Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

_________________

Scorrendo questa pagina o cliccando un qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie presenti nel sito.



27 maggio 2018

Informazione delegittimata


Il titolo del libro di Paolo Pagliaro, Punto non è che l’incipt di un’analisi approfondita che ha come obbiettivo quello di trovare basi solide per debellare l’affezione, colpevole e colposa, alla disinformazione.
La rete è il luogo virtuale nel quale l’informazione ha subito un drastico mutamento. Il web è territorio fertile per l’ascesa di estremismi, per la fomentazione dell’odio razziale, politico, religioso, sessuale. Ci troviamo in un mondo che ha indirettamente accettato di far parte dello storytelling del potere: disposto a restare una stringa di numeri e calcoli di mercato a servizio dei colossi del Web.
La costruzione del nemico e di situazioni nemiche che, seppur virtualmente, riescono a permeare la realtà ed a concretizzarsi in atti di violenza; come accaduto durante la campagna referendaria sulla Brexit, nel 2016. Joanne Cox, deputata laburista, è stata assassinata da un neonazista, il quale al motto di “Britain First”, ha giustificato il suo gesto come una missione di liberazione della Gran Bretagna dai traditori.
La smania del web di rispecchiare sempre le preferenze di ogni singolo utente, illudendoli di lasciar loro libera scelta, quando, al contrario, gli utenti stessi sono il prodotto finale; la fucina di idee per il marketing e per il mondo pubblicitario. Staccare pian piano l’attenzione, bombardando con molti stimoli la vista, già distratta da suoni e da immagini sempre più animate, al fine di creare una sorta di bipolarismo sociale; creare dimensioni virtuali come i social network che annullano le distanze e accorciano i tempi di contatto.
Esaltare la qualità dell’immediatezza e deplorare l’attesa e la riflessione. Attendere è sinonimo di pensare come pensare è sinonimo di attenzione e di concentrazione, non solo su stessi ma su ciò che crea la realtà quotidiana in cui siamo immersi. Il clima d’odio che cresce come addensante di correnti di pensiero, finisce per agitare le menti nel ricercare, per compiacimento personale e riconoscimento di gruppo, la cosiddetta disinformation o peggio ancora missinformation. La verità è diventata scomoda e non produttiva ai fini del “successo” webete. Ogni utente diventa medico, insegnate, professionista e con un post, giornalista; quando uno smartphone basta per padroneggiare il mondo e ricreare, al tocco di Photoshop, l’immagine più gradita di noi stessi, tanto da divenire personaggio dell’anno 2006 per il Times. Uno schermo a mo’ di specchio ci risucchia in copertina, come Narciso che, innamorato di se stesso, cadde nel lago; a differenza sua non diventiamo un fiore ma una semplificazione che ci vuole tutti “amici sconosciuti” e che ci spinge a modificare il lessico e a diffidare di un rispettoso “lei” al posto di un “tu”. Quel potere che non ha volto se non quello di un capitale umano pronto a non conoscersi pur di essere conosciuto e riconosciuto dagli algoritmi, prima ancora che dagli altri cittadini virtuali. Quel progetto iniziale costruito con intelligenza collettiva e generosa è stato trasformato in uno strumento di interessi economici e politici.
Come sostiene Bernabè, la rete vive una libertà vigilata nella quale il vuoto normativo mina la democrazia; se una volta la privacy riguardava la protezione dei dati personali, oggi deve essere rivalutata come una protezione della persona da condizionamenti indesiderati a cui suo malgrado è esposta. Tramontata l’era degli dei omerici -dimenticando il potenziale comunicativo della tecnologia di oggi a dispetto del medioevo in cui c’erano pochi libri ma almeno erano letti, come ricorda l’antropologo Roberto Niola- la gente crea un legame conviviale con i potenti e siedono sul trono di un’illusoria parità. Diventano sostenitori della comunicazione politica dei loro leader; indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato, ciò che conta è la qualità della storia. Il desiderio di sognare, quello stesso desiderio che finisce per renderci volontariamente schiavi di un meccanismo capace di mettere a repentaglio persino la salute fisica. Basti pensare alla campagna “No Vax”; quelle non notizie che come sostiene Luca Sofri, sono diventate notizie. Fake news che nonostante siano state smentite da fonti scientifiche, continuano ad essere prese per buone, sviluppando una sorte di credo religioso per cui si arriva al paradosso di dire “io credo/non credo ai vaccini”. L’assurdo piace e non a caso alcuni blog politici, come il blog di Beppe