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10 giugno 2015
News Management
Nell’era dell’interdipendenza informativa e della comunicazione interattiva e globale, il libro di Claudio Fracassi Sotto la notizia niente rimane, nonostante siano passati anni dalla sua prima pubblicazione (1994), un saggio sull’apparato informativo di grande attualità, nonché una indispensabile lettura non solo per tutti gli operatori della comunicazione, ma per tutti i lettori che vogliano armarsi delle conoscenze necessarie per saper trattare con maturità il bombardamento informativo quotidiano.
Fracassi ci mette di fronte a una grande verità: davanti ai meccanismi dell’informazione siamo ancora dei consumatori passivi e impreparati. Non sappiamo districarci nella selva dei messaggi mediatici che sempre più frequentemente trasmettono una informazione contaminata dalla pubblicità, o confezionata dalla spettacolarizzazione, da un sensazionalismo formale che spesso nasconde e perde i suoi contenuti.
Il messaggio e il compito che Fracassi ci vuole consegnare, come diritto e dovere di tutti i cittadini di informare ed essere informati, è la conquista della consapevolezza delle distinzioni. Saper distinguere lo spettacolo, l’intrattenimento, dalla comunicazione giornalistica, nonché i meccanismi della comunicazione giornalistica dalla realtà degli eventi, si rivela di grande importanza dal momento che, come spiega brillantemente l’autore, l’informazione non è solo la base della democrazia e la fonte dell’opinione pubblica, ma è anche il background delle strutture del pensiero, dei temi sociali, dei valori di riferimento e delle esperienze che formeranno la nostra coscienza e conoscenza sociale e individuale.
Fracassi esamina l’apparato informativo mettendone in luce le sue zone d’ombra e seguendo il doppio binario dell’analisi filosofica/ontologica – indagando la natura delle notizie - e dell’analisi storica, soffermandosi su quelle guerre e avvenimenti politici in cui la versione mediatica si sia rivelata distorta rispetto alla realtà, e spesso così manipolata da aver perso qualsiasi riferimento alla realtà. L’autore passa così in rassegna tutto il processo vitale del prodotto-notizia, dalla fonte al consumatore. E si tratta di una vera e propria catena di montaggio dove il professionista della comunicazione opera sotto vari vincoli: il fatto diventa notizia dopo rigidi passaggi di selezione e filtraggio secondo una struttura che Fracassi descrive metaforicamente attraverso il passaggio di vari cancelli, controllati dai cosiddetti gatekeepers, i guardiani che stanno a monte del sistema informativo. È in questa fase di scelte e passaggi - che rendono la notizia per sua natura parziale rispetto alla realtà - che spesso si formano pericolosi livellamenti e complicità tra la fonte dell’informazione e il giornalista, e dove si insidiano quei meccanismi di autocensura, di censura e di propaganda che abbiamo riscontrato nel passato ma che persistono anche oggi.
Fracassi dimostra come questa necessaria catena di intermediazioni tra il fatto e la notizia sia spesso appiattita. Tutt’oggi è sempre più la fonte ad assumere un ruolo predominante, e questo sta portando a una omologazione dei quotidiani, che per l’appunto si abbeverano alle identiche fonti (istituzionali, politiche, agenzie di stampa, ecc.). Questo perché le strutture del potere hanno adottato già dalla seconda metà del XX secolo un nuovo strumento per interferire con l’informazione: il news management.
Il news management è il centro in cui si raccoglie tutta l’analisi di Fracassi. L’autore spiega come esso si proponga non di nascondere i fatti, ma di riprodurli. Fabbricare l’informazione per dare l’illusione all’opinione pubblica di essere sempre informata, attraverso la creazione a tavolino degli pseudo eventi, ovvero dei fatti che per la loro stessa rilevanza mediatica sono destinati a diventare notizie, come ad esempio la maggior parte dei summit. Fracassi ripercorre le radici culturali e tecnologiche di questo fenomeno, che deriva dalla necessità di vendere la guerra attraverso le immagini, di darne una rappresentazione che si identifichi con la missione politica dei poteri forti.
Non mancano nel libro gli esempi di guerre o attacchi armati preparati mediaticamente, a partire dalla seconda metà del XX secolo. L’autore ripercorre la strategia comunicativa delle cosiddette tele-guerre, dove a ogni operazione militare è collegato un messaggio mediatico che vuole ricompattare il fronte interno dell’opinione pubblica.
