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16 settembre 2013
Una, nessuna e centomila
Claudia Fusani ripercorre
le tappe fondamentali della vita di una
grandissima giornalista ligure di inizio Novecento. Inizia raccontando delle prime esperienze in redazione a
Genova della ancora giovanissima Maria Vittoria Rossi, delle sue conquiste e
soprattutto della sua graffiante realisticità.
Ma non si ferma qui, va più
a fondo, dipingendo una ragazza rigida, troppo studiosa, ingabbiata nello stile
di vita che la madre, forte di carattere, le impone per una brillante ascesa
sociale nonché di autoanalisi e autovalutazione continua.
Maria non è mai solo se stessa
e non lo è mai pienamente quando scrive sotto il finto nome di Giorgiana,
ragazzetta miope e un po’ svampita, oppure sotto lo pseudonimo di Marlene.
Inventa storie e personaggi
e ne prende le spoglie scrivendo ogni volta con stile e tono differenti;
camaleontica ed eclettica rapidamente raggiunge un certo successo che la porta
a curare diverse rubriche ed a legare
con l’emergente giornalista Indro Montanelli
che sarà poi suo collega nella redazione di Omnibus. Il settimanale
culturale, fondato da Leo Longanesi, la
impegna per ben due anni durante i quali, grazie alle manovre della madre sposa
Gaspero del Corso e assume definitivamente lo pseudonimo con cui ancora oggi è
ricordata: Irene Brin.
L’esperienza nella
redazione del settimanale romano è il trampolino di lancio per la sua brillantissima carriera di giornalista,
reporter e soprattutto di lente d’ingrandimento sulla società dei primi decenni
del novecento.
Le tinte con cui questa
prima parte della vita di Maria Vittoria è narrata, sono
grigie, quasi depresse, come se la soddisfazione di lavorare nel campo sognato
e l’aver raggiunto la fama non fossero traguardi importanti nella vita della
giornalista. La curiosità spinge a leggere ancora alla ricerca di una
motivazione.
A partire dal 1940 Maria,
terminata la fase di Omnibus, si lancia a
scrivere ed a collaborare con diversi settimanali sotto diversi pseudonimi. Naturalmente
la sua attività, nonostante la censura fascista si faccia sempre più
stringente, è solo sfiorata dalla situazione perché pur essendo un’ottima
scrittrice e soprattutto un’osservatrice senza pari, mai si è interessata a
scrivere di politica.
Ed ecco affiorare le mille
personalità: è Maria Del Corso su Mediterraneo, Ortensia sulla Gazzetta Provinciale,
Geraldina Tron su Film Illustrato.
Tutte rubriche di costume,
tutte rubriche che portano grande successo ai settimanali su cui compaiono e in
primis sono scritte da donne completamente diverse che sono sempre la stessa.
Maria Vittoria.
Nel 1941 decide di seguire
il marito Gaspero in Jugoslavia con l’esercito e nonostante la sua sensibilità
venga duramente colpita dallo scenario che l’accoglie in terra balcanica, le
sue mille facce mantengono solidità. Manda regolari corrispondenze a Mediterraneo ma nel frattempo continua a curare le varie
rubriche.
Se Maria è così colpita da
ciò che vede in Jugoslavia, non si permette di esprimerlo attraverso le sue tante
personalità. Scrive il libro Olga a
Belgrado che però sarà stampato molto
dopo a causa di alcune vicissitudini della casa editrice.
Le mille Marie sono sempre
diverse, sempre graffianti nelle loro analisi della bigotta società borghese
che popola la prima metà del secolo, ma all’improvviso tutto crolla.
Con la caduta del fascismo
e la latitanza del marito Irene si trova per la prima volta in difficoltà.
Con l’Italia a pezzi,
sembra che lo stesso destino spetti alla vita, prima quasi perfetta di Maria,
ma non è così. Per sopperire alla mancanza di entrate raccoglie i suoi pezzi
migliori e pubblica il libro “Usi e costumi”, uno specchio fin troppo
realistico della vuota apparenza di cui si nutre la società borghese italiana
al seguito del mito americano, abbagliata dalla moda francese e dal pensiero
tedesco.
Uno sfacelo di credenze,
mode e abitudini che via via degradano verso l’umiliante condizione di
spaesamento che ad ogni argomento pare più evidente.
Questo periodo buio è
trattato con una lentezza esasperante, come se il pantano in cui è precipitata
la vita scintillante di Maria, impregni anche il lettore, almeno finchè non si
arriva al 1945, anno in cui lei e il marito investono i pochi risparmi che
hanno per aprire una galleria d’arte: L’Obelisco, che sarà il varco attraverso
cui l’Italia lascia entrare un po’ di cultura dal resto del mondo.
Nei primi tempi Maria
sembra quasi lasciarsi andare, si fa da parte, lascia le redini della gestione
al marito che opera in maniera esemplare la campagna pubblicitaria della
galleria.
Qui Maria inizia nuovamente
a scrivere, con una consapevolezza di sé differente, mantenendo il suo stile,
perseverando nell’analisi della società nella sua rubrica su Settimana Icom Illustrata.
Scrive sotto lo pseudonimo
di Contessa Clara, di cui, nel tempo inventa la storia. Ed eccola di nuovo,
Maria, sotto falso nome, nelle finte spoglie di una vecchia vissuta. Il suo
successo è innegabile. Le conquiste negli anni a venire sono numerose ma resta
comunque grigia l’atmosfera con cui è
chiusa la storia di questa grande, grandissima giornalista.
Maria, che muore a 57 anni
mentre ancora è impegnata con l’Obelisco e con le sue rubriche. Maria Irene
Brin, Maria, Contessa Clara, Maria Geraldina Tron, Maria più amica che moglie
di suo marito, Maria mancata mamma…
Ecco i mille volti che
hanno coperto il solo vero volto di Maria Vittoria Rossi, talmente tanto presa
dal suo trasformismo da scordare di mostrare al mondo quello reale.
Una sola Irene Brin,
nessuna Maria Vittoria Rossi, centomila maschere.
Marta Gaggero
Claudia Fusani
Mille Mariù. Vita di Irene Brin
Roma, Catelvecchi Editore, 2012, 288 pp.
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