Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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09 gennaio 2018

Punto


Essenziale. Preciso. Costruttivo. Come un punto. Una pausa del pensiero necessaria non per concluderlo ma per permettere la sua evoluzione in una riflessione più profonda.
La rapida carrellata di Paolo Pagliaro, prestigioso giornalista, sui problemi legati alla “post-verità”, evidenzia i punti salienti dell'attuale pericoloso declino dell'informazione.
Fermare l'overdose informativa che ci sommerge ogni giorno è possibile. Così come ritrovare la capacità di distinguere tra ciò che serve a meglio orientare le scelte della nostra vita e tra ciò che, al contrario, quelle stesse scelte le confonde e le manipola.
L'”infobesità” è una patologia reale. Si annida tra le fake-news mitragliate in continuazione sui social network e rimbalzate nelle agende-setting di telegiornali e quotidiani. Il risultato è che la moltiplicazione del falso sembra essere diventato il paradigma condiviso dalla maggior parte dei professionisti dell'informazione. A scapito di quella narrazione dei fatti e della verità che, per tale categoria,  dovrebbe essere il principale punto d'orgoglio. Mentre, in nome delle logiche di mercato e di profitto, prevalgono emozioni, suggestioni, storytelling, propaganda. Di tutto tranne il racconto veritiero dei fatti. Ormai, usare la bugia come strumento per ottenere visibilità e consenso è pratica diffusa e accettata. Tollerata e subita soprattutto da chi l'informazione non la riceve più perché ne è letteralmente bombardato, nell'illusoria convinzione di essere cittadino consapevole delle proprie valutazioni, soggetto attivo e partecipe della costruzione del proprio futuro, esente da manipolazioni esterne.
Qui ci vuole un punto, una riflessione. Non per fermarsi, ma per ripartire. Così, auspica l'autore. Una pausa dal respiro più ampio e meno frettoloso del solito. Il ripristino della facoltà pensante come abilità condivisa. Il riscatto di chi produce informazione di qualità in modo eticamente corretto. È una battaglia che va combattuta soprattutto sul web, dove il narcisismo della politica si nasconde dietro la comunicazione e ne sostituisce il dibattito e dove il narcisismo di massa affonda l'assenza di pensiero critico nella velocità virale di opinioni basate sulla diffusione di fiction.
A risentirne è soprattutto la qualità della democrazia che trasferisce il potere di condizionare l'opinione pubblica agli esperti di marketing. Creare pseudo-notizie e farle circolare ad arte sui social in modo tale che diventino argomento di infinite condivisioni e acquistino così una valenza di verità fino a conquistare il primo posto tra gli argomenti di interesse generale.
La strategia della disinformazione si propaga come un virus, attraverso internet. Distraendo il “pensiero mobile” dei suoi fruitori dalla manomissione delle opinioni e dei fatti. Ad essere contagiata è soprattutto la platea dei “nativi digitali” che, riflettendosi nello specchio della community, credono di sfuggire alla solitudine e presumono di trovare più libertà di accesso ad un'informazione diretta e priva di mediazioni. In realtà, l'accesso è facilitato solo al pensiero semplificato e preconfezionato, con lo scopo di produrre costante distrazione dalla realtà o, tuttalpiù, saltuaria attenzione parziale, fluttuante nel mare della dispersività.
Perché, è noto, troppa informazione equivale a nessuna informazione.
  Un eccesso di disinformation che pervade il quotidiano e rischia di trasformarsi in una patologia curabile solo rivendicando il “diritto alla disconnessione”. Mettendo un freno al collegamento H24 per avere il tempo di pensare, farsi domande, riflettere senza l'ansia di rispondere all'ultimo tweet. Questa è una delle soluzioni che l'autore propone come cura all'epidemia in corso. Ma non basta.
É necessario accettare di non potere essere informati su tutto in ogni momento. E quello che sembra il limite del parziale e del provvisorio si evolve in un'opportunità di sviluppo dell'intelligenza collettiva del gruppo a cui si appartiene. Raccogliendo le capacità dei singoli per non disperdere le energie e concentrandosi sugli argomenti di vero interesse per approfondire e pensare in profondità.
Ma il “disagio del pensiero”, come disse J. Kennedy nel 1962, costa tempo e fatica. Al contrario delle più comode opinioni e dei facili pregiudizi precotti dalla rete.
Diventa, quindi, prioritario investire sulla produzione di informazione di qualità e formare professionisti eticamente preparati, passando attraverso accordi economici e politici che coinvolgano le grandi piattaforme di distribuzione delle notizie e i potenti gruppi editoriali.
Per esempio, punire la diffusione arbitraria di fake-news, etichettandole in modo ben visibile, può essere anche un modo per difendere la reputazione di chi le informazioni le produce e le diffonde.
Così come combattere la creazione di falsi profili-clone sui social, i cosiddetti bot, che tanto piacciono alla politica, è un modo imprescindibile per salvaguardare il buon funzionamento del sistema democratico. Infatti, l'anonimo popolo della rete si nutre di notizie false ma non del tutto inverosimili, che acquistano validità proprio per la loro capacità di essere rilanciate e condivise. Ed è proprio questo popolo, lo “sciame digitale”, ad essere esposto alle conseguenze della manipolazione del mercato del consenso.
      Secondo l'autore è l'autodisciplina, sia di chi produce sia di chi consuma informazione, una delle  soluzioni più realistiche alla deriva attuale. Il controllo dei fatti e delle fonti e l'onestà nel riferirli si confermano come i cardini dell'informazione professionale di cui Paolo Pagliaro, anche in questo testo, è sicuro interprete ed orgoglioso portavoce. Con quel pizzico di passione che è la molla che aiuta a distinguere tra verità e idee. Un punto, questo, su cui l'autore fornisce lo spazio e gli strumenti necessari alla riflessione, auspicando, tra le righe, la nascita di un pubblico più critico capace di pretendere un'informazione onesta e veritiera. Sarà allora che anche il mercato e la politica saranno obbligate ad adeguarsi alle esigenze della comunità, fermando il declino dell'informazione di qualità.
Ecco. A volte, basta fermarsi su un punto.
 Anna Scavuzzo


Paolo Pagliaro
Punto. Fermiamo il declino dell'informazione
Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 128.

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