Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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31 maggio 2017

In libreria


Fabio Martini
La fabbrica delle verità.
L'Italia immaginaria della propaganda da Mussolini a Grillo
Marsilio, Venezia, 2017 pp. 208.
Descrizione
Da sempre per la politica sfruttare i media a proprio vantaggio è una tentazione irresistibile. Se Mussolini è stato tra i primi a ricercare il consenso attuando una persuasione sistematica, a seguirne le orme sono stati in molti. Fabio Martini ricostruisce in questo libro la storia della propaganda mirata a conquistare l’immaginario degli italiani e diffusa attraverso i film, i cinegiornali, la televisione, la pubblicità, il web. Nel farlo, mette in luce metodi ed espedienti delle diverse epoche. Il fascismo non si è accontentato di spegnere la libertà, ma, inviando le «veline» ai giornali, ha accreditato un’immagine pacificata dell’Italia, in cui, scomparsi i fatti di sangue, le porte di casa potevano restare aperte. I notabili della Democrazia cristiana, censurando film e narcotizzando la programmazione della prima Rai, hanno soffocato racconti della realtà «troppo realistici» e quindi scomodi. Nella Seconda Repubblica i politici hanno invaso la tv come in nessun altro paese europeo, ma la proliferazione dei talk show ha finito col produrre nei cittadini una sorta di rigetto nei confronti della politica. Infine, il Movimento Cinque Stelle ha intuito prima di altri la pervasività della Rete e, cavalcando sui social rabbia e pregiudizi, ha raggiunto una platea molto più ampia dei partiti tradizionali. Una trama, quella che emerge dal racconto di Martini, fitta di segreti, perché la propaganda più efficace agisce in modo occulto e parla all’inconscio.
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30 maggio 2017

In libreria

Sayed Kashua
Ultimi dispacci di vita palestinese in Israele
Neri Pozza, Milano, 2017, pp. 320.

Descrizione
Qualche tempo fa Ha’aretz, il quotidiano progressista israeliano, ha affidato una rubrica a Sayed Kashua, l’autore di Due in uno e di Arabi danzanti, lasciandogli piena libertà nella scelta dei temi trattati. Grazie a un irresistibile connubio tra gli aspetti più intimi e personali della vita dell’autore e la situazione storica e politica di Israele, la rubrica è diventata in breve un appuntamento imperdibile per i lettori di Ha’aretz. Kashua ne ha raccolto in volume gli scritti più significativi, creando una delle sue opere piú riuscite. Il libro è la fotografia tenera, caotica e personalissima della vita di uno scrittore eccentrico: un palestinese nato e cresciuto in Israele, un arabo che scrive in ebraico, un Charles Bukowsky in versione mediorientale, che non esita, in pagine di incontenibile umorismo, a svelare i segreti della sua stessa esistenza privata, innanzi tutto l’intenso e agitato rapporto con una moglie che lo ritiene un bugiardo incallito inguaribilmente attaccato alla bottiglia. È ad un tempo anche il ritratto dolente di un paese in cui è arduo attenersi alla tolleranza e al rispetto degli altri in anni in cui un conflitto sanguinoso, che pare non poter avere mai fine, trascina inevitabilmente con sé la minacciosa ombra del razzismo. Esilaranti, dotati di una profondità di pensiero non comune, i dispacci passano al setaccio dell’ironia e dell’irriverenza qualsiasi costume o atteggiamento che pretenda di tagliare i ponti con l’Altro, fossero anche i costumi e gli atteggiamenti della propria parte, la società araba confinata nello Stato d’Israele. L’intento, tuttavia, che anima la loro ironia e irriverenza è narrare una storia collettiva a cui palestinesi e israeliani possano guardare assieme e nella quale entrambi i popoli possano coesistere. Un intento che si esprime meravigliosamente nella lingua che li alimenta, ma non nella drammatica realtà politica di Israele che, dopo la feroce uccisione di un ragazzo palestinese, e dopo l’approvazione della legge che definisce Israele «Stato della Nazione ebraica», ha spinto Kashua a mettere in salvo la propria famiglia negli Stati Uniti, lontano «dall’odore del sangue e della polvere da sparo».


