Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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31 dicembre 2015

In libreria

Paolo Nori
Manuale pratico di giornalismo disinformato
Marcos y Marcos, Milano, 2015, 208 pp.

Descrizione
Ermanno Baistrocchi non l’avrebbe mai detto che gli sarebbe successa una cosa del genere, ma sul tavolo della sua cucina, tre giorni fa, era steso un morto. Era un periodo difficile, perché erano successe altre due cose stranissime, la prima che aveva guadagnato troppo, la seconda che la donna con cui avrebbe voluto vivere aveva deciso che voleva vivere con lui. Era un periodo che non voleva, si svegliava e pensava “Non voglio”, e le cose che faceva non le faceva perché doveva farle, ma per non fare quello che avrebbe dovuto fare, e cioè scrivere il nuovo romanzo che il suo editore gli aveva chiesto di scrivere. Pur di non scrivere il nuovo romanzo, guardava su internet, ascoltava la musica, mangiava, si offendeva, perdeva le cose, accettava inviti a tutti i festival, andava in giro a fare corsi di giornalismo disinformato. Che Baistrocchi, proprio adesso che la gente smetteva di leggere i giornali, si occupava di giornalismo, ma di un giornalismo nuovo, che provava a diffondere: il giornalismo disinformato. Un giornalismo dove delle cose di cui si scriveva, non si sapeva niente e non si voleva saper niente; un giornalismo dove non si intervistava la gente che contava, ma la gente che non contava; dove non si scrivevano le cose che si possono scrivere, ma quelle che non si possono scrivere. E Baistrocchi, che ai suoi corsi di giornalismo disinformato consigliava di scrivere le cose che non si possono scrivere, e di non scrivere, per esempio, la cronaca nera, o rosa, adesso che c’era un morto, con un buco nel petto, sul tavolo della sua cucina, era costretto a scrivere un libro di cronaca nera, o rosa, o gialla, si potrebbe dire.
*link ad una Nota di Paolo Nori, autore del libro
*link ad una Rassegna stampa sul libro, pubblicata sul sito dell'editore.
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29 dicembre 2015

31 dicembre 2015, tempo di bilanci


31 dicembre tempo di bilanci: scadono i diritti d’autore del Mein Kampf. A settant’anni dalla morte del suo autore, Adolf Hitler, “la piccola bibbia del nazismo” crea una scissione profonda tra editori, storici e critici. 
Lo scadere dei diritti d’autore e di conseguenza la libera circolazione del testo è in realtà un finto problema, infatti, già da anni, in diversi paesi, Italia compresa, è possibile acquistare il libro. In Germania è stata preparata un’edizione critica del Mein Kampf e per Christian Hartmann, curatore, è giusto che venga pubblicato per cercare di distruggere il mito del nazismo.
Domenico Quirico in un articolo pubblicato il 23 dicembre 2015 sul settimanale Origami de La Stampa spiega che il Mein Kampf è un best seller in molti paesi. Il giornalista racconta un piccolo episodio che gli è capitato nel 2011 che invita a riflettere. Quirico si trovava per lavoro al Cairo quando, al centro della vetrina di una piccola libreria, vede esposta l’edizione araba del Mein Kampf; chieste spiegazioni al titolare del negozio, scopre che il libro è molto richiesto e venduto. Due anni dopo torna nella stessa libreria e vede che ancora continuano a vendere copie del libro, che è molto venduto non solo in Egitto, ma anche in paesi come l’Iran e la Turchia, dove nel 2005 ha venduto migliaia di copie. Viene naturale chiedersi che senso abbia vietare o discutere riguardo la possibilità di limitare le pubblicazioni del libro, quando è in circolazione da anni, in Europa come in altri paesi.
Due giorni fa l’annuncio dell’Ansa: «le copie saranno solo 4000, al prezzo non proprio economico di 59 euro, corredate da 3500 note preparate da un pool di illustri storici che serviranno a contestualizzare le tesi contenute nel volume».
31 dicembre 2015 tempo di bilanci non solo per la Germania, ma per tutti noi, soprattutto alla luce degli avvenimenti degli ultimi mesi. Non è questione di numeri: la diffusione e le reazioni che creerà una più libera circolazione del testo non dipende dal numero di copie o dal prezzo. Sarebbe auspicabile un intervento volto a demitizzare lo stile propagandistico del Mein Kampf, che se pur obsoleto per certi aspetti, potrebbe ancora affascinare ed attrarre. Parlare di più dei lager, di Hitler, della guerra, del razzismo e della discriminazione sarebbe una grande vittoria nei confronti del nazismo. La condanna più grande per un regime, di qualsiasi tipo, è la parola, se le persone trovano il coraggio di parlare, di raccontare, di ricordare e di tramandare ciò che è stato, indubbiamente si riuscirà a sconfiggere la falsa idea che esista una “guerra giusta”. C’è un minimo comun denominatore per tutti i conflitti ed è la paura. Allora, tra i buoni propositi per il nuovo anno dovrebbe esserci quello di provare a non dimenticare, perché spesso solo la storia passata può aiutarci a salvare il presente. Per difendersi è necessario conoscere e allora ben venga l’edizione critica del Mein Kampf, purché se ne parli.

