Una sconfitta plateale, al termine della quale Matteo Renzi, secondo le notizie riportate, avrebbe affermato: “Non credevo che mi odiassero così”.
I sondaggi hanno messo in risalto le ragioni che hanno portato a questo risultato politico: in primo luogo, si tratterebbe di un malcontento diffuso tra gli italiani.
Il no è stato un modo, l'unico che gli italiani hanno avuto a disposizione negli ultimi anni, per dire "basta, non ci prendete in giro, per noi non state facendo niente", così interviene su La Repubblica Roberto Saviano.
A votare no sono stati i più giovani e, soprattutto, i giovani del Sud Italia.
Ed ecco che, a tratti, questo giudizio popolare sembra raccontare qualcosa in più; sembra riuscire a collegarsi e a narrarci altre storie, altre “faccende”: personali , da un lato, e socialmente condivise, dall’altro.
Matteo Renzi, il primo ministro più giovane di tutta la storia della Repubblica Italiana, voleva essere l’innovatore e il “rottamatore” di una classe politica immobile ed anziana.
“Attacco alla casta, antiparlamentarismo, mozione degli istinti antipolitici: sono tutti elementi di un inedito populismo del potere che Renzi ha provato a impersonare nel tentativo — o nella tentazione — di disegnarsi un doppio profilo di lotta e di governo, usando le armi dell’antipolitica per combatterla”, scrive Ezio Mauro.
Tutto ciò si è amaramente rivelato un suicidio.
Ed è a questo punto che sembrerebbe emergere uno scontro generazionale e, di conseguenza, il forse necessario incontro, dialogo e appoggio reciproco tra identità che rappresentano ciascuna decenni differenti.
Forse, se Renzi avesse dato maggior ascolto ai consigli provenienti dalla vecchia classe dirigente del suo partito sarebbe riuscito ad inserire la riforma costituzionale in un contesto culturale e conoscitivo differente ed avrebbe ottenuto risultati diversi.
Forse, i giovani avrebbero potuto informarsi ancor più a fondo prima di insorgere e di alzare i toni e sbattere un secco no in faccia ai più esperti adulti.
Forse, se la saggezza ed l'esperienza del vecchio si fosse mescolata alla richiesta di rottamazione degli adulti e alla spregiudicatezza dei giovani, si sarebbe aperto un lungo dialogo, un lungo viaggio di ascolto reciproco che avrebbe portato ad un cambiamento più lento e ponderato, ma anche più stabile.
Ed è all’interno di queste riflessioni che torna vivo nella mente un film di Paolo Sorrentino, uscito nelle sale cinematografiche nel maggio 2015: Youth. La giovinezza.
Il cinema si è più volte occupato, attraverso vari volti e storie, dello scontro e incontro tra diverse generazioni. La stessa storia, tra cui quella del giornalismo, narra della volontà di ribellarsi, con toni spesso anche accesi, dei più giovani nei confronti dei propri discendenti.
Youth. La giovinezza è un film che passeggia, proprio come fanno i due protagonisti ottantenni Fred (Michael Cane) e Mick (Harvey Keitel), che passeggiando cercano se stessi, cercano di ricordare e trovare il perché delle cose.
Ecco, Youth è un film in cerca di un senso e alla ricerca di un buon finale (che non arriva).
Uno dei protagonisti, che recita il ruolo di regista a compimento del suo ultimo film testamento, chiama una delle sue giovani collaboratrici ad osservare il panorama delle Alpi svizzere da un binocolo.
“La vedi quella montagna di fronte?”, chiede il regista.
“Si, sembra vicinissima”, risponde timidamente lei.
“Esatto! Questo è quello che si vede da giovani, si vede tutto vicinissimo. Quello è il futuro.”
Il regista ruota velocemente l’obiettivo del binocolo e, così, capovolge altrettanto rapidamente la visione degli oggetti e, insieme, della vita.
“E adesso… questo è quello che si vede da vecchi, si vede tutto lontanissimo. Quello è il passato.”
Giovane e vecchio sembrano, così, affacciarsi ad uno stesso panorama con vissuti ed esperienze contrapposte. Vicino e lontano, spregiudicatezza e saggezza, passione sfrontata e maturità e, in definitiva, novellino incauto ed anziano accorto sembrano apparire distanti, ma, contemporaneamente, faccia di una stessa medaglia.
Allora l’incontro generazionale, forse spesso non riuscito e impossibile da compiersi per molti aspetti, appare quanto mai inevitabile e necessario, tanto in politica quanto nella vita quotidiana di ognuno di noi.
Valentina Trinchero
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