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29 maggio 2017

In libreria



Domenico Quirico
Ombre dal fondo
Neri Pozza, Milano, 2017, pp. 160 (con un film di Paola Piacenza*)
Descrizione
«Il giornalismo è diventato, tragico paradosso, il contrario di quello che vorrei: serve a distogliere il vostro sguardo». Cosí scrive, nelle pagine di questo libro, Domenico Quirico. Confessione intima, condotta attraverso una scrittura impeccabile e le emozionanti immagini del film di Paola Piacenza che accompagna il testo, e da cui è scaturita questa pubblicazione, Ombre dal fondo è la storia di un reporter che ci invita costantemente a non distogliere lo sguardo. Dal fronte russo-ucraino ai luoghi della sua prigionia in Siria, «dove tutto è cominciato e tutto è finito », Quirico ci conduce nel cuore di tenebra della nostra epoca, dove impera, ineliminabile, smisurato, l’orrore della guerra. Un orrore che, attraverso le sue numerose apparizioni e figure, non lascia integro chi lo narra, poiché si insinua come una crepa in chi ha visto in faccia il Male. Tuttavia, è proprio questa crepa che permette di scrivere con autenticità, e di ricondurre il giornalismo a quella che dovrebbe sempre essere la sua piú profonda natura: la narrazione quotidiana della «condizione umana».
*Paola Piacenza: Reporter e filmmaker, nello staff del settimanale del Corriere della Sera, Io donna, scrive di cinema, cultura ed esteri. È autrice di documentari che hanno esplorato il tema della frontiera, The Land of Jerry Cans (2009), girato al confine tra Iran e Iraq, In nessuna lingua del mondo (2011), tra Baltico e Balcani e In uno stato libero (2012) nel sud della Tunisia, lungo la frontiera libica. Collabora con RaiRadio3, alla trasmissione Piazza Verdi.
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26 maggio 2017

In libreria

Paolo Pagliaro
Punto. Fermiamo il declino dell'informazione
Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 128.
Descrizione
L’epidemia che ha investito l’intero sistema dei media sembra inarrestabile, ma invece può essere arginata e persino sconfitta. Colonizzato dai social network, il terreno dell’informazione è minato da «post-verità». Contano più le emozioni che i fatti. Più le suggestioni che i pensieri. Più lo storytelling che le storie. Più la propaganda che le notizie. E dunque più le bugie che il racconto veritiero dei fatti. È un virus che infetta la rete, l’informazione, la politica - ridotta a comunicazione - e l’etica pubblica. Ma arginare e sconfiggere questa deriva si può. Paolo Pagliaro, giornalista, è stato redattore capo de «La Repubblica» e vicedirettore de «L’Espresso». Ha diretto «L’Adige» e altre testate quotidiane locali. Nel 1996 ha fondato l’agenzia giornalistica «9colonne», di cui è direttore. È coautore, dal 2008, con Lilli Gruber della trasmissione «Otto e mezzo» per la quale cura l’editoriale «Il punto di Paolo Pagliaro».
Indice del libro
Premessa / I. «Lo dice la rete» / II. Uno vale uno? Falso / III. Post-verità, non solo sul web / IV. Un gioco e una tragedia  / V. La manomissione delle parole / VI. «Il giornalista sei tu» / VII. Narciso al potere / VIII. L'economia dell'attenzione / IX. Un facile bersaglio / X. Bufale americane / XI. L'informazione come fiction / XII. Il rischio overdose / XIII. Che fare? / Nota bibliografica
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25 maggio 2017

In libreria

Sergio Splendore
Giornalismo ibrido.
Come cambia la cultura giornalistica italiana
Carocci, Roma, 2017, 144 pp.
Descrizione
Il cambiamento dell’ecologia dei media, cioè degli strumenti di comunicazione che tutti noi abbiamo a disposizione per produrre e ricevere informazioni, comporta la trasformazione non solo della tecnologia, ma anche dei processi e dei modi in cui le news sono raccolte, filtrate e distribuite, delle logiche professionali attraverso cui i giornalisti operano e delle retoriche che utilizzano per legittimare le loro scelte. La professione giornalistica muta a un ritmo che prima le era sconosciuto e l’identità professionale diventa più incerta. Il libro offre una visione articolata e complessa della professione giornalistica nell’Italia contemporanea, esplorando le conseguenze dell’aumento dei canali attraverso cui si distribuisce l’informazione, della possibilità di archiviare e gestire un flusso di dati sempre maggiore e del dialogo sempre aperto con i lettori. Fintanto
che le forme più innovative di produzione di informazione erano relegate ai margini, il modo di fare giornalismo risultava pressoché immutato. Nel momento in cui in Italia si è imposta una commistione tra pratiche innovative e tradizionali, sono cambiati anche il campo giornalistico e il peso delle sue principali determinanti: l’economia e la politica