Arianna Pronestì
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18 dicembre 2015

In libreria

 Giulia Maria Crespi
Il mio filo rosso. Il «Corriere» e altre storie della mia vita
Einaudi, Torino, 2015, 454 pp.

Descrizione
Questo è il racconto autobiografico di una protagonista del Novecento italiano. Giulia Maria Crespi appartiene a un'importante famiglia lombarda, di cui ha proseguito la tradizione filantropica e di impegno civile. Racconta qui le molte avventurose storie della sua vita. Centrali nel libro sono le vicende del "Corriere della Sera", di grande importanza per la storia del nostro Paese. Giulia Maria Crespi, che in modo crescente partecipa alla gestione del giornale, si adopera in una battaglia per l'ammodernamento del "Corriere", in consonanza con la parte più progressista dell'opinione pubblica. Una svolta coraggiosa ma irta di difficoltà, che nel 1974 la costringeranno a lasciare la gestione del giornale. Si occupa sempre più della Fondazione Crespi Morbio per Famiglie Numerose e di Italia Nostra. Nel 1975 assieme a Renato Bazzoni fonda il FAI (Fondo Ambiente Italiano) per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale. Da 40 anni lotta strenuamente per difendere l'agricoltura in Italia, in particolare quella organica.
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16 dicembre 2015

In libreria

C'era una volta la terza pagina.
Atti del Convegno (Napoli, 13-15 maggio 2013)
a cura di Daniela De Liso - Raffaele Giglio
Cesati, Firenze, 2015, 486 pp.

Descrizione
C’era una volta la terza pagina… ma quando nacque questa mitica e ormai decaduta terza pagina? La mitologia giornalistica ne assegna l’invenzione ad Alberto Bergamini, direttore del “Giornale d’Italia”: era l'11 dicembre 1901. Un avvio casuale: la terza pagina nacque per “fare colpo”, per costruire giornalisticamente un “grande avvenimento” quale la prima a Roma, al teatro Costanzi, della Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio con la compagnia della Duse. Quattro redattori per relazionare e descrivere una serata speciale: un grosso titolo disteso su tutte le colonne, un’intera pagina che, da quel giorno fece scuola e unì la materia letteraria, artistica e affine in una sola pagina, distinta, quasi avulsa da tutte le altre. Dapprima questo spazio fu incerto poi si affinò e affermò sempre più accogliendo rubriche letterarie, artistiche, mondane, scrittori affermati, corrispondenze internazionali che narravano bellezze e costumi di paesi lontani. Sulla terza pagine trovarono spazio scrittori come Tabucchi, Moravia, Ungaretti, Pasolini e molti altri ancora. Questo il dibattito del congresso napoletano del maggio 2013 che fa rivivere attraverso la storia e i personaggi che la fecero uno degli elementi del connotativi del giornalismo italiano.
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15 dicembre 2015

In libreria

Egisto Corradi
Africa a cronometro
Corbaccio, Milano, 2015, 303 pp.

