Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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29 settembre 2009

Giornalismo italiano

"[...] Spesso si ha l’impressione che i giornali italiani si censurino in anticipo, temendo chissà quali ritorsioni. I tedeschi chiamano questo atteggiamento, fortissimo durante il periodo nazista, vorauseilende Gehorsamkeit: l’obbedienza che corre con la fretta di arrivare prima ancora che giunga l’ordine. I giornali tuttavia sono in pericolo comunque, con o senza Berlusconi: ovunque siamo in crisi e perdiamo lettori perché non sappiamo più dare un’informazione diversa qualitativamente da internet e televisione. Non opponendoci ci rendiamo non solo vulnerabili, ma alla lunga anche poco credibili verso i lettori".
Barbara Spinelli
"L'Unità", 27 settembre 2009 (intervista)

3 commenti:

Riccardo ha detto...

Condivido appieno l'impressione, ed anzi aggiungerei che più che un impressione è una realtà (ahimè) consolidata da tempo, più dei giornalisti che dei giornali...
ma non parlo da giornalista oramai navigato (quale la brava Barbara Spinelli), che dall'alto della propria esperienza e ricca vita professionale (e quindi, senza offesa, "con le spalle coperte" da un tale bagaglio), può sentirsi al riparo da chissà quali ritorsioni...
parlo da persona che sta studiando per ambire a diventare un farabutto come tanti, a far sentire la propria voce, in un paese che è al 65° posto nel mondo, nella 2008 Freedom of the Press World Ranking (abbiamo scalato ben 14 posizioni dal 2006! Peccato che abbiamo davanti a noi paesi che noi, democrazie occidentali, definiamo del Terzo Mondo...);
in cui una giovane laureata con un curriculum di tutto rispetto, è pagata 13 euro al pezzo se è fortunata;
in cui l'autonomia e l'indipendenza professionale diventano sempre più delle chimere (cito, tra le migliaia possibili, un esempio a me caro, quello del fotogiornalismo);
in cui, ci ricorda Marco Travaglio a pag. 5 de “Il fatto quotidiano” di ieri, per fare i giornalisti non basta controllare che quel che si dice sia vero, ma si deve fare una via crucis fra denunce civili e penali, garanti della privacy ed esposti all'Ordine;
in cui, continua Travaglio evidenziando l'esemplarità della giurisdizione americana al cospetto di quella nostrana riguardo la tutela della professione ( chissà come mai dagli USA importiamo niente altro che Grandi fratelli e Diete del minestrone...), fare i giornalisti non conviene. Meglio andare a rubare e portare il bottino all'estero: tanto poi c'è lo scudo.

Non voglio, con questo, giustificare l'obbedienza di cui parla la Spinelli, bensì sostenere come non sia affatto facile il compito per degli aspiranti giornalisti, che si apprestino od aspirino ad entrare nel bel mezzo di questa anomalia - tutta italiana, recita un tormentone - del sistema informativo del nostro Belpaese.
Dagli albori, l'informazione giornalistica dovrebbe rappresentare non il cane da compagnia o da riporto del potere (come recitava M. Travaglio ne “La scomparsa dei fatti”), ma il “cane da guardia del potere”, in nome dell'opinione pubblica, aggiunge nell'Espresso di questa settimana Eugenio Scalfari, ricordando che i media sono un contropotere alla voglia di controllo che c'è sempre stata da parte di ogni autorità: ma un conto è la voglia, un conto è riuscire a farlo effettivamente.

E' vero, da più parti si sente ripetere che Internet - tra Citizen Journalism, Blog, Aggregatori di notizie e Social Network - possa essere l'ancora di salvezza del giornalismo: è tuttora dibattuto il tema su cosa sia il giornalismo oggi, come si stia evolvendo e dove stia andando...secondo me però ci sono buone speranze, e sono fiducioso anche vedendo cosa succede altrove...
ma questo è un altro discorso.
Da parte mia, se mai succederà di diventare un farabutto, farò di tutto per non lasciare che alcun governo possa limitare la mia libertà di parola o pensiero (ancora una volta penso, con una qualche invidia, all'altra sponda dell'oceano, al I Emendamento della Costituzione americana).

Volpe ha detto...

Parliamo da giornalisti, che non siamo (perlomeno in numero maggioritario)! Credo sia necessario mettere repentinamente da parte la deontologia e fare della sana autocritica. Va da sé la dissimulazione onesta (e non), con lei le ali tappate da un catrame (e da un ciarpame) sempre più monocolore, la politicizzazione parassitaria e le derivanti questioni che ben conosciamo. Non voglio incarnare l’ennesima rappresentante della “generazione apolitica”, che ritengo personalmente null’altro che inutile, ma vorrei concentrarmi sulla Categoria. La Spinelli suggerisce con rammarico una fondata e sentita necessità di distinguersi. Una necessità da surviver, che nasce in edicola, ma che non può dissociarsi dal sentimento di appartenenza all’ideale, immenso, del miglioramento dell’essere umano. Quello che manca, mi duole, è la cultura. E manca prima di tutto nella Categoria. Dalla conoscenza nascono l’etica e la consapevolezza, l’autonomia necessaria alle scelte che potrebbero davvero dare una svolta a ciò che ogni giorno ci si limita a criticare, ben lungi dall’avere il coraggio di rifiutarlo. Questo slancio può e deve distinguerci e salvarci. Dopotutto, viviamo in un paese in cui con l’iscrizione al Cepu (che resta un’UNIVERSITA’ o comunque è considerata tale, a tutti i livelli) si ha in regalo il Dvd de L’Era Glaciale ma c’è ancora chi legge Proust.

