Ideali, come pace e giustizia, ormai considerati vetusti,
sorpassati perché si oppongono alle
logiche dissennate del potere e del profitto. Ideali usati a piene mani solo
come paravento nei discorsi dei talk show, per nascondere la totale mancanza di
reali politiche sociali. Stili di vita e opinioni che necessitano
dell’espansione del concetto di libertà e tolleranza per crescere, al posto
dell’idea di armi e guerra. E mentre l’Isis diffonde sul web, anche in
italiano, il manifesto di un sedicente stato islamico dove l’oggetto della
religione sembra sia diventato il male, Mosca piange, attraverso la retorica di
stato, il dissidente Nemtsov. Nel frattempo il kalashnikov, simbolo
dell’assalto, della forza violenta, dell’imposizione coatta dei regimi
totalitari, rivitalizza i valori ideali di difesa della patria dal nemico comune del futuro combattente-consumatore.
La pace non è più una conquista della società civile, ma un’arma dura e
spigolosa, come la lettera K che ne rappresenta il marchio, per giustificare
guerre e genocidi nel mondo. Nell’immaginario collettivo del povero uomo comune, che crede ancora a
una soluzione dei conflitti non violenta, il culto di un ideale di pace appare ancora
molto lontano. Mentre il culto dell’unico dio professato è sempre più presente.
Un dio che porta in una mano fiumi di denaro e nell’altra il kalashnikov.
Anna Scavuzzo
____
Iscriviti a:
Post (Atom)
Archivio blog
- dic 2024 (1)
- nov 2024 (2)
- ott 2024 (1)
- set 2024 (2)
- giu 2024 (1)
- feb 2024 (1)
- gen 2024 (1)
- nov 2023 (1)
- ott 2023 (1)
- set 2023 (1)
- ago 2023 (1)
- giu 2023 (2)
- mag 2023 (1)
- apr 2023 (2)
- mar 2023 (2)
- feb 2023 (1)
- gen 2023 (2)
- dic 2022 (3)
- ott 2022 (1)
- ago 2022 (1)
- lug 2022 (2)
- giu 2022 (3)
- mag 2022 (4)
- apr 2022 (5)
- mar 2022 (2)
- feb 2022 (6)
- gen 2022 (1)
- dic 2021 (4)
- nov 2021 (8)
- ott 2021 (9)
- set 2021 (4)
- ago 2021 (3)
- lug 2021 (5)
- giu 2021 (5)
- mag 2021 (1)
- apr 2021 (4)
- mar 2021 (7)
- feb 2021 (3)
- gen 2021 (4)
- dic 2020 (2)
- nov 2020 (2)
- ott 2020 (2)
- set 2020 (1)
- ago 2020 (3)
- lug 2020 (1)
- giu 2020 (5)
- mag 2020 (2)
- apr 2020 (2)
- mar 2020 (1)
- feb 2020 (6)
- gen 2020 (9)
- dic 2019 (11)
- nov 2019 (9)
- ott 2019 (15)
- set 2019 (6)
- ago 2019 (5)
- lug 2019 (5)
- giu 2019 (9)
- mag 2019 (5)
- apr 2019 (6)
- mar 2019 (6)
- feb 2019 (13)
- gen 2019 (13)
- dic 2018 (14)
- ott 2018 (15)
- set 2018 (12)
- ago 2018 (2)
- lug 2018 (7)
- giu 2018 (6)
- mag 2018 (10)
- apr 2018 (8)
- mar 2018 (11)
- feb 2018 (7)
- gen 2018 (11)
- dic 2017 (11)
- nov 2017 (11)
- ott 2017 (7)
- set 2017 (9)
- ago 2017 (6)
- lug 2017 (2)
- giu 2017 (12)
- mag 2017 (13)
- apr 2017 (8)
- mar 2017 (7)
- feb 2017 (9)
- gen 2017 (6)
- dic 2016 (6)
- nov 2016 (17)
- ott 2016 (10)
- set 2016 (11)
- ago 2016 (1)
- lug 2016 (4)
- giu 2016 (10)
- mag 2016 (13)
- apr 2016 (12)
- mar 2016 (4)
- feb 2016 (11)
- gen 2016 (12)
- dic 2015 (11)
- nov 2015 (4)
- ott 2015 (6)
- set 2015 (9)
- ago 2015 (6)
- lug 2015 (3)
- giu 2015 (6)
- mag 2015 (10)
- apr 2015 (8)
- mar 2015 (12)
- feb 2015 (11)
- gen 2015 (4)
- dic 2014 (7)
- nov 2014 (5)
- ott 2014 (10)
- set 2014 (6)
- ago 2014 (1)
- lug 2014 (6)
- giu 2014 (14)
- mag 2014 (10)
- apr 2014 (4)
- mar 2014 (11)
- feb 2014 (10)
- gen 2014 (12)
- dic 2013 (20)
- nov 2013 (9)
- ott 2013 (9)
- set 2013 (4)
- ago 2013 (8)
- lug 2013 (8)
- giu 2013 (20)
- mag 2013 (13)
- apr 2013 (9)
- mar 2013 (11)
- feb 2013 (16)
- gen 2013 (8)
- dic 2012 (10)
- nov 2012 (8)
- ott 2012 (16)
- set 2012 (12)
- ago 2012 (5)
- lug 2012 (12)
- giu 2012 (27)
- mag 2012 (35)
- apr 2012 (21)
- mar 2012 (19)
- feb 2012 (21)
- gen 2012 (26)
- dic 2011 (20)
- nov 2011 (16)
- ott 2011 (30)
- set 2011 (10)
- ago 2011 (5)
- lug 2011 (14)
- giu 2011 (19)
- mag 2011 (24)
- apr 2011 (15)
- mar 2011 (18)
- feb 2011 (25)
- gen 2011 (18)
- dic 2010 (14)
- nov 2010 (15)
- ott 2010 (10)
- set 2010 (9)
- ago 2010 (6)
- lug 2010 (8)
- giu 2010 (12)
- mag 2010 (18)
- apr 2010 (20)
- mar 2010 (12)
- feb 2010 (23)
- gen 2010 (22)
- dic 2009 (18)
- nov 2009 (26)
- ott 2009 (25)
- set 2009 (14)
- ago 2009 (12)
- lug 2009 (16)
- giu 2009 (11)
- mag 2009 (17)
- apr 2009 (15)
- mar 2009 (18)
- feb 2009 (6)
- gen 2009 (13)
- dic 2008 (18)
- nov 2008 (37)
- ott 2008 (30)
- set 2008 (22)
- ago 2008 (6)
- lug 2008 (35)
- giu 2008 (5)
- mag 2001 (1)
Copyright
Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.