Descrizione
"Guardo le ruote e penso ai milioni e milioni di giri fatti, e ripenso all'Africa, a sedicimila chilometri di piste e strade d'Africa. Cinquanta giorni d'Africa, cronometro alla mano notte e giorno tutta l'Africa da nord a sud, Africa a cronometro." Così Egisto Corradi conclude il reportage del primo Rallye Algeri - Città del Capo, a cui partecipò nella duplice veste di giornalista e corridore. Un reportage, un libro di viaggio appassionante che prende spunto da una corsa automobilistica senza precedenti: fra il 26 dicembre 1950 e il 23 febbraio 1951 trentacinque equipaggi di sette paesi percorsero più di quindicimila chilometri di strade e piste attraversando l'Africa da nord a sud. Un'impresa impossibile, oggi, in un continente devastato da conflitti e guerre civili... Lo spirito di questa competizione, a cinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale, non è unicamente sportivo: si tratta in qualche modo di prendere le misure di un'Africa sulla via della decolonizzazione da parte dei paesi della "Vecchia Europa" alla soglia del boom economico. Incidentalmente, gli equipaggi italiani ottengono anche piazzamenti eccellenti. E l'automezzo della Lancia, "Croce del Sud", su cui viaggia Corradi, arriva secondo nella sua categoria. È un successo dell'industria automobilistica italiana, che il giornalista del Corriere della Sera non manca di sottolineare, anche se il suo interesse è rivolto ai paesaggi e alle genti di un'Africa ancora vergine e misteriosa.
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14 dicembre 2015

