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30 settembre 2011
"Metà tà physikà..."
...ovvero, oltre la natura percepibile dai sensi.
"...si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l'altro lo spettrale o il metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, così come certoi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari non possono apparire che sotto la potenza di luci artificiali..." (Giorgio De Chirico).
Una definizione, ma soprattutto un'idea che accomuna artisti come Carrà (di ritorno da una breve ma intensa parentesi futurista), De Pisis, Soffici Morandi, ma specialmente Giorgio De Chirico, e che deriva dal filosofo Aristotele, che con questo termine indicava una realtà che trascende quella conoscibile attraverso i sensi, qualcosa di più immateriale e spirituale.
In un periodo storico pieno d'incertezze quale fu quello della Prima Guerra Mondiale, le persone comuni, coloro che detenevano il potere, coloro che si ribellarono e coloro che acconsentirono senza opposizioni, ma soprattutto coloro che cercarono di dare espressione alle loro emozioni ed ideologie tramite l'arte, ebbero reazioni e menifestazioni contrastanti.
Due esempi su tutti: l'entusiastica adesione del Futurismo, con la sua esaltazione della forza della guerra, della macchina, della velocità e della modernità, contrapposta all'analisi più introspettiva della "Metafisica" di cui De Chirico fu il maggiore esponente.
L'uomo che si prepara a combattere, o a subire, la guerra, è spersonalizzato, non esiste più una figura umana vitale, dinamica, ma solo una pallida ombra, una statua, un inquietanta manichino nelle mani di un destino più grande di loro.
Le radici di questa nuova arte, a tratti pessimistica, si possono individuare nella filosofia storica di Nietzsche e nella solennità della mitologia greca, trasposta in una dimensione angosciosa e ambigua.
Così nascono le "Opere dell'Enigma", dove figure mitologiche come Ulisse scrutano un orizzonte statico, all'ombra di divinità classiche sotto forma di statue, o la serie delle "Piazze d'Italia", caratterizzate da un'architettura classica che tuttavia non permette di comprendere nè il luogo nè il momento in cui ci si trova, e che spesso si mescola ad elementi di modernità come le fabbriche, di cui si scorgono le ciminiere, in um continuo richiamo tra passato e presente.
A livello stilistico, questi concetti vengono resi da De Chirico tramite una costruzione prospettica secondo molteplici punti di fuga incongruenti tra loro, campiture di colore piatte, uniformi, prive di sfumature e chiaroscuri, figure statiche, immobili, fuori dal tempo e dallo spazio.
Analogo discorso vale per le nature morte, dove ai consueti soggetti si aggiungono elementi della classicità greca, come maschere o parti di statue.
L'arte diventa lo spazio di una rappresentazione mentale, di una dimensione interiore pervasa dall'angoscia dell'indefinito, dal dubbio che dilania l'uomo di fronte alla prospettiva della guerra.
A livello emotivo, analoghe sensazioni vengono suscitate in me dall'arte di un altro pittore del '900, Francis Bacon. Artista non riconducibile a nessuna corrente artistica, espresse anch'egli l'angoscia dell'uomo, ma questa volta dopo la sconvolgente esperienza della Seconda Guerra Mondiale.
Il suo mezzo espressivo è nel contrasto tra sfondi dal colore piatto, ordinato, e soggetti, principalmente figure umane, trasfigurati, resi attraverso grumi di colore denso steso in maniera brutale.
I suoi soggetti vengono rappresentati in momenti quotidiani, spesso intimi, come l'uomo in bagno mentre vomita, segnali di un disagio fisico e psicologico. La brutalità delle cose, dela vita, è resa anche nella dimensione religiosa: l'iconografia sacra è deformata da figure mostruose e starvolte dal dolore, addirittura i suoi ritratti di Pontefici hanno un aspetto disperato e straziato, talvolta ispirati da fotogrammi della "Corazzata Potemkin" di Eizenstein (1926).
Questi pittori credo siano un ottimo paradigma per comprendere come l'arte sia una delle forme più efficaci per comprendere ed esprimere i cambiamenti di un secolo intenso come il '900, e come questi abbiano influito in maniera spesso negativa e sconvolgente sulla psiche e sull'animo umano.