Indice
Ringraziamenti
Introduzione
Sul giornalismo e i giornalisti, ovvero come si costruisce ciò che è importante sapere. Il giornalismo e le sue trasformazioni. Perché studiare i giornalisti. Il giornalismo e la costruzione della realtà. Il campo giornalistico e i suoi confini
1. Il cambiamento come normalità
La ricerca sul giornalismo che si trasforma / Il giornalismo digitale: dove sono i taccuini? / Le voci dei lettori / Il data turn: forme di giornalismo orientate ai numeri / Innovazione e confini del campo in Italia
2. Giornalismo italiano e ibridazione dei suoi confini
Le percezioni del cambiamento / Professione giornalistica e boundary-work / La centralità (e l’ambivalenza) di Google / Processo, tecnologia e prodotto: lì dove tutto cambia (e si normalizza) / Professionalità e notizia
3. Percezione del ruolo, ideologie e valori professionali
Oltre il modello normativo / Valori professionali, percezione del ruolo e stili di produzione / Lo spazio valoriale del giornalismo italiano / It was next (l’unicorno esiste) / L’ibridazione riflessiva come momento di transizione
4. Di che materia è fatto il mondo? Le fonti di notizia
Come (di)mostrare quello che accade / Chi ha diritto d’accesso ai media / L’uso delle fonti e la ricostruzione di una presunta realtà / La cornice delle fonti: istituzionali vs alternative / I fattori epistemici e la questione della post-verità
Conclusioni.
I confini ridefiniti della professione giornalistica italiana. Gli orientamenti professionali cambiano, le fonti restano. Ibridazione e cultura giornalistica italiana. Giornalismo e società
Appendice metodologica
Bibliografia
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24 maggio 2017

In libreria

Così va il mondo. Conversazioni su giornalismo, potere e libertà
di Gianni Minà con Giuseppe De Marzo
Edizioni Gruppo Abele, 2017, pp. 240.

Descrizione
Oltre cinquant’anni di giornalismo con un’attenzione particolare ai diritti dei più deboli e a chi si ribella alle ingiustizie. In Italia, negli Stati Uniti, in America latina, ovunque. Nel mondo della politica, della cultura, dello sport, della musica, della televisione, della carta stampata, del cinema… In questo libro-intervista Gianni Minà racconta alcuni dei passaggi più interessanti di questo percorso, da lui vissuti. E si succedono personaggi e situazioni che hanno segnato un’epoca: Fidel Castro e il subcomandante Marcos; Muhammad Ali, il più grande di tutti; Obama e Chávez; Chico Buarque de Hollanda e Vinicius de Moraes; le madri di Plaza de Mayo e papa Francesco; la “strategia della tensione”, le stragi irrisolte e i tanti misteri italiani, come l’eccidio in Africa di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i terremoti, i giornalisti veri, i giornalisti di regime e molto altro ancora.