Eserciti di carta: l'anomalia italiana

Il volume Eserciti di carta è, a mio parere, un lavoro esaustivo ed equilibrato, qualità, quest’ultima, assai difficilmente praticabile quando si entra nel merito di tematiche divisive quanto quelle delle quali si occupano gli autori di questo saggio.
Eserciti di carta tratta, infatti, uno degli argomenti più dibattuti - e più propensi a scaldare gli animi - emersi negli ultimi vent’anni di storia italiana: l’anomalia del panorama giornalistico-mediatico italiano dopo l’entrata in politica di Silvio Berlusconi.
Informazione e politica in Italia sono sempre state molto vicine (tesate apertamente militanti, lottizzazione della televisione pubblica, sovraesposizione di leader ed esponenti politici e via discorrendo sono fenomeni ben noti), ma non per questo, secondo gli autori, l’Italia ha costituito un’anomalia. Non esistono, in alcuna parte del mondo, mezzi d’informazione che non subiscano pressioni da parte di editori, poteri economici o altri gruppi di pressione. Prima della “discesa in campo” in Italia questa tendenza era soltanto più accentuata che nel resto dei paesi democratici.
L’entrata in politica di Silvio Berlusconi è un momento cruciale per il mondo della stampa e dei media nel nostro Paese, da allora le cose cambiano radicalmente e si può parlare di “anomalia italiana”.
L’anomalia, anzi, è duplice.
In primo luogo vi è un caso di conflitto di interessi macroscopico: il proprietario del più importante network televisivo commerciale (e nei fatti l’unico concorrente del servizio pubblico) è anche il leader di una delle due coalizioni che periodicamente si contendono il governo del paese. Inutile precisare che la gravità del conflitto di interessi è centuplicata quando la coalizione guidata da Berlusconi vince le elezioni ed egli assume il ruolo di Presidente del Consiglio. In tale posizione, infatti, Berlusconi si trova a poter disporre, in pratica, di cinque tra le sei reti televisive che costituiscono il duopolio italiano.
Benché questo aspetto dell’”anomalia italiana” sia analizzato con dovizia di particolari nel volume, Lloyd e Giugliano si concentrano però su un’altra caratteristica che contraddistingue il mondo dell’informazione del nostro Paese fin dalla discesa in campo: la divisione del mondo della stampa in due “eserciti”, come appunto recita il titolo, l’uno filoberlusconiano, l’altro a lui avverso.
Una certa dose di conflittualità politica all’interno del mondo della stampa in Italia è sempre esistita ed è stata anche forte: prendendo in esame il periodo a cui il libro fa brevi cenni nei primi capitoli tracciando un quadro storico, dal dopoguerra alla fine della Prima Repubblica gli esempi sono molteplici (i molti giornali di partito, la contrapposizione durante gli anni più duri della guerra fredda, i giornali militanti anche se non prettamente di partito come Repubblica e “Il Giornale” etc.); dal 1994, però, assistiamo ad una vera e propria ripartizione in due schieramenti. Questi due “eserciti” hanno come oggetto di contesa non un’ideologia o un programma, bensì una singola persona.
Ma come può un solo uomo attirare tanta venerazione e tanta avversione? Le ragioni sono molte.
Sicuramente molto ha contato il fatto che Berlusconi sia il proprietario di Mediaset, Mondadori e abbia influenza su più di un quotidiano, quindi il conflitto di interessi di cui si parlava in precedenza, palese affronto al pluralismo che dovrebbe essere pilastro di ogni democrazia. Come se non bastasse, anche il personaggio Berlusconi porta con sé più di un tratto della personalità e della biografia capaci di suscitare ammirazione ed indignazione.
Per quanto riguarda i suoi estimatori, essi sottolineano che il Cavaliere (oramai ex ma questo esula dal libro in oggetto!) è un self made man, un imprenditore, un uomo del fare, che ha portato la modernità della tv commerciale, non legato alla vecchia politica screditata (quest’ultima caratteristica - per altro non del tutto veritiera - ha fatto molto presa nei primi anni del suo percorso politico, iniziato quando ancora erano fumanti le macerie del sistema partitico della Prima Repubblica). L’elenco potrebbe continuare a lungo.
I suoi detrattori pongono l’accento sui molti punti oscuri della sua biografia (presunti rapporti con la mafia, molti guai giudiziari, contiguità al PSI di Craxi, appartenenza alla P2) e indignano non poco molte sue uscite alquanto infelici (Mussolini che mandava la gente “in vacanza”, l’europarlamentare Schultz paragonato ad un kapò nazista, gli attacchi contro istituzioni come la Magistratura e la Corte Costituzionale). Anche in questo caso, gli esempi si sprecano.
Questo panorama caratterizzato da un’altissima conflittualità conosce un’ulteriore radicalizzazione dello scontro a partire dal 2009.
Il 2009 è l’anno dei primi scandali sessuali che investono Berlusconi, allora Presidente del Consiglio (Noemi Letizia, le ragazze di Tarantini). I giornali dello schieramento antiberlusconiano (in particolare “Repubblica”) chiedono spiegazioni in merito a queste vicende, i giornali vicini al premier (“Il Giornale” in prima fila) creano nuovi scandali per infangare chi critica la sua disinvolta condotta sessuale. E’ un copione che si ripeterà negli anni successivi: il primo a pagare le critiche a Berlusconi è il direttore dell’”Avvenire” Boffo, poi tocca all’ex alleato Fini, al magistrato Ilda Boccassini, al leader di Sel Nichi Vendola.
Questa fase dello scontro segna anche un’altra novità quasi assoluta nel giornalismo italiano: la vita privata degli esponenti politici entra di prepotenza a far parte della battaglia politica (e di opinioni).
Riassunta a grandi linee la parabola del  giornalismo italiano durante l’era berlusconiana, merita ancora una volta sottolineare che il libro di Lloyd e Giugliano tratta questi argomenti altamente passibili di partigianeria con un equilibrio ammirabile!
A ciò si aggiungono un linguaggio scorrevole, ricchezza di fonti molto diverse ed interessanti - tra cui molte interviste condotte dagli autori a svariati esponenti del giornalismo italiano - e una trattazione esaustiva che non lascia nessun aspetto della tematica presa in esame poco approfondito o appena sorvolato.
Eserciti di carta” è un libro di 300 pagine denso ma leggibilissimo, che riesce a dare una panoramica d’insieme da una prospettiva non pregiudiziale di una lunga stagione che sicuramente ha mutato a fondo il giornalismo e più in generale il sistema dei media e il campo dell’opinione pubblica in italia.
Sara Piccardo



Ferdinando Giugliano - John Lloyd
Eserciti di carta. Come si fa informazione in Italia 
Feltrinelli Editore, Milano, 2013, 283 pp.