Arianna Borgoglio
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Arte,
Critica d'arte,
Linguaggio iconografico
29 settembre 2011
In libreria
Ernesto Calvanese
Media e immigrazione tra stereotipi e pregiudizi. La rappresentazione dello straniero nel racconto giornalistico
Milano, Franco Angeli, 2011, 208 pp.
Media e immigrazione tra stereotipi e pregiudizi. La rappresentazione dello straniero nel racconto giornalistico
Milano, Franco Angeli, 2011, 208 pp.
Descrizione
Non c'è giorno nel quale non si parli a livello mediatico di immigrazione, e non c'è giorno nel quale non si faccia cenno al pericolo, alla criminalità, all'allarme sociale, al semplice fastidio che a questa tematica si correlano, in modo si direbbe ineluttabile e deterministico. Questo è quanto principalmente emerge dalla ricerca effettuata negli anni 2005-2008 su tre testate nazionali "Corriere della Sera", "Il Giornale", "la Repubblica", che hanno evidenziato come di stranieri si parli esclusivamente in termini di conflittualità e di problematicità, anche quando sono stati proposti articoli non direttamente incentrati sulla loro delittuosità. I temi costanti sono il binomio straniero-criminalità, la pericolosità sociale dei migranti, il controllo, la giustizia e le misure preventive e penalmente repressive. La ricerca sulle tre testate ha evidenziato - nel raffronto con la divulgazione dei reati messi in atto da italiani - un grave squilibrio, nel senso di una rappresentazione pressoché globale della delittuosità degli stranieri (sotto-rappresentata al 3,47%), rispetto ad una sotto-rappresentazione della criminalità autoctona pari al 30,61% in meno rispetto ai dati statistici ufficiali. E l'omissione vale quanto una sovra-rappresentazione, in una realtà virtuale la cui "conoscenza" dipende quasi globalmente dai media . Da questo continuo "martellamento" di notizie non può non derivare il consolidarsi dello stereotipo attinente alla minaccia costituita dagli stranieri, anche in considerazione che pressoché mai sono riportate informazioni che si riferiscano alla solidarietà, alla integrazione, alla cultura, all'incontro di valori, idee, religioni differenti. Tutto ciò con buona pace dei più di 27.000.000 di italiani emigrati tra il XIX e XX secolo (Fonte Caritas), moltissimi dei quali si sono trovati al centro delle attenzioni degli apparati di giustizia dei paesi ospitanti e, ovviamente, al centro anche di una comunicazione mediatica negativa e allarmistica. Su 31.946 articoli analizzati, mai si è trovato un cenno ad un passato comune, quasi a volere cancellare una memoria storica imbarazzante.
Non c'è giorno nel quale non si parli a livello mediatico di immigrazione, e non c'è giorno nel quale non si faccia cenno al pericolo, alla criminalità, all'allarme sociale, al semplice fastidio che a questa tematica si correlano, in modo si direbbe ineluttabile e deterministico. Questo è quanto principalmente emerge dalla ricerca effettuata negli anni 2005-2008 su tre testate nazionali "Corriere della Sera", "Il Giornale", "la Repubblica", che hanno evidenziato come di stranieri si parli esclusivamente in termini di conflittualità e di problematicità, anche quando sono stati proposti articoli non direttamente incentrati sulla loro delittuosità. I temi costanti sono il binomio straniero-criminalità, la pericolosità sociale dei migranti, il controllo, la giustizia e le misure preventive e penalmente repressive. La ricerca sulle tre testate ha evidenziato - nel raffronto con la divulgazione dei reati messi in atto da italiani - un grave squilibrio, nel senso di una rappresentazione pressoché globale della delittuosità degli stranieri (sotto-rappresentata al 3,47%), rispetto ad una sotto-rappresentazione della criminalità autoctona pari al 30,61% in meno rispetto ai dati statistici ufficiali. E l'omissione vale quanto una sovra-rappresentazione, in una realtà virtuale la cui "conoscenza" dipende quasi globalmente dai media . Da questo continuo "martellamento" di notizie non può non derivare il consolidarsi dello stereotipo attinente alla minaccia costituita dagli stranieri, anche in considerazione che pressoché mai sono riportate informazioni che si riferiscano alla solidarietà, alla integrazione, alla cultura, all'incontro di valori, idee, religioni differenti. Tutto ciò con buona pace dei più di 27.000.000 di italiani emigrati tra il XIX e XX secolo (Fonte Caritas), moltissimi dei quali si sono trovati al centro delle attenzioni degli apparati di giustizia dei paesi ospitanti e, ovviamente, al centro anche di una comunicazione mediatica negativa e allarmistica. Su 31.946 articoli analizzati, mai si è trovato un cenno ad un passato comune, quasi a volere cancellare una memoria storica imbarazzante.