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23 maggio 2017

Inviati di guerra tra Caporetto e Baghdad



In un primo momento viene automatico chiedersi cosa leghi Caporetto a Baghdad. Eppure, riflettendo con un po’ più di attenzione, si comincia a cogliere il significato di quanto lo scrittore, Lorenzo Cremonesi, tenti di spiegare attraverso questo titolo. L’autore lo dice sin dall’introduzione: “Tracciare legami con il passato aiuta a comprendere il presente”, in particolar modo se questo presente si riferisce alle guerre che stanno devastando il nostro mondo. In effetti, confrontarsi con i conflitti e le problematiche della Grande Guerra non può che aiutare a leggere gli eventi in maniera ben più chiara, soprattutto perché la maggior parte di queste problematiche sono le stesse che erano presenti nel secolo scorso: le rivoluzioni tecniche di combattimento del passato, ad esempio, si avvicinano notevolmente alle rivoluzioni delle tecniche di comunicazione contemporanee.
Il libro raccoglie 92 dei cento articoli pubblicati su Sette, il settimanale del Corriere della Sera, tra la primavera del 2014 e l’autunno del 2016; in tutti i contesti geografici in cui gli articoli sono stati scritti (da Sarajevo a Istanbul), Cremonesi spiega quanto sia stato facile cogliere dei nessi con il primo conflitto mondiale e quanto quest’ultimo abbia segnato profondamente la storia del Novecento: la Grande Guerra, infatti, ha da subito inciso in maniera decisiva sulle vicende del Medio Oriente. Qui sono racchiuse le vicende, le cronache e le riflessioni sugli eventi bellici avvenuti tra il 1914 e il 1918, nonché le visite ai vecchi campi di battaglia in Francia, Belgio, Germania, sulle Alpi: tutti luoghi in cui si percepisce ancora oggi la presenza di quel devastante conflitto; luoghi in cui sono presenti i cimiteri che, con le loro croci, testimoniano la quantità di caduti sotto le armi; luoghi in cui sono ancora visibili i segni di una guerra ormai conclusa da un secolo: uno di questi è proprio Caporetto, il cui nome rimanda a quell’episodio tragico e fin troppo doloroso per i militi italiani. Ricordando queste battaglie, vi sono rimandi continui al mondo arabo e a Israele, ai conflitti siriani, afghani, iracheni, libici e al Califfato in generale. Non c’è da stupirsi che Cremonesi sia tanto affascinato dal parallelismo tra storia e attualità: del resto, lui stesso ha seguito i conflitti mediorientali in diretta, a partire dagli anni Ottanta, proprio come corrispondente per il Corriere della sera. Mette in evidenza il fatto che, ancora oggi, siano fortemente rilevanti in Medio Oriente i confini tracciati in seguito alla Grande Guerra, durante le conferenze di pace di Parigi del 1919. Effettua anche un’altra considerazione, ben più profonda: oggi il nostro mondo è dominato dalla dimensione della guerra civile e della guerriglia. Certo, si tratta di dinamiche che erano già presenti all’epoca della Prima guerra mondiale, eppure allora queste azioni venivano effettuate da eserciti armati, mentre oggi gli artefici sono organizzazioni paramilitari o estremisti disposti a utilizzare le armi del terrorismo in tutta la loro crudeltà. C’è anche da sottolineare il fatto che, come racconta Carlo Emilio Gadda, gli austriaci trattavano con occhio di riguardo gli ufficiali italiani catturati, così come i membri della Croce Rossa avevano la possibilità di operare liberamente in tutto il territorio di guerra, ma oggi la situazione è del tutto differente: se un ufficiale della Croce Rossa riuscisse a raggiungere le regioni controllate dall’Isis, verrebbe senza dubbio decapitato. Insomma, ci troviamo di fronte a una regressione, alla brutalizzazione dello scontro fra gli uomini, a un vero e proprio ritorno al Medioevo con le decapitazioni, le torture, le invasioni, l’eterna e sempre più crudele sfida tra potenze islamiche e potenze cristiane, il disprezzo per le vittime, le donne ridotte a schiave sessuali, la violazione dei civili. Una reale disumanizzazione dell’umanità. 
Cremonesi tenta, attraverso il suo volume, di portare il lettore a effettuare una riflessione sulla guerra, sulle sue dinamiche e le sue conseguenze. E’ davvero importante conoscere la storia del Novecento, soprattutto la parte riguardante la Grande Guerra, con il suo causus belli (l’assassinio dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia), gli episodi interni ad essa (la rivoluzione d’ottobre e l’entrata in guerra degli Stati Uniti) e le sue conseguenze (il crollo degli Imperi e la spartizione del Medio Oriente fra le potenze vincitrici). E’ importante perché aiuta a comprendere le ragioni, almeno in parte, dei conflitti odierni. D’altronde, nonostante il nostro desiderio di fuggire da questo scenario, ne siamo tutti inevitabilmente circondati, se non direttamente coinvolti.
Giulia Dodaro

Lorenzo Cremonesi
Da Caporetto a Baghdad
La Grande Guerra raccontata da un inviato nei conflitti di oggi
Rizzoli, Milano, 2017, pp. 307.

