Giornalismi nella rete non è soltanto un libro. È anche qualcosa di più: un progetto, un sito, un database. Le pagine del libro sono infatti accompagnate da una serie di QR code, attraverso i quali è possibile connettersi al sito giornalisminellarete.donzelli.it e seguire in tempo reale i dati, che continuano ad essere raccolti anche dopo la stesura del libro. Il perché di tutto questo è spiegato chiaramente da Mezza nelle pagine iniziali: “Scrivere un libro sul giornalismo oggi è come fotografare un ghepardo che corre”. La foto risulterà inevitabilmente sfocata, ma è proprio l’imprecisione e l’impalpabilità di quell’immagine a rendere la foto così realistica. E che dire ora che quel ghepardo inafferrabile si sta trasformando in vento?
Un libro che parla di giornalismo, dunque. Effettivamente l’argomento sembra sposarsi a meraviglia con il concetto del QR code: il giornale oggi non può pensare di reggersi soltanto sul supporto cartaceo e la rete amplia il quantitativo di informazioni accessibili. Si moltiplicano le edizioni online e altrettante redazioni native della rete. Ma se pochi anni fa giornalisti ed editori della carta stampata consideravano la “dematerializzazione” del prodotto editoriale come un’involuzione, oggi possiamo verificare come le edizioni online di un giornale diano nuovo respiro alla vendite.
Il titolo stesso del libro, con la sua doppia interpretazione, sottolinea il delicato momento per i giornalisti. Giornalismi nella rete può infatti riferirsi ai nuovi modi di fare giornalismo nati grazie al web, ma può anche riferirsi a quei giornalismi il cui destino prevede un cambiamento: giornalismi presi nella rete, catturati da un futuro ad alta velocità.
Fin dalle prime pagine del libro, l’autore focalizza la sua attenzione sui primi avvenimenti che aprirono le porte del futuro per il giornalismo. Nel 2013 arriva la notizia dell’acquisto del Washington Post da parte di Jeff Bezos, fondatore di Amazon. Il colosso dell’e-commerce ha a che vedere con l’idea di un giornale che persegua l’obiettivo ultimo di un rapporto stretto con il lettore. E ancora, nel 2015, il New York Times e il Guardian hanno annunciato la loro intesa con il colosso di Zuckerberg, Facebook. In sostanza, “si tratta di un accordo per cui i giornali cedono al social network le proprie notizie perché le distribuisca in tutto il mondo, a seconda dei profili personalizzati che ha ricavato dai suoi 1,5 miliardi di utenti”. Ciò che ci si può aspettare è un’unica grande edicola digitale che provvederà a proporci notizie da tutto il mondo in base alle nostre preferenze: succederà così che ognuno leggerà il proprio giornale personalizzato. Ai giornalisti spetta una delle sfide più importanti e complesse degli ultimi anni: capire che oggi più che mai la velocità è notizia e che quel ghepardo che corre, in un modo o nell’altro, va cavalcato. Per fare tutto questo, secondo Mezza, non basta trasportare il giornale cartaceo sul web o modificare l’interfaccia di un quotidiano già presente online. È opportuno, prima di tutto, pensare ad un nuovo modo di fare giornalismo, reimmaginarsi la propria professione. Significa pur sempre mettere in dubbio alcuni concetti fondanti del giornalismo, ma è l’unica via possibile: prima del restyling, è necessario un rethinking.
Un esempio su tutti: un dato essenziale nel procedimento di identificazione e definizione della notizia è la cosiddetta “regola delle 5W”. Qualsiasi notizia sul giornale risponde a precise domande. Sono infatti sempre presenti un who (chi?), un where (dove?), un when (quando?), un what (che cosa?) e un why (perché?). Solo negli ultimi anni i giornalisti vedono la comparsa di una nuova “W” nel processo di notiziabilità: oggi più che mai, la notizia deve rispondere anche all’interrogativa while (nel frattempo?). Siamo nel pieno del giornalismo real-time: il fatto non genera più la notizia, ma avviene in contemporanea con essa.
Se si lascia campo libero a Facebook, Google e altri colossi, permettendogli di assorbire al loro interno i frammenti di un giornalismo in continua detonazione, la rete darà luogo a nuove manipolazioni sociali. Ma proprio la rete deve essere il terreno di un conflitto vitale che riduca la predominanza dei monopoli e dia nuova linfa a uno sviluppo più trasparente. E i giornalisti sono chiamati ad essere i soldati di tale battaglia, in un’epoca in cui le armi si moltiplicano giorno dopo giorno.
Il sottotitolo scritto sulla copertina del libro di Michele Mezza esprime bene la mission del lavoro. Giornalismi nella rete è un libro per non essere sudditi di Facebook e Google, un “kit di sopravvivenza” per i giornalisti di oggi e uno starter kit per i giornalisti che verranno. L’autore ci indica con un dito quale potrebbe e dovrebbe essere il futuro del giornalismo, tenendo sempre e comunque gli occhi rivolti al nostro passato: nella lettura di una notizia, così come nella lettura di tutto ciò che ci circonda, il “durante” ha acquisito grande importanza, ma il “prima” rimane il requisito fondamentale. Solo così possiamo intuire e capire il futuro.
Fabio Liguori
Michele Mezza
Giornalismi nella rete. Per non essere sudditi di Facebook e Google
Donzelli, Roma, 2015.
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