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28 settembre 2011
In libreria
Vincenzo Trombetta
L'editoria a Napoli nel decennio francese
Produzione libraria e stampa periodica tra Stato e imprenditoria privata (1806-1815)
Milano, Franco Angeli, 2011, pp. 256.
*link all'Indice del libro.
Presentazione
La breve stagione del Decennio francese segna, per Napoli, la cruciale transizione dall'antico regime tipografico alla più avanzata condizione del lavoro editoriale nel quadro delle generali trasformazioni operate dai Napoleonidi. Alla luce d'inediti documenti e di testimonianze bibliografiche coeve, il volume, dopo sintetici cenni di confronto con altre realtà italiane, ne ricostruisce la struttura produttiva - le cartiere, i tipografi, le nuove figure d'imprenditori - estendendosi agli autori, alle opere, alla situazione nelle province del regno. Al tempo stesso esamina la stampa periodica articolata in giornali ufficiali, fogli economici, riviste tecnico-scientifiche e sorretta dall'impegno civile degli intellettuali, chiamati a collaborare all'edificazione del novus ordo , tra i quali molti esuli della Repubblica Partenopea. Analizza, poi, il ruolo e l'attività della Stamperia Reale e degli altri poli tipografici dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, evidenziando lo stretto rapporto tra editoria e istruzione pubblica espresso dal progetto delle collezioni economiche. Emerge, nel complesso, un ampio programma di modernizzazione che investe non solo le istituzioni culturali, e le biblioteche in particolare, ma la stessa produzione libraria, sia pur soggetta a una politica editoriale non priva d'incertezze e aporie nel difficile rapporto tra Stato e imprenditoria privata.
21 settembre 2011
In libreria
Daniela Brancati
Occhi di maschio. Le donne e la televisione in Italia.
Una storia dal 1954 a oggi
Roma, Donzelli, 2011, pp. X +230.
Descrizione
Descrizione
Occhi di maschio è il primo tentativo di storia della televisione dal punto di vista dei vinti, cioè delle persone di buon gusto e di buon senso e delle donne. La tv, dominata dallo sguardo maschile, è stata ed è lo specchio dei desideri prevalenti dei maschi italiani. Desideri in principio palesi e dichiarabili, poi sempre più aggressivi e sfacciati. L’autrice è stata fra i protagonisti di questo mondo e ne scrive con aperta soggettività, con aneddoti e ricordi arricchiti dalle testimonianze di alcune persone che hanno contato nella tv italiana, delle quali a volte non si conserva neanche più il ricordo. A completare il volume un vasto dizionario biografico delle oltre ottocento donne che hanno fatto la nostra televisione e una cronologia comparata che mette a fronte l’Italia come era, le conquiste delle donne e l’evoluzione del mezzo televisivo. Infine, un’intervista esclusiva a Lorenza Lei, prima donna a ricoprire l’incarico di direttore generale della Rai. Come scrive Franco Cardini nella sua introduzione, «questo libro diverte, informa, chiarisce, qua e là stupisce. Daniela Brancati ci ha offerto una vera e propria storia della società italiana attraverso la Rai…».
*segnalato da C.S.
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18 settembre 2011
Genova in libreria
Alberto Piccini - Mario Paternostro
Genova e i volti della guerra (1940-1945)
Genova, De Ferrari editore, 2011, 168 pp.
Genova e i volti della guerra (1940-1945)
Genova, De Ferrari editore, 2011, 168 pp.