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22 maggio 2017

Quando Oriana Fallaci intervistava la Storia

Intervista con la Storia di Oriana Fallaci è una raccolta di 28 interviste (delle quali due rivolte al politico socialista portoghese Mario Solares), edite per la prima volta nel 1974 da Rizzoli; a partire dall’edizione del 1977, la stessa autrice scelse di integrare ciascuna intervista con una breve presentazione del personaggio preso in esame, il tutto correlato con alcuni accenni alla contestualizzazione storico-sociale entro cui essi si sono trovati a vivere e ad operare e con numerosi riferimenti alle loro caratteristiche di uomini e donne prima che di politici.
I destinatari delle domande della giornalista in questo frangente furono i principali “attori” della scena mondiale degli anni ‘60-‘70: le interviste loro rivolte non sono ordinate secondo una cronologia precisa, ma, piuttosto, sulla base di “nuclei tematici” (quali, ad esempio, la Guerra del Vietnam, la situazione del Medio Oriente e le tensioni politico-sociali vissute dai paesi dell’Europa meridionale a seguito della caduta dei regimi), all’interno dei quali i vari protagonisti sono presentati come strettamente interrelati tra loro.
E così, uno per uno, ella ci descrive 27 tra i più celebri e importanti individui che abbiano calcato la scena mondiale del XX secolo, dipingendo per ciascuno un quadro (umano prima ancora che politico) praticamente perfetto e presentandoli in tutte le loro sfaccettature psicologiche. In questo frangente, possiamo citare come particolarmente coinvolgenti le interviste rivolte, rispettivamente, a Henry Kissinger, segretario di stato degli Stati Uniti durante la presidenza di Nixon, famoso per la sua freddezza e per il suo acume (per i quali arrivò addirittura ad affermare che “L’intelligenza non serve per fare i capi di Stato. La dote che conta, nei capi di Stato, è la forza. Il coraggio, l’astuzia e la forza.” (p. 18 ), al temutissimo generale Giap, comandante dell’Esercito Popolare del Vietnam del Nord (“I bambini li spaventi sussurrando « Ora chiamo l’orco », gli Americani li spaventi sussurrando « Ora viene Giap ».”, p.81), all’ex-pediatra palestinese di confessione cristiano ortodossa George Habash, che, per odio o per disperazione, abbandonò la cura dei più deboli e dei più poveri per dedicarsi anima e corpo alla vendetta verso gli oppressori alla guida del FPLP (Fronte Popolare per la liberazione della Palestina), e al Ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita Ahmed Zaki Yamani, forse l’uomo più potente che abbia calcato la scena politica degli anni ‘60-‘70. Celeberrimi, poi, i colloqui con il glaciale direttore della CIA William Colby, calcolatore dall’animo freddo e dallo sguardo impenetrabile (“Lui rappresentava il potere, la piovra invisibile e onnipresente che tutto domina e strozza”, p.587), con l’arcivescovo cattolico brasiliano Helder Camara, oppostosi da sempre alla dittatura e, per questo, costretto a vivere in miseria e costantemente bersagliato da minacce e tentativi di aggressione, e con l’arcivescovo cipriota Makarios III, l’unico in Europa che tenesse insieme potere temporale (in quanto Presidente della Repubblica di Cipro) e religioso. E, infine, indimenticabile risulta l’incontro con Alexandros Panagulis (o Alekos), la cui intervista risulta eminente sia dal punto di vista umano che sotto l’aspetto giornalistico; politico, rivoluzionario e poeta greco, divenuto ben presto compagno di vita della stessa Fallaci, Alekos fu a lungo perseguitato, torturato e incarcerato a causa delle sue idee politiche, ma il suo animo alla fine gli permise di divenire in toto un vero e proprio simbolo (“Essere un uomo significa avere coraggio, avere dignità, significa credere nell’umanità: significa lottare, e vincere.”, p. 860 ).
Questo libro può dirsi davvero un’intervista con la Storia, poiché interpella buona parte di coloro che ne sono stati fautori a tutto tondo: perché, in fondo, la storia è fatta di uomini e, come ci insegnano i più grandi, “Homo faber fortunae suae” (citazione riconducibile a Niccolò Macchiavelli nel De Principatibus, Firenze, 1513). Ciascuna delle 27 brevi presentazioni, intense e ricchissime di pàthos, viene seguita, per l’appunto, dall’intervista al personaggio in questione, completa di domande e risposte da parte di entrambi gli interlocutori; in ciascuna parte dei vari “capitoli” inerenti queste eccellenze (sia in positivo che in negativo) del secolo scorso, lo stile dell’autrice risulta molto colloquiale, semplice e facilmente comprensibile, e questo anche grazie alla scelta di un lessico e di una terminologia quasi quotidiani, familiari. La naturalezza con cui vengono presentati fatti, avvenimenti e personaggi (di norma tanto idealizzati da sembrare quasi irraggiungibili) permette talvolta di leggere la storia in termini di quotidianità, di sentirla vicina, di avvertire l’impressione (reale, alla fin fine) di farne davvero parte: ed è proprio questo a cui puntava Oriana Fallaci, avvicinare gli eventi storici ad ogni loro singolo artifex particolare, a tutti quegli spettatori civili che, a modo loro e in maniera totale, hanno fatto la storia prima ancora di viverla.
La semplicità del racconto, la colloquialità con cui la Storia in quanto Historia viene presentata, allora, riescono a coinvolgere i lettori nel racconto, a renderli partecipi di un passato che non tornerà ma che, in parte, è ancora loro nei risultati di un futuro in perenne costruzione, tutto da vivere.
Guendalina Liberato