Grillo, detentori a loro dire della nuova democrazia diretta, diffondono quotidianamente notizie false o verosimili approfittando dell’analfabetismo funzionale di cui, secondo l’Ocse, il pubblico italiano è maggiormente “affetto”; ovvero la non abitudine a verificare le fonti, comprenderle e valutarle. L’anticasta, tematica tipica del populismo, diviene uno slogan di minimizzazione dei reali problemi di un Paese che fonda la sua credibilità sul desiderio di una democrazia non mediata. I leader populisti promettono di tagliare le distanze tra i palazzi del potere e la piazza, realizzando una fidelizzazione al partito o meglio ancora a loro stessi, in un epoca in cui le ideologie forti non esistono più ed a prevalere è l’incertezza. La politica è il leader e l’elettorato è un pubblico di reclute il cui parere resta importante solo per la divulgazione dei messaggi elettorali; pur non credendo nel messaggio del suo partito è disposto a condividerlo e diffonderlo come un mantra. Notizie irreali, statistiche fuorvianti e battute violente entrano nelle eco chambre, dove falsità e verità abdicano per lasciare voce alle opinioni che alimentano la propaganda. I media e in particolare la televisione, hanno la loro fetta di responsabilità nell’uso semplicistico del linguaggio che una volta era sinonimo di “paradigma della superiorità” ed oggi è divenuto, secondo il linguista Giuseppe Antonelli,” rispecchiamento”. Se ieri si parlava meglio di come si mangiava, oggi si parla come si mangia e cioè usando un linguaggio ruvido, volgare, capace di perpetrare l’illusione che la sovranità popolare è tale solo se il politico è “uno di noi”, solo se l’autorità abbandona quel sano distacco, solo se si è consapevoli che niente può essere detto meglio di ciò che è falso. Il falso presuppone la semplificazione e necessita solamente di un bacino d’emozioni comuni che colpiscono i più deboli, riducendoli a capi espiatori; il forestiero che entra nel Paese e pretende di imporre la sua cultura e l’immigrato che porta via il lavoro ai tanti giovani italiani disoccupati. Il tema “immigrazione”, stendardo delle campagne politiche sia di destra che di sinistra; tematica affrontata in nome del patriottismo e farcita di frottole, tutt’altro che innocue. Essa in realtà è un fenomeno complesso che ha due aspetti; un aspetto mediatico, incline a far aumentare gli ascolti -anche servendosi di immigrati pagati per testimoniare il falso come accaduto nella trasmissione “Quinta Colonna”- e un aspetto silenzioso che nessuno è interessato a conoscere. Il vero problema è che non siamo disposti a condividere la situazione con gli altri paesi europei; non esiste un’Europa matrigna ma esiste un mancato dibattito serio sull’accoglienza. I nuovi italiani hanno affrontato tutt’altro che un’accoglienza a 5 stelle e di certo non sono loro ad aver tolto le casette ai terremotati. La gente non vuole informarsi, preferisce tamponare i propri timori armandosi di ruspe e distruggendo i valori dell’Europa che non sono solo il rispetto della concorrenza di mercato ma anche valori di libertà, tutela dei diritti umani, cooperazione tra stati diversi. Tutto questo è molto più di una emojii postata in un commento; è libertà di informazione che nulla ha a che vedere con il narcisismo di massa né con il narcisismo del potere e tantomeno con le post-verità. La libertà di informazione dovrebbe garantire ad ognuno la libertà di farsi un’opinione critica, e di guardare la realtà non con gli occhi della politica ma con gli occhi propri. Se la televisione ci ha coinvolti in una realtà sempre monitorata e sempre meno intima e riservata; ecco che le fonti d’informazione dovrebbero tornare a esercitare il loro antico mestiere di cani da guardia. Il mondo del giornalismo sembra ormai non esistere più anche perché nessuno investe sulla buona informazione a causa dei costi elevati. La notizia siamo noi; i giornali si trovano tra due fuochi, quello della verifica delle informazioni e quello della tempistica di pubblicazione. Spesso ci si concentra più sul timore di pubblicare una notizia bruciata piuttosto che sulla veridicità di quest’ultima. Le rettifiche o le smentite, sempre più frequenti, passano in secondo piano e non hanno la stessa risonanza della prima pubblicazione. I giornalisti, secondo Pagliaro, dovrebbero tornare a occuparsi in prima persona, ad esempio, dell’estremismo islamico che ha trovato terreno fertile grazie alla visibilità ottenuta con i social media ed in particolare con Twitter. Tornare ad occuparsi di terrorismo e delle sue dinamiche, come fecero i giornalisti con gli ultimatum delle Brigate Rosse; per avere credibilità un giornalista deve avere