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11 dicembre 2015

Incontro tra Oriente e Occidente attraverso la TV

 Il progetto di Media Oriente

Leggendo il testo di Donatella Della Ratta, Media Oriente, ho notato da subito l'impostazione originale che lo contraddistingue, il fatto cioè che tratti il tema della TV araba e il suo rapporto con l'omogeneizzazione usando proprio una tecnica televisiva: parte da un campo largo che si restringerà in seguito.
Nel primo capitolo, "Il nuovo Medio Oriente", l'obiettivo dell'autrice viene puntato sul gap culturale tra Oriente e Occidente, una distanza esistente sin dalle origini. L'Oriente viene visto dagli occidentali come luogo dell'irrazionale, della magia e dell'esotico, e dal punto di vista politico poi la differenza è ancora più accentuata. Il concetto di democrazia come lo intendiamo noi è considerato dagli arabi come puramente occidentale, in un sistema in cui non è presente una netta divisione tra religione e stato, a favore della Umma, la comunità allargata di tutti i fedeli musulmani. Tuttavia, come sottolinea Della Ratta, questo rapporto di contrapposizione tra Oriente e Occidente andrà ripensato alla luce della globalizzazione, della possibilità di un messaggio condiviso trasmesso attraverso audience transnazionali.
Nei capitoli centrali del libro, l'obiettivo si dirige verso la TV araba nello specifico, e l'autrice analizza in maniera molto dettagliata e ricca di particolari la storia della nascita dei principali broadcast arabi, soffermandosi in particolare sul concetto di transanzionalità, che caratterizza la TV araba sin dalle origini, per costruire la possibilità di dirigersi verso un target differenziato. Trova poi spazio anche l'esperienza dell'italiana Radio Bari, che negli anni Trenta è stata di fondamentale importanza, scegliendo di programmare notizie e intrattenimento in arabo.
Personalmente, devo dire di aver apprezzato particolarmente gli ultimi due capitoli del saggio, in cui l'autrice dapprima sviluppa un approfondimento di un genere che si rivelerà vincente nella TV araba, il feuilleton, la narrativa seriale, nata da una tradizione da sempre presente nella cultura araba e fondamentale durante il Ramadan, quando la famiglia tipo passa la maggior parte del tempo in casa.
Ma, soprattutto, ho ritrovato la svolta più innovativa del testo nella parte conclusiva, "Tra l'Europa e l'Islam, il Mediterraneo"; qui l'autrice riprende la grande premessa dell'inizio, la profonda distanza tra Oriente e Occidente da sempre esistente, ipotizzando un punto di incontro tra le due culture proprio attraverso la televisione, con la creazione di una rete comune, Euromed.
Il Mediterraneo si sviluppa attorno a due grandi civiltà, l'ellenismo e l'arabismo, ora simboli di Oriente e Occidente, di due culture che sembrano attualmente divise in maniera irreparabile. Servirebbe un avvicinamento tra queste, e non andrebbero considerate antitetiche; secondo l'autrice, un dialogo tra le due sarebbe possibile se si abbandonassero i luoghi comuni e i pregiudizi.
Il progetto Euromed TV, a livello puramente intenzionale, vorrebbe trovare un punto di incontro tra le culture del bacino mediterraneo, e dovrebbe avere caratteristiche di canale multiculturale e multilingue.
Ma rispetto alla creazione di una TV comune, si presentano una serie di problematiche, riguardanti ad esempio la coproduzione dei generi, per cui sarebbe preferibile la fiction o il teatro rispetto alle news, che pongono il problema della censura in molti Paesi.
Indubbiamente il progetto è di non facile attuazione, e un avvicinamento culturale tra Oriente e Occidente sembra quantomai complicato, ma ho trovato molto significativo che l'autrice abbia rintracciato un possibile canale di sintesi proprio nella TV, il mezzo oggi più rappresentativo per la comunicazione e la condivisione. 
Chiara Brizzolara

Donatella Della Ratta 
Media Oriente: modelli, strategie, tecnologie nelle nuove televisioni arabe.
Seam, 2000, 352 pp.
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10 dicembre 2015

In libreria



Pejman Abdolmohammadi - Giampiero Cama
L'Iran contemporaneo. 