Oriana Fallaci 
Intervista con la Storia 
BUR, Milano, 2008 (Prima edizione, Rizzoli, 1974).

20 maggio 2017

Nascita e morte del giornalismo americano?


''La stessa categoria giornalismo non è più adeguata a descrivere la frammentazione dei formati e dei messaggi. La moltiplicazione di canali televesivi, la crescità di Internet, il successo della radio parlata, la proliferazione di prodotti paragiornalistici ci dovrebbero indurre a discutere di vari giornalismi, molti dei quali hanno una parentela assai vaga con quell'industria di raccolta organizzata dalle notizie di interesse generale che eravamo abituati a conoscere.''
Fabrizio Tonello, insegnante di Storia del giornalismo nell'Università di Padova, con questo libro vuole proporre un analisi storica e sociale su come questo mondo stia cambiando e per approfondire l'argomento prende gli Stati Uniti d'America come caso studio.
Nelle varie pagine il lettore sarà trasportato in un viaggio che comincia nel
1733 e finisce ai giorni nostri, affrontando i temi della libertà d'espressione, della nascita della penny press, di come lo sviluppo tecnologico ha influenzato il modo di dare la notizia, dal telegrafo che creò la tecnica delle 5w a internet che sta distruggendo il giornalismo tradizionale o di fare notizia dai cosidetti muckrakers all'infotaiment.
Un altro elemento su cui si sofferma l'autore riguarda come i media trattino certe notizie, addirittura quasi manipolandole per renderle più vendibili e cariche d'interesse all'opinione pubblica, e di come questo sia molto più evidente e alla luce del sole dopo i tragici eventi dell'11 Settembre.
E' interessante notare come le notizie si modifichino e adattino sui vari cambiamenti sociali che hanno coinvolto l'America in quasi tre secoli di storia e come questo sia tuttora in divenire.
Un chiaro esempio sono state le elezioni americane e le varie raffigurazione fornite da vecchi e nuovi media per veicolare i voti a favore di un candidato o del suo avversario creando immagini stereotipate e spostando l'attenzione evitando di soffermarsi sui contenuti che ognuno proclamava durante la propria campagna elettorale.
L'unico difetto che si può riscontrare è che molti temi sono stati solo accennati e non trattati, forse con la dovuta attenzione, ma a sua difesa, l'autore dichiara esplicitamente nelle prime pagine del libro che questo modo di scrivere come limite della collana stessa, (Bussole) con la quale lo pubblica, quindi è consigliato più a persone appassionate dell'argomento o studiosi in questo campo rispetto a curiosi dell'ultima ora o lettori da spiaggia.
''Potremmo essere alla vigilia di una nuova fase in cui il giornalismo tradizionale muore, per rinascere sotto forma di comunicazione diffusa''
Nicolò Granone

Fabrizio Tonello
Il giornalismo americano
Carocci, Roma, 2013 (prima edizione 2005).

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