responsabilità e buona reputazione. Non tutti possono essere giornalisti. Non basta avere un blog su World Press, piattaforma su cui ne fiorisce uno ogni 5,7 secondi. Essere giornalisti vuol dire avere una morale, un etica; vuol dire, come sostiene Matteo Finotto, essere consapevoli di avere dieci secondi a disposizione per catturare l’attenzione del lettore e che se si fallisce, il lettore passerà con un clic ad un’ altra notizia, più ad effetto. Catturare l’attenzione e allo stesso tempo dare informazioni veritiere, attinenti alla realtà dei fatti. Il trasformismo del web e la sua non mediazione porta alla demagogia, al trionfo dell’irresponsabilità al “dar voce non alla testa ma alla pancia”.
Il premio Nobel Herbert Simon sosteneva, nel 1971, che l’informazione consuma attenzione e che quindi l’abbondanza di informazione genera povertà di attenzione. Secondo Luca De Biase, l’attenzione diventa una merce che, a discapito della consapevolezza individuale, viene sfruttata da una scrittura ipnotica colma di promesse volte a distrarre, fino a diventare la prima idea che viene in mente. Solo con la conoscenza l’informazione crea un ecosistema sano e scardina quella che Marshall Mclhuan definì “costante attenzione parziale”. Lo storytelling non fa altro che creare questo circolo vizioso tra riconoscimento ed esaltazione, garbage in, garbage out; quel rumore tipico delle pubblicità volto a quegli eterni fanciulli che sono gli elettori o comunque gli utenti. Una realtà che rasenta i tratti della docufiction dove non si riesce a comprendere dove finisce la finzione e dove inizia la narrazione reale dei fatti. Se fossimo consapevoli di questo inganno mediatico, potremmo rivendicare il diritto alla disconnessione. De Biase propone la creazione di zone franche utili alla riflessione, dove ogni persona possa staccare la sua attenzione dallo smartphone, dalle mail e dalle notifiche; oggi che la tecnologia corre veloce non c’è più il tempo per soluzioni lente ma occorre fare forza sulle proprie capacità di distacco e diventare padroni della tecnologia. Essere consapevoli e sviluppare quel crap detector, ovvero quel sensore di boiate, capace di riconoscere immediatamente una notizia falsa. Leggere e attribuire un senso a ciò che si legge; cercare di non provare disagio nel pensare e andare oltre la comodità delle opinioni, come sosteneva Kennedy. Essere critici e porre domande; guardare oltre il territorio nazionale, interessarsi alle questioni estere, non solo quelle vaticane. E’ possibile arrestare questa frammentazione esterna e interna agli individui; più siamo isolati in noi stessi e più il potere riesce a controllarci. Le proposte per interventi repressivi ci sono state ma tutte hanno suscitato polemiche. Paolo Attivissimo, noto debunker, ha parlato della possibilità di sviluppare un sistema che consente agli utenti di sapere immediatamente se la notizia che stanno leggendo è considerata attendibile; un sistema di etichettatura delle notizie che può essere esteso a tutta la comunicazione digitale. L’idea di multare i siti che ospitano notizie non veritiere risulterebbe inutile in quanto sarebbe trascurabile qualunque sanzione per i colossi “Over the Top” come Facebook. Un modo per disciplinare il web e disincentivare la pubblicazione di notizie false può essere quello del ritiro della pubblicità da quei siti che devono la loro popolarità alla sistematica falsificazione dei fatti. Tornare alla reputazione come valore commerciale, comprendendo che il vero mercato non è propriamente quello delle fake news quanto quello del mistero, delle emozioni e del pensiero magico. Noi utenti possiamo adottare le seguenti accortezze: a) Seguire i siti di fact checking ; b) Non fidarci di siti con nomi bizzarri e domini strani; c) Controllare la sezione “About” dei siti e verificare la presenza della testata su Wikipedia; d) Verificare se la storia in questione è stata ripresa anche da altre testate o siti; e) Verificare la presenza di una fonte ed il nome dell’autore; f) Controllare la data di pubblicazione e ricordare che esiste la satira e che molti di questi siti adottano, in forma alterata ma con stesso stile grafico, i nomi di testate famose.
Il buon giornalismo, quindi, non si basa solo sul citizen journalism; occorre che i giornalisti tornino all’onestà con coraggio e orgoglio professionale. Questo, secondo Pagliaro, è l’unico modo per debellare l’epidemia di disinformazione che ha investito i media.
Federica Frasconi

Paolo Pagliaro,
Punto. Fermiamo il declino dell’informazione,
Il Mulino, Bologna, 2017.

_____

Nessun commento:

Archivio blog

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.