Carolina Piola ha detto...

Il Giornalismo italiano, la Libertà di Stampa e la sua antagonista Madame Censura sono temi per niente originali o innovativi, ma chissà perchè, chissà per come tornano ciclicamente ad affollare le pagine dei quotidiani, le librerie e nei giorni scorsi perfino le piazze.
Riporto così alcune righe di tre articoli, contenuti nel numero di Panorama di venerdì 9 ottobre, in cui ho trovato perfettamente rispecchiato ciò che penso a riguardo.
Il primo è di Giuliano Ferrara che affrontando il tema del tanto dibattuto confronto "Toghe e politica", inerente alla vicenda del Lodo Alfano, dice: "Dovunque il giornalismo è duro ma corretto, esercita il fair play, accusa ma non dipsrezza, non fomenta lo sconfinamento politico e civile. Da noi no.
Per questo si ripropone da quasi un ventennio il balletto fra giustizia e politica.."
Il secondo riporta la firma del Direttore del Giornale, Vittorio Feltri, il quale ricordando alcuni episodi personali sulla libertà di stampa presso la redazione del Corriere della Sera - primus inter pares tra i cosiddetti giornali indipendenti - scrive:
"Le assunzioni e le promozioni passavano, per il gradimento, al vaglio dei sindacalisti..
Per piacere a loro (ndr "i capi") dovevi essere cattocomunista, la tessera del Pci contava più di un paio di lauree.
La rivoluzione culturale produsse una generazione di redattori privi di dubbi, perfettamente consapevoli di come fosse necessario comportarsi per fare carriera."
Infine raccontando del passagio alla direzione dell'Europeo, chiude dicendo: "Lontano dal Corriere ho sperimentato che la libertà di stampa non è una gentile concessione dell'editore, ma una conquista col rischio di perdere il posto. Oggi non manca la libertà di stampa, ma la capacità di usarla senza cadere nella tentazione dell'autocensura, anticamera del conformismo".
Finito di leggere questo articolo, giro pagina e a stupirmi è il noto antiberlusconiano e leader della sinistra accesa Piero Sansonetti.
Pierluigi Magnaschi nel suo articolo, riporta appunto il giudizio espresso dal direttore dell'Altro a proposito della manifestazione del 3 ottobre:
"Ho partecipato alla manifestazione perchè era politca, contro Berlusconi, ed essendo io antiberlusconiano convinto dovevo esserci. Ma non mi si venga a dire che essa era in difesa della libertà di stampa in Italia". Credo che questa onesta e coraggiosa dichiarazione parli già da sè, però una domanda sorge spontanea: se neanche chi indice le manifestazioni crede in ciò per cui scende in piazza, ma vi partecipa solo per solidarietà politica anti Berlusconi, perchè allora non fare outing e chiamare le suddette direttamente con il loro vero nome, come ad esempio "Manifestazioni solidali in funzione antiCavaliere" ?!
Non vado oltre e mi limito a riportare le sagge parole di Magnaschi che si riagganciano perfettamente al pensiero feltriano riportato nelle righe precedenti: "Contrariamente a ciò che pensano molti giornalisti, - e mi permetterei di aggiungere anche politici- la libertà di stampa non cade dall'alto, ma deve essere costruita, da tutti ogni giorno. In Italia abbiamo fior di firme strapagate che sono spasmodicamente legate alle rendite di posizione della loro poltrona. Manifestano per la libertà di stampa, ma quando perdono il posto non vanno da un'altra parte ad esercitare il loro talento, ma piagnucolando, esigono di essere reintegrati da un giudice."
Esemplari i nomi del maestro Riccardo Muti e del vate del Giornalismo Italiano Indro Montanelli, citati da Magnaschi per dimostrare come entrambi, nei loro rispettivi ambiti, abbiano saputo reagire con stile. Il primo ricominciando da zero una volta espulso dalla Scala ed il secondo sbattendo la porta e togliendo il disturbo quando le pagine del Corriere cominciarono a tingersi, un po' troppo smaccatamente, di rosso.
"Chi vale davvero, vale dovunque e comunque" afferma Magnaschi; associandomi, mi permetto di aggiungere:
chi non si sente realmente all'altezza inventa giustificazioni e compromessi per ingannare le proprie incoerenze!

Carolina Piola

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