Cronache infedeli
è un libro scritto da Flavio Fusi, collocabile nella serie narrativa. Un libro composto
da nove capitoli, tutti avvincenti e con diversi punti in comune descritti
nella presente recensione.
L’autore. La qualità
è garantita quando un professionista di elevata caratura come Flavio Fusi mette
per iscritto le vicissitudini che un mestiere vocazionale come quello del
giornalista inviato. Non i soliti improvvisati reporter, o neofiti privi di
esperienza. Flavio Fusi è un professionista di lungo corso. Pochi come lui
possono vantare un bagaglio esperienziale e culturale. Le prove di ciò emergono
dai racconti fatti attraverso uno stile di scrittura fluente ma preciso e
dettagliato che non va mai a discapito di nulla. Il libro in questione descrive
le vicende che lo hanno riguardato nel corso della sua lunga carriera
giornalistica da inviato. Terre sparse per il mondo, molte delle quali
dimenticate da Dio. Descrive dettagliatamente ambientazioni, eventi,
personaggi, ma soprattutto contesti sociali ed economici di mondi in crisi ove
regna una realtà atipica per noi occidentali. Una realtà in cui si chiede pace
e cibo ma si ottiene guerra e miseria.
Fusi mette da subito le cose in chiaro e avvisa il lettore dei viaggi
intrisi di cruente realtà incontrate nel corso degli anni e soprattutto nel
corso degli eventi. Questo nei primi capitoli è descritto in maniera precisa e
dettagliata tanto che pensando alla miseria kosovara, serba, russa, viene da
fermarsi nella lettura e meditare sulla fortuna dell’odierno vivere di noi occidentali.
Il titolo. Contrariamente
da quanto possa far pensare il titolo, in tutti i capitoli si viaggia a fianco
di un narratore che va a braccetto con la cronaca fedele, tipica di chi il
mestiere lo conosce bene ma conscio di dover fare i conti con la memoria. E
già, perché Fusi sostiene che la memoria sia quell’elemento che ci distingue
dagli animali e che al tempo stesso ci induce in errore lasciando le cose
piacevoli e sbiadendo quelle meno. Proprio da questo ragionamento muove la
scelta del titolo che sa di ossimoro bello e buono e che nei lettori farà
sorgere da subito la voglia di scoprirne il dilemma. Per quanto si voglia, esse
non potranno mai dichiararsi fedeli in quanto il tempo ha implacabilmente
svolto uno dei suoi compiti più complessi e inspiegabili: cancellare le cose
brutte. Ciò nonostante il libro appare tutt’altro
che infedele. Viene quindi da chiedersi quali altre cose più cruente avrebbe
riportato il Fusi se solo la memoria non fosse stata a sua volta vittima...ma del
tempo; e non si comprende quindi la scelta del titolo così criptico e
leggermente fuorviante rispetto al testo.
Tratti caratteristici. I capitoli sono splendenti, scritti nel Sole, si potrebbe dire.
Non vi è pagina infatti in cui non compaiano parole luminose come quella di
Sole e quella di Luce. Come un’auto che per andar dritta ha bisogno di un buon
guidatore, così questo libro ha avuto bisogno di parole strategiche che non
lasciano cadere il lettore in un grigiore ambientalistico. D'altronde,
trattandosi di guerra e fame, il rischio è elevato. Scelta giusta.
Operazione immedesimazione. Il libro fa immedesimare e leggendolo si ha la sensazione di
essere al fianco del cronista; di far parte storia dopo storia di un componente
del suo gruppo, cameramen, fonista e altri.
Dispiace la perdita di un loro componente che racconta di aver
conosciuto in vita e che muore durante le ardite riprese di una guerriglia tra
le tante dei posti raggiunti. La tragedia è descritta bene e incute addirittura
rabbia per l’incoscienza dell’operatore. Doveva ripiegare e scappare senza
telecamera piuttosto che portare a termine il servizio e la sua vita. Questo è quello che vien da pensare dopo aver
letto le pagine che narrano il nefasto evento. Il magone è in gola, un motivo
ci sarà. In altro scenario e contesto Flavio Fusi ci racconta di quando è stato
fermato da un poliziotto. “...Fusi suena como fucilado...” così gli dice
durante il fermo per la perquisizione. Il modo in cui descrive gli scenari e i
contesti rendono meglio il senso di come una semplice recensione riuscirebbe a
fare. Operazione immedesimazione riuscita!
E’ davvero
interessante per coloro a cui piace il giornalismo di inchiesta e di guerra,
fatto in un chiave inedita, quasi intima, giacché egli stesso lo consideri un
diario. Una veste singolare che fa dimenticare in più momenti di avere tra le
mani un libro. Una capacità espositiva semplice e diretta che spiega bene la
voglia e il coraggio di vivere degli autoctoni intervistati e che ci porta a
conoscere le inquietudini vissute da persone meno fortunate di noi. Persone che
al mattino zappano la terra e alla sera difendono i propri territori con in
braccio fucili e fionde. Difficile quindi tenere su la tesi
dell’infedeltà.