Descrizione
Il tempo di guerra a Genova è stato raccontato in molti modi e illustrato con migliaia di immagini. Questa volta sono i piccoli momenti della vita comune a sgranare quelle drammatiche ore, tra il 1940 e il 1945. E’ la storia di quello che, nonostante tutto, dava normalità a una vita che di normale non aveva più nulla. Eppure, sotto le bombe, nelle giornate schiacciate dall’angoscia, dalle preoccupazioni, dal dolore, nelle notti segnate dall’ansia delle sirene, nelle piazze delle manifestazioni del regime, qualcuno ancora riusciva ad affrontare quelle ore pensando che un futuro sereno e libero sarebbe prima o poi arrivato. Le foto pubblicate provengono dall'Archivio Binelli. Volume pubblicato con la collaborazione di Cassa di Risparmio di Genova e Camera di Commercio di Genova.
Il tempo di guerra a Genova è stato raccontato in molti modi e illustrato con migliaia di immagini. Questa volta sono i piccoli momenti della vita comune a sgranare quelle drammatiche ore, tra il 1940 e il 1945. E’ la storia di quello che, nonostante tutto, dava normalità a una vita che di normale non aveva più nulla. Eppure, sotto le bombe, nelle giornate schiacciate dall’angoscia, dalle preoccupazioni, dal dolore, nelle notti segnate dall’ansia delle sirene, nelle piazze delle manifestazioni del regime, qualcuno ancora riusciva ad affrontare quelle ore pensando che un futuro sereno e libero sarebbe prima o poi arrivato. Le foto pubblicate provengono dall'Archivio Binelli. Volume pubblicato con la collaborazione di Cassa di Risparmio di Genova e Camera di Commercio di Genova.
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Libreria,
Storia italiana
14 settembre 2011
Il mio passato
Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante.
Alda Merini
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante.
Alda Merini
Verso l'informazione orizzontale
Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti. (Bernardo di Chartres)
Ecco come si apre il libro di Michele Mezza, giornalista RAI ed ideatore di RAI News 24. Un bell’entimema, come direbbe Aristotele, estremamente vincente per attirare l’attenzione sulle pagine a seguire.
L’obiettivo che Mezza si propone è quello di provare che la rete altro non è che un ritorno di valori, ibernati dall’avvento del sistema fordista. Sistema, come si sa, basato sulla verticalizzazione gerarchica dell’azione produttiva, che cancellò quella cultura della cooperazione individuale ripresa, ad oggi, proprio dalla cara, ma non vecchia, rete. E indovinate un po’? Proprio grazie a questa cooperazione orizzontale oggi i social network (più simili ai mercati boari, che agli shopping center) sono i modelli sociali che si diffondono più rapidamente sul pianeta.
Facendo un rapido excursus nella storia della civiltà europea, si scopre che è stata proprio la possibilità di riprodurre i libri a spezzare quella verticalizzazione che gerarchizzava in maniera oppressiva la società. La pergamena, simbolo del potere, diventava libro, e il libro diventava controllabile, negoziabile.
Ma questo volumetto, da leggere tutto in una volta per paura di perdere dei passaggi salienti, non parla certo di libri, né di storia, ma parla di presente e di futuro.
Tira in ballo giornalisti ancora troppo attaccati al passato per aprire gli occhi ed adattarsi ai tempi che corrono, che scappano e scivolano via, lungo una rete di fibre ottiche ed abbonamenti “flat”.
Oggi purtroppo solo alcuni si accorgono dei cambiamenti che stanno scuotendo l’intero mondo della comunicazione, e non per questo riescono ad “afferrare il toro per le corna”, come si usa dire.
È il caso di Obama, Presidente super acclamato degli Stati Uniti d’America, che ha basato la propria campagna elettorale proprio sulla rete. Come mai il candidato più improbabile, il meno scontato, è riuscito a far breccia nel cuore del popolo americano? Indubbiamente perché ha saputo sfruttare al meglio il potere di internet e dei social network.
Fin qui tutto liscio.
Poi però qualcosa è cambiato, generando un effetto boomerang che ha causato un altro genere di breccia, questa volta nella credibilità del Presidente; è bene tener sempre presente che il popolo della rete è utilitaristico e competitivo proprio mentre è generoso e trasparente, ed Obama si è trovato davanti al rischio di farsi disintermediare dal popolo che lui stesso ha appoggiato, e che ha sottovalutato.
