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01 settembre 2015
Four days
“Te lo voglio dire una volta sola, non l’ho mai detto prima d’ora.
Questo genere di certezza si ha soltanto una volta nella vita”
Clint
Eastwood, “I ponti di Madison County”.
Il mondo contemporaneo, quel
mondo che ha relegato in una soffitta le grandi locomotive a vapore, le
macchine da scrivere e i merletti, sembra aver mandato in pensione anche l’Amore.
Certamente non vi è inverno in cui i negozi di piccole e grandi città non si
riempiano di cuori e fiori in occasione di San Valentino, non vi è libreria che
si privi di tomi e tomi di autentiche romanticherie (strazianti passioni
adolescenziali, distanze incolmabili sconfitte dall’ancora non amaro sapore di
una lettera…) e infine non vi è sala cinematografica nella quale almeno un paio
di volte all’anno non si possa assistere a un matrimonio da favola, a un bacio
o a una passeggiata mano nella mano alla luce del tramonto. Ma l’Amore è
un’altra cosa, e troppo spesso lo si soffoca nello smielato simulacro di se
stesso, ammantandolo di quella banalità che non ne fa altro che uno degli
innumerevoli elementi della spettacolarizzazione. Fortunatamente però non è
sempre così.
Girovagavo tra gli scaffali di un
negozio del centro per ingannare il tempo, non c’è poi molto da fare quando
fuori il termometro sfiora i quaranta gradi, non si vede una nuvola
all’orizzonte nemmeno sforzandosi di cercarla e si è costretti a rinunciare
alla spiaggia per svolgere una di quelle odiose “commissioni” che spesso
etichettiamo con questo nome che significa tutto e non significa nulla. Insomma
era una di quelle giornate in cui avrei volentieri appeso al chiodo i doveri
filiali, demandando ad altri l’ingrato compito di attendere mia madre nel forno
cittadino, ma ahimè il sì ormai mi era sfuggito e l’aria condizionata del primo
negozio aperto mi era sembrata l’unica momentanea consolazione. Avevo già tra
le mani una discreta pila di dvd e temevo il momento in cui avrei dovuto
sceglierne uno, magari in tutta fretta ricevendo d’improvviso la telefonata di
mia madre, quando scorsi, tra un thriller e un cartone animato I ponti di Madison County. La regia di
Clint Eastwood mi parve una garanzia, il nome di Meryl Streep appena sopra al
titolo mi tolse ogni dubbio (nel caso ancora ne avessi avuti) e, cestinati
automaticamente gli altri dvd, mi
avviai risoluta verso la cassa.
Il film racconta una storia senza
guerre e senza eroi; racconta di un uomo, di una donna e del loro amore. Lui,
Robert Kincaid (Clint Eastwood) è un
fotografo giramondo lei, Francesca Johnson (Meryl Streep), moglie e madre in
una piccola fattoria dell’Iowa. Quando Francesca, nel fiore degli anni, lascia
l’Italia per seguire un giovane soldato americano e divenirne presto la moglie,
non avrebbe potuto immaginare che l’amore non avesse ancora giocato tutte le
sue carte. Carte che avrebbe scoperto sul tavolo solo molti anni dopo, nel
1965, quando uno sconosciuto inviato del National
Geographic avrebbe bussato alla sua porta. Sarà lì che Francesca scoprirà
il vero significato dell’essere donna e dell’Amore (quello per un uomo, certo,
ma anche quello per la propria famiglia). Quando Francesca lascia sul tavolo
del giardino il suo bicchiere di tè freddo e decide di aprire la portiera della
macchina di Robert, senza saperlo inizia a riscrivere la storia della propria
vita. A Robert e Francesca sono concessi soltanto quattro giorni: quattro
giorni per conoscersi, per innamorarsi, per vedersi l’uno come il riflesso
dell’altra. Quattro giorni per fuggire insieme o per dirsi addio. In un mondo
dominato dall’ipocrisia nel quale donne e libertà mal s’accompagnano, Francesca
trova il coraggio di rispolverare i sogni del passato e da questi trae la forza per lasciarsi travolgere dall’amore.
Ma quattro giorni si consumano in fretta e quando il pick-up del marito, con i
due figli e il vitello, vincitore di quella fiera che tanto provvidenzialmente
li aveva tenuti lontani da casa, compare all’orizzonte la realtà riprende
prepotentemente il proprio posto e Francesca deve scegliere tra due parti di se
stessa.
Il film traspone sullo schermo
l’omonimo romanzo di Robert James Waller, lasciandone inalterati la delicatezza
e l’eleganza, un tocco leggero che indaga i sentimenti nel profondo,
restituendo al lettore – ora anche spettatore – emozioni autentiche e
struggenti. Non vi sono retorica né inutili orpelli stilistici nella pellicola
di Clint Eastwood, all’epoca già vincitore di due premi Oscar (miglior film e
miglior regia per Gli Spietati), ma
si fa tangibile l’occhio attento di un uomo che sa creare altri uomini, facendo
di ogni film un autentico capolavoro, un intenso istante di vita strappato
all’oblio e fatto immagine. E a chi guarda adagiato tra i cuscini di una
poltrona non resta che perdersi negli sterminati spazi della campagna
dell’Iowa, dove due vite unite ben oltre la morte non possono non strappare una
lacrima nemmeno ai più cinici.
G. Camilla Severino
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