Il viaggio dell'eroe. Il buon senso vuole che i cronisti di guerra raggiungano il fronte e
che dalle retrovie registrino qualche immagine, intervistino qualcuno e
abbandonino il posto quanto prima. Ma ci sono anche professionisti - come il
nostro Flavio Fusi - che decidono di affiancare i disperati per più giorni al
fine di riportare realtà certe e articoli non asettici . Come già detto, Fusi riporta
esattamente la disperazione dei fortunati - si fa per dire - messicani. Loro
sono al confine e possono sperare nella benevolenza della vicina America del
nord che talvolta concede loro opportunità di lavoro. Ma questo in pochi lo
sanno. Il problema reale proviene dai paesi limitrofi al Messico. Il libro ne
parla ampiamente.
Cronache infedeli
è un diario dal tratto particolare ove spesso l’autore descrive i luoghi
visitati in passato e verso cui fa ritorno a distanza di anni. Un viaggio
dell’eroe in loop, che non finisce
mai, e in cui il protagonista si dimostra tenace al punto di andare alla
continua conferma o smentita che il presente sia come il passato.
La riprova. Pochi
sono gli avventurieri che si porterebbero presso un’area geografica locale
interposta tra la Russia e la Turchia come quella caucasica. Pochi lo farebbero
sia per la propria incolumità e sia perchè di luoghi come il Nagorno Karaback
importa poco o nulla. L’autore stupisce e delude. Si addentra e raggiunge
questo luogo di contesa tra nazioni che sono una più povera dell’altra: l’Armenia
e l’Azerbagian. Ma delude poichè in effetti qui è infedeltà: una volta tanto
che a parlare dell’Armenia non è un armeno, il risultato è stato un pò scarno.
Cronaca di storia - questa - che non
trova pace e giustizia neanche nel suddetto libro. E’ davvero un Peccato.
Nobiltà d'animo. Non
stupisce che un giornalista come lui voglia trasmettere segreti anche ai
lettori che sognano un giorno di fare lo stesso mestiere. Fornisce un consiglio
che può salvare la vita, proprio come accaduto a lui stesso durante il
soggiorno a Nairobi:
“...nella notte i ragazzi dell’ EBU hanno
asciato l’ hotel. E quando si muovo l’Ebu puoi scommetterci, qualcosa succede,
sempre. si mettono in movimento significa che presto qualcosa sta per accadere
e che pertanto è meglio tagliare la corda quanto prima. La prima regola del
giornalista in missione: mai perdere di vista quelle canaglie dell’European
Broadcastinng Union...”
Informazione che per gli addetti alle prime armi
può tornare utile. Quindi, generosità e altruismo professionale.
Deformazione professionale. Si da luogo al personale vezzo di osservare e cercare di
giustificare anche le scelte grafiche della copertina e si fa notare la
presenza del soggetto ivi raffigurato: un soldato con la testa china. Che
questo sia in corsa è intuibile dalla posizione delle gambe e ancor di più da
quella della testa. Domande: è un soldato qualsiasi quello raffigurato? È in
fuga da chi? o forse sarebbe meglio dire: da cosa? Una foto che la maggior
parte di noi conosce già. Una foto archètipa e che ha preso posto in ognuno di
noi. Taluni la ricorderanno immediatamente, altri dovranno scavare un attimo
nei ricordi; e se il collegamento tarda ad arrivare poco importa; basta
giungere alla lettura del capitolo dedicato al nefasto evento tedesco perchè il
vago ricordo ritorni in mente. Il giornalismo d’inchiesta che racconta e
fotografa i disertori alla ricerca di libertà. Quella foto è presente nei libri
di storia elementare e media; solitamente è buttata lì nelle ultime pagine,
dove la storia contemporanea perde d’importanza, di valore, e viene
snobbata...perchè tanto si è a fine anno. Magari, un’altra immagine più esclusiva
e leggera poteva rendere di più sia per empatia che per strategia di marketing;
ma è pur vero che quando si parla di certi argomenti ci sia poco da
tergiversare. Una scelta grafica coerente ma non avvincente. Alcuni diranno che
un libro non si giudica dalla copertina. Beh, è vero in parte.
Conclusioni. Per
conoscere altri posti visitati da questo grande giornalista basta leggere il
suo libro composto così egregiamente e attento ai particolari che a suo modesto
avviso “...sono meno di quelli che la
mente gli ha concesso di ricordare...”
Durante il corso
della presente recensione ci si è più volte posto il quesito se il titolo fosse
o meno appropriato e si è lasciato il dubbio che questo non lo fosse. Ciò non
per ammonimento ma per riconoscenza di merito di un professionista che ricorda
un pò il primo della classe, quello che dice di non aver studiato ma che poi
prende 10. La sostanza è tutta dentro e le prove sono tra le pagine, piene di
particolari che mai affaticano il lettore neanche quando parla di tribù e
avvicendamenti al potere di paesi del sud-Africa e del sud-America. Il
giornalista accetta la sfida di descrivere anche i nomi delle tribù locali.
Una scelta audace, che sicuramente rallenta la lettura ma che dimostra una
lealtà intellettuale che chiede e ottiene fiducia.
Insomma
un libro davvero ben fatto e che riempie di emozioni sin dalla premessa che lo
apre. Si legge tutto d’un fiato e fa giungere al termine con una maggiore
consapevolezza. La consapevolezza che l’essere umano è egoista, cattivo e
irrazionale come nessun altro, materializzandoli in morte, fame e miseria
generale. Magari fossero infedeli queste cronache.
Joannes Timurian
Flavio Fusi
Cronache Infedeli
Voland, Roma, 2017, pp. 288.
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