Le sfide interne e internazionali di un paese strategico
Mondadori Università, Milano, 2015, 296 pp.

Descrizione
L'Iran è un paese chiave. La sua posizione, il suo rango e il suo retaggio culturale fanno sì che esso eserciti una notevole influenza sulla stabilità o meno del mondo e dell'area medio-orientale. Paese dall'identità complessa e talora contraddittoria (tra oriente e occidente, tra modernità e tradizione), esso ha esercitato questa funzione in modo ambivalente nel corso della storia. La sua politica estera, infatti, è stata per molti anni anche un riflesso dei cambiamenti avvenuti al suo interno. Attualmente, l'Iran è retto da una Repubblica islamica, un curioso esemplare di "regime ibrido". Le sue dinamiche, tra l'altro, hanno spesso anticipato importantissimi e più ampi sviluppi a livello globale. Così come, ad esempio, la rivoluzione khomeinista del 1979 ha dato il via alla diffusione dell'islamismo politico, l'onda verde del 2009 ha preceduto le "primavere arabe" di due anni dopo. Questo volume intende fornire ai lettori un agile, ma approfondito, strumento di analisi per facilitare la comprensione di questa nazione, enigmatica e non facilmente decifrabile, ma tra le più decisive per il nostro futuro. Con Prefazione di Lucio Caracciolo.

08 dicembre 2015

Al Jazeera: l’opinione e l’opinione contraria

Donatella Della Ratta, autrice del libro, si occupa di ricerca sui media arabi per enti nazionali e internazionali. Vincitrice del Premio Ilaria Alpi 2000 come migliore autrice televisiva under 30, nel 2005 scrive “Al Jazeera: media e società arabe nel nuovo millennio”, testo che fornisce una panoramica dettagliata sull’evoluzione dei media nella società araba, focalizzando l’attenzione su Al Jazeera, prima rete televisiva all news araba.
Il libro è diviso in quattro capitoli, il primo affronta i media arabi prima e dopo la Guerra del Golfo e i rimanenti tre concentrano l’attenzione su Al Jazeera, descrivendone l’ascesa E le problematiche che ha dovuto affrontare e le conseguenze subite dopo la tragedia dell’11 settembre.
L’autrice descrive in modo dettagliato e cronologico  il processo evolutivo dei media arabi spaccando la loro storia in due fasi: prima e dopo la Guerra del Golfo. La principale differenza che emerge è la contrapposizione tra il regime di oligopolio televisivo precedente la guerra e la proliferazione di network nati alla fine di questa.
Un testo che offre molti spunti di riflessione su una società che ha tradizioni lontane dalle nostre anche dal punto di vista mediatico. La cultura araba infatti è ben ancorata ai valori e alle usanze della propria tradizione e ciò si riflette anche nei media che, in un primo momento, non riescono a spiccare il volo perché rifiutano l’intrusione dell’occidente e in particolare della CNN, network americano di informazione.
Interessante è l’approfondimento che Donatella Della Ratta rivolge a ogni aspetto affrontato. Non mancano le descrizioni delle televisioni periferiche, che nascono dopo la prima guerra del Golfo, e l’attenzione che essa pone nel tracciare i cambiamenti, non solo politici ed economici ma anche sociali, avvenuti dopo il conflitto. Da sottolineare che l’entrata nei palinsesti televisivi delle reti satellitari ha convinto i governi che non si poteva più nascondere ciò che stava accadendo, le autorità erano ormai davanti a una scelta: vietare la trasmissione dei nuovi programmi, che comunque arrivavano nelle case anche clandestinamente, o accettarne la nascita. Dopo una prima esitazione tutti gli stati acconsentono all’entrata dei nuovi programmi, sebbene riadattandoli al contesto arabo. In questo clima nel 1996 lo stato del Qatar lancia Al Jazeera che diventerà la prima rete televisiva all news araba.
L’analisi dell’autrice non riguarda lo schieramento politico della rete ma la sua struttura e la sua storia. Al Jazeera è accusata fin dalle origini sia dall’Occidente, di essere portavoce di Bin Laden, e sia dal versante arabo, di essere filoamericana. L’autrice vuole descrivere gli aspetti economici, linguistici e il palinsesto del network contestualizzandoli nel panorama arabo e sottolineando che si tratta di un’impresa televisiva, non di un partito politico e né di un’organizzazione religiosa. Al Jazeera è una voce fuori dal coro, non appoggia nessun partito politico e si basa sul principio de “l’opinione e l’opinione contraria”.
La tesi finale del libro pone la domanda se i media possano contribuire alla nascita della democrazia o accelerare un processo di apertura di una società priva di basi democratiche. Conclude affermando che servirebbero mille Al Jazeera congiuntamente a una presa di coscienza politica per riuscire a creare una società aperta. E questa è anche la mia opinione: i media hanno favorito la creazione di un sentimento popolare comune di apertura verso l’occidente, tale sentimento deve essere appoggiato dagli organi politici per far sì che non rimanga fine a sé stesso ma possa concretizzarsi con un’evoluzione delle istituzioni politiche.
Arianna Tripodi