Se a partire dalla guerra del Vietnam la comunicazione televisiva si dimostrò un’arma di primaria importanza sulle sorti belliche, con la guerra del Golfo e la seconda guerra d’Iraq nella primavera del 2003, come ci dimostra Fracassi, si fece un passo ulteriore: furono infatti dei conflitti programmati in funzione della loro rappresentazione mediatica. Fracassi ricorda le tecniche della potente agenzia Hill & Knowlton, che hanno generato veri e propri inganni informativi durante la Guerra del Golfo, tra false testimonianze e false scenografie girate a Hollywood delle “prime immagini dell’invasione del Kuwait”.
Il news management e il ruolo delle agenzie pubblicitarie nella politica e nell’informazione è cresciuto insieme all’importanza dell’immagine televisiva e dei nuovi media nella società contemporanea. L’autore passa in rassegna le tecniche utilizzate attraverso i media dalle personalità politiche per la creazione della propria immagine (e quindi del proprio consenso): dalle “chiacchierate davanti al caminetto” via radio di Roosevelt, “alla frase del giorno” e alle “photo-opportunities” escogitate da Michael Deaver per Reagan, fino all’impacchettamento di tutti quegli pseudo eventi televisivi che formano i mattoni di una nuova ingegneria politica delle coscienze.
Dalle analisi di Fracassi emerge dunque una profonda contraddizione: si ha l’impressione di essere informati su tutto, ma spesso il nostro bagaglio informativo non supera l’impacchettamento strategico e assordante che arricchisce superficialmente le notizie, ma che non completa la nostra conoscenza sui fatti.
Infine Fracassi ci pone davanti a una scommessa: riuscirà l’Internet a far rientrare nel circuito informativo tutte quelle realtà remote ancora oggi caratterizzate dalla sottoinformazione, o perpetuerà un sistema comunicativo a senso unico e che propone il sistema occidentale come unico riferimento dello sviluppo globale?
Una lettura interessante e ricca di spunti di riflessione, che dovrebbe interessare non solo gli operatori della comunicazione, ma tutti i cittadini, tutti i lettori, tutti gli elettori, ancora troppo spesso indifesi davanti ai meccanismi dell’informazione. Perché è giusto chiedersi – e Fracassi lo fa - che fine farà la nostra conoscenza della realtà se il bagliore del packaging delle notizie prenderà il posto di una onesta e pluralistica informazione.
Ilaria Abbo
Claudio Fracassi,
Sotto la notizia niente
Editori Riuniti, Roma, 2007 (1a edizione 1994).
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Fracassi ci mette di fronte a una grande verità: davanti ai meccanismi dell’informazione siamo ancora dei consumatori passivi e impreparati. Non sappiamo districarci nella selva dei messaggi mediatici che sempre più frequentemente trasmettono una informazione contaminata dalla pubblicità, o confezionata dalla spettacolarizzazione, da un sensazionalismo formale che spesso nasconde e perde i suoi contenuti.
Il messaggio e il compito che Fracassi ci vuole consegnare, come diritto e dovere di tutti i cittadini di informare ed essere informati, è la conquista della consapevolezza delle distinzioni. Saper distinguere lo spettacolo, l’intrattenimento, dalla comunicazione giornalistica, nonché i meccanismi della comunicazione giornalistica dalla realtà degli eventi, si rivela di grande importanza dal momento che, come spiega brillantemente l’autore, l’informazione non è solo la base della democrazia e la fonte dell’opinione pubblica, ma è anche il background delle strutture del pensiero, dei temi sociali, dei valori di riferimento e delle esperienze che formeranno la nostra coscienza e conoscenza sociale e individuale.
Fracassi esamina l’apparato informativo mettendone in luce le sue zone d’ombra e seguendo il doppio binario dell’analisi filosofica/ontologica – indagando la natura delle notizie - e dell’analisi storica, soffermandosi su quelle guerre e avvenimenti politici in cui la versione mediatica si sia rivelata distorta rispetto alla realtà, e spesso così manipolata da aver perso qualsiasi riferimento alla realtà. L’autore passa così in rassegna tutto il processo vitale del prodotto-notizia, dalla fonte al consumatore. E si tratta di una vera e propria catena di montaggio dove il professionista della comunicazione opera sotto vari vincoli: il fatto diventa notizia dopo rigidi passaggi di selezione e filtraggio secondo una struttura che Fracassi descrive metaforicamente attraverso il passaggio di vari cancelli, controllati dai cosiddetti gatekeepers, i guardiani che stanno a monte del sistema informativo. È in questa fase di scelte e passaggi - che rendono la notizia per sua natura parziale rispetto alla realtà - che spesso si formano pericolosi livellamenti e complicità tra la fonte dell’informazione e il giornalista, e dove si insidiano quei meccanismi di autocensura, di censura e di propaganda che abbiamo riscontrato nel passato ma che persistono anche oggi.