Come diceva Mao “anche la rete non è un pranzo di gala”.
Al giorno d’oggi siamo investiti non tanto da una vera e propria rivoluzione, quanto piuttosto da una rivelazione, portata soprattutto dall’evoluzione giornalistica. Ognuno di noi diventa giornalista, diventa “spettautore”. La dimostrazione lampante di questo si ebbe, per esempio, durante le due guerre in Iran ed in Iraq.
Mentre i giornalisti embedded si perdevano tra i cavilli della burocrazia militare, le notizie arrivavano fluide e precise dai palmari dei soldati che scrivevano alle famiglie, in tempo reale.
Siamo noi a fare la notizia, noi a mediare la nostra informazione. E per sopravvivere i giornali devono dimostrare di essere qualcosa che va molto oltre la tipica idea di giornale. L’autore indica varie strade per realizzare questa possibilità, tra cui il giornalismo on demand, il graphic journal e non ultimo il metodo delle hyperlocal news. Ma se tutto questo si attualizzasse, che ruolo avrebbe l’editore di informazione? L’unico a sopravvivere probabilmente sarebbe Mr. Murdoch, ovvero il magnate che ha praticamente inventato l’e-commerce delle informazioni.
Un altro punto che Mezza sottolinea è l’importanza della territorialità delle notizie, nonché della sesta W, che sta per While, ovvero il mentre, il momento in cui la notizia sta accadendo, il tempo reale.
Basandosi proprio su questa necessità del pubblico di avere notizie “fresche” e che lo riguardino da vicino, porta avanti, da qualche tempo, la sua idea di fondere la struttura del TGR con RAI News 24, e dispensa consigli alla RAI, chiedendo di passare “dal cavallo alla farfalla”, ovvero “di abbandonare l’abitudine, da parte dei dirigenti della televisione pubblica italiana, a pensarsi come un colosso che si fa seguire dal suo pubblico, e invece di iniziare a diluirsi in un progetto che colga le mutazioni di una domanda di comunicazione sempre più differenziata, specializzata e composita, dove l’utente si confonde con l’autore di linguaggi comunicativi”.
Anche perché, ormai, la TV generalista è stata abbandonata dal Dio del successo, la cosiddetta “couch TV” è stata buttata nel dimenticatoio per dare spazio ad una TV portatile, diventata un’applicazione del cellulare, un po’ come snake, per chi ricorda cosa fosse, ai tempi d’oro.
La televisione dal canto suo si dimena, si gioca la carta dell’alta definizione, ma deve vedersela non solo con la TV mobile dei cellulari, ma anche con quella in streaming della rete.
È finito il tempo in cui la RAI si identificava in questo o in quel direttore, in questo o in quel conduttore. È arrivato il momento, per la radiotelevisione italiana di tornare ad essere quel colosso innovativo che ha fatto la storia. Ma perché questo si realizzi è necessario ritrovare un senso di utilità che non può più coincidere con una specifica cultura politica, come sta succedendo oggi.
Enrica Basso
Michele Mezza
Sono le news, bellezza! Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale. Roma, Donzelli editore, 2011, pp. XIV-194.
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12 settembre 2011
Cittadini del mediamondo
I mass media formano e trasformano il pubblico e, a sua volta, il pubblico forma e trasforma i mass media. E’ questo il filo conduttore del saggio di Patrizia Rodi, attenta ed articolata analisi di tutti i mezzi di comunicazione e delle loro implicazioni sulla società.
La celebre affermazione di Marshall Mcluhan, il medium è il messaggio, sintetizza gli effetti che proprio i mezzi comunicativi in quanto tali scatenano sui destinatari che, quindi, interagiscono con i media stessi e non solo con i contenuti trasmessi.
Mediamondo parte, quindi, alla scoperta dell’impresa dei media che, basandosi sui principi di un vero e proprio apparato produttivo, realizza un prodotto – la notizia, il film, il brano musicale – che diventa un oggetto di consumo e di fruizione da parte del pubblico, al quale deve essere garantito l’accesso democratico ad ogni tipologia di media.