Donatella Della Ratta
Al Jazeera: media e società arabe nel nuovo millennio
Bruno Mondadori Editori, Milano, 2005, pp. 263.
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07 dicembre 2015

In libreria

Giorgio Salvetti
Uno sguardo limpido sull'inizio secolo. 15 anni a il manifesto
Nota introduttiva del curatore e Prefazione di Luca Fazio
Guerini e Associati, Milano, 2015, pp. 478.

Descrizione
Il libro raccoglie gli articoli più significativi che Giorgio Salvetti ha pubblicato su il manifesto tra l'agosto del 2000 e il 27 agosto del 2014, quando, il giorno dopo il suo quarantaduesimo compleanno, ha deciso di lasciarci. I maggiori temi sociali e civili di quegli anni vi vengono letti dalla parte degli "ultimi", sul filo tra partecipazione e ironia, con una voce incapace di enfasi e di sensazionalità. La raccolta è suddivisa in aree tematiche, che riguardano veri e radicati interessi: la battaglia ecologica, il mondo del lavoro, le voci inascoltate degli emarginati, la condizione giovanile, la musica "alternativa". Il contesto umano e politico degli scritti è poi illuminato da commenti e testimonianze. Ne esce un quadro articolato, in cui i problemi del mondo - riflessi per lo più nella realtà milanese - valgono almeno quanto lo sguardo limpido di chi li interroga e li soffre.

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05 dicembre 2015

In libreria

Uliano Lucas e Tatiana Agliani
La realtà e lo sguardo. Storia del fotogiornalismo in Italia
Einaudi, Torino, 2015, pp. 680.

Descrizione
Se nell’Ottocento la nascita della fotografia ha rappresentato il coronamento di un passaggio secolare dalla trascendenza all’immanenza, l’espressione di una cultura illuminista che ha affermato la centralità della vita vissuta degli individui fino a farne il perno della sua rappresentazione, ora sembra si stia assistendo a un processo opposto di rilettura creativa della realtà, con fotografie di reportage che rimettono in scena il reale optando per una fotografia «allestita», «studiata». È l’elemento imprevisto e inafferrabile della realtà che sembra far paura, è l’uso della fotografia come strumento di confronto e scoperta del mondo e degli altri che sembra stemperarsi. Forse per questo si guarda con sempre maggior scandalo a quella fotografia che si avvicina troppo al soggetto, che mostra l’evidenza del dolore, la nuda cronaca che racconta nude vite.
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