Fracassi dimostra come questa necessaria catena di intermediazioni tra il fatto e la notizia sia spesso appiattita. Tutt’oggi è sempre più la fonte ad assumere un ruolo predominante, e questo sta portando a una omologazione dei quotidiani, che per l’appunto si abbeverano alle identiche fonti (istituzionali, politiche, agenzie di stampa, ecc.). Questo perché le strutture del potere hanno adottato già dalla seconda metà del XX secolo un nuovo strumento per interferire con l’informazione: il news management.
Il news management è il centro in cui si raccoglie tutta l’analisi di Fracassi. L’autore spiega come esso si proponga non di nascondere i fatti, ma di riprodurli. Fabbricare l’informazione per dare l’illusione all’opinione pubblica di essere sempre informata, attraverso la creazione a tavolino degli pseudo eventi, ovvero dei fatti che per la loro stessa rilevanza mediatica sono destinati a diventare notizie, come ad esempio la maggior parte dei summit. Fracassi ripercorre le radici culturali e tecnologiche di questo fenomeno, che deriva dalla necessità di vendere la guerra attraverso le immagini, di darne una rappresentazione che si identifichi con la missione politica dei poteri forti.
Non mancano nel libro gli esempi di guerre o attacchi armati preparati mediaticamente, a partire dalla seconda metà del XX secolo. L’autore ripercorre la strategia comunicativa delle cosiddette tele-guerre, dove a ogni operazione militare è collegato un messaggio mediatico che vuole ricompattare il fronte interno dell’opinione pubblica.
Se a partire dalla guerra del Vietnam la comunicazione televisiva si dimostrò un’arma di primaria importanza sulle sorti belliche, con la guerra del Golfo e la seconda guerra d’Iraq nella primavera del 2003, come ci dimostra Fracassi, si fece un passo ulteriore: furono infatti dei conflitti programmati in funzione della loro rappresentazione mediatica. Fracassi ricorda le tecniche della potente agenzia Hill & Knowlton, che hanno generato veri e propri inganni informativi durante la Guerra del Golfo, tra false testimonianze e false scenografie girate a Hollywood delle “prime immagini dell’invasione del Kuwait”.
Il news management e il ruolo delle agenzie pubblicitarie nella politica e nell’informazione è cresciuto insieme all’importanza dell’immagine televisiva e dei nuovi media nella società contemporanea. L’autore passa in rassegna le tecniche utilizzate attraverso i media dalle personalità politiche per la creazione della propria immagine (e quindi del proprio consenso): dalle “chiacchierate davanti al caminetto” via radio di Roosevelt, “alla frase del giorno” e alle “photo-opportunities” escogitate da Michael Deaver per Reagan, fino all’impacchettamento di tutti quegli pseudo eventi televisivi che formano i mattoni di una nuova ingegneria politica delle coscienze.
Dalle analisi di Fracassi emerge dunque una profonda contraddizione: si ha l’impressione di essere informati su tutto, ma spesso il nostro bagaglio informativo non supera l’impacchettamento strategico e assordante che arricchisce superficialmente le notizie, ma che non completa la nostra conoscenza sui fatti.
Infine Fracassi ci pone davanti a una scommessa: riuscirà l’Internet a far rientrare nel circuito informativo tutte quelle realtà remote ancora oggi caratterizzate dalla sottoinformazione, o perpetuerà un sistema comunicativo a senso unico e che propone il sistema occidentale come unico riferimento dello sviluppo globale?
Una lettura interessante e ricca di spunti di riflessione, che dovrebbe interessare non solo gli operatori della comunicazione, ma tutti i cittadini, tutti i lettori, tutti gli elettori, ancora troppo spesso indifesi davanti ai meccanismi dell’informazione. Perché è giusto chiedersi – e Fracassi lo fa - che fine farà la nostra conoscenza della realtà se il bagliore del packaging delle notizie prenderà il posto di una onesta e pluralistica informazione.
Ilaria Abbo
Claudio Fracassi,
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