Pedagogia di massa e pedagogia del consumo si intrecciano, e l’autrice è bravissima a collegare questi elementi alle trasformazioni continue, stimolate soprattutto dalla televisione e da Internet, che sviluppano nuovi modi di fare informazione ed intrattenimento.
La necessità di sedurre sempre maggiori porzioni di pubblico e di aumentare visibilmente gli indici di ascolto – contropartita agli introiti pubblicitari – portano all’elaborazione della cosiddetta nebulosa dei dettagli, così come è stata definita dallo studioso Giovanni Cesareo: una nube di dettagli insignificanti, intrisa di stereotipi eccessivi che, se da un lato conquistano gli spettatori, dall’altro fanno solo da contorno alla notizia che viene, quindi, spogliata del suo contenuto reale.
L’analisi prende in considerazione tutti i fenomeni derivanti da questo meccanismo: il news management, l’importanza della cultura del quotidiano, l’infotainment, la nascita di figure – simbolo della televisione italiana, come Mike Bongiorno, re del quiz ed immagine della TV stessa e di un fenomeno collettivo di portata socio-culturale; ma è significativo, altresì, rivedere tutte le teorie che si sono susseguite nel corso del Novecento ed hanno delineato una visione molto critica nei confronti dei mezzi di comunicazione di massa: la teoria ipodermica, ad esempio, che vede il pubblico “colpito ed affondato” dai media, senza consentire possibilità di reazione, o quella della spirale del silenzio, che considera l’audience passiva e orientata dai mezzi di comunicazione verso una comune opinione pubblica, o ancora la teoria dell’agenda setting, che riassume la capacità dei media di dirigere volontariamente l’informazione, scegliendo quali notizie hanno maggior rilievo e quali, invece, possono passare in secondo piano, effettuando così una selezione che rientrerebbe, invece, nelle competenze del pubblico.
Pubblico che appare indolente al punto di appartenere ad un immaginario collettivo che confonde realtà e finzione, inghiottito non solo dai fenomeni televisivi, ma anche dalle novità offerte dalla rete, come My Space, Second Life, Facebook, che, se non valutate ed utilizzate nella giusta percezione, rischiano di creare un mondo “altro”, non reale appunto, ma creato dall’immaginazione dell’utente.
In conclusione, si potrebbe dire che questo saggio rappresenta un inizio; il pubblico, infatti, deve entrare in contatto con gli aspetti più nascosti e contradditori dei mezzi di comunicazione di massa, deve cioè conoscere a fondo il prodotto che consuma: solo così potrà essere sicuro di vivere in un mediamondo.
Alessandra Torre
Patrizia Rodi
Mediamondo. Viaggio attraverso le comunicazioni di massa
Milano, Lupetti, 2010, 383 pp.
11 settembre 2011
Poesia
03 settembre 2011
In libreria
Prefazione di Paolo Di Stefano
Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2011, 224 pp.
Descrizione
Nel Iuglio 1955 esce il primo numero del "Gatto Selvatico", rivista dell'Eni fortemente voluta da Enrico Mattei, che ha condiviso e discusso con il direttore Attilio Bertolucci il progetto di una pubblicazione interna, che si rivolge ai dipendenti Eni attraverso pagine a colori, vignette, resoconti di vita aziendale. Ma, grazie anche alla libertà che Mattei lascia a Bertolucci, la testata non si limita a essere uno strumento aziendale: per i nove anni della sua pubblicazione sarà infatti un piccolo laboratorio culturale in cui troveranno spazio testi inediti di scrittori italiani dell'epoca. Questo volume raccoglie i migliori racconti e saggi brevi firmati da mostri sacri, come Carlo Emilio Gadda, ma anche da giovani promesse poi diventate grandi nomi della nostra letteratura, come Goffredo Parise e Natalia Ginzburg. Una carrellata imperdibile sull'Italia degli anni Cinquanta: dal risotto alla milanese di Gadda alla Sardegna di Giuseppe Dessi, dal racconto di una truffa subita da Giuseppe Berto alla fenomenologia della donna al volante a firma di Anna Banti.
*link Archivio storico dell'ENI.- selezione articoli pubblicati su "Il Gatto Selvativo".
*link Archivio storico dell'ENI.- selezione articoli pubblicati su "Il Gatto Selvativo".
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