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29 ottobre 2014
Ti gusta la notizia?
La notizia come un prodotto. Scelta e confezionata su misura, in base ai gusti personali, come un gelato. Sarebbe questo il futuro del giornalismo? Si, secondo quanto scrive Chiara Daina a p. 23 de "Il Fatto Quotidiano" di martedì 28 ottobre 2014 nell’articolo “Il futuro del giornalismo? Su Facebook e Youtube”. L’informazione diventa così strumento propagandistico. Quello che conta di più è l’indice di gradimento della notizia, la sua popolarità, la sua volontaria “volgarizzazione” pur di rimanere compresa tra le prime dieci news visibili su Google o sui social network.
La realtà non è descritta ma pubblicizzata. L’informazione non è divulgata ma mirata.
L’ideologia del consumo, di un certo giornalismo, ricerca nella notizia una merce “visibile e vendibile”, esattamente come se si trattasse di un pacco di pasta o di carta igienica. Così i produttori di notizie, i giornalisti, diventano produttori di mercati.
Si cerca di capire cosa piace al pubblico, alla massa, si confeziona una notizia con un bel packaging, si pubblicizza come negli spot e si vende sul web o sui quotidiani. Il lavoro del giornalista assomiglia più a quello del copywriter in un’agenzia di pubblicità. Il servizio offerto non è più pubblico ma per il pubblico e per l’emittente pubblicitaria di turno. La differenza è sostanziale.
La notizia stessa si compera, assieme alla pubblicità con cui ci viene venduta. L’informazione è costituita alla fine dalla somma di piccoli spot, da programmare dal mattino alla sera per indicizzare quanti like la notizia ha ottenuto. Non è necessario fare grandi riflessioni o approfondimenti, tutto viene predisposto per noi con anticipo.
Questo genere di informazione ha un fine decisamente semplice: basta vendere la notizia. E il pubblico? Decisamente compra, rimanendo stupido quanto basta per rinunciare a capire.
Anna Scavuzzo
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27 ottobre 2014
Non strappare quell’erba
Tu terrorista, che sei tra noi.
Tu che siedi comodamente dietro le scrivanie del potere pianificando la prossima “azione”. I tuoi figli vanno al college e alla sera brindi coi capi di stato.
Tu che mescoli l’arroganza e la prepotenza con l’inganno e l’odio per la guerra.
Tu che ti presenti tutto patinato nei talk-show, ma non hai il coraggio di dire la verità. Tu che non credi, ma commissioni genocidi in nome di un falso dio, sfruttando la povertà e l’ignoranza dei popoli. Ti servi di eserciti di esaltati e disperati e sei a tua volta servo della stessa depravazione. Tu che dall’alto del tuo grattacielo vedi bene l’inutilità dell’odio per la vita che rappresenti, ma lo stesso inventi guerre e nemici da abbattere per giustificare sfruttamento e invasioni.
Tu, terrorista, guardaci negli occhi. E facci vedere i tuoi.
Abbi il coraggio di mostrare la tua vera bandiera, la faccia della tua vigliaccheria.
Noi non abbiamo paura.
Noi siamo uomini e donne che ogni giorno conoscono la fatica di un lavoro onesto, della tolleranza verso chi crede a un dio con un nome diverso, del rispetto verso le altre culture, della dignità nella sofferenza e nella morte.
Noi siamo quei giovani che non si arrendono alla tua violenza.
Noi seminiamo erba di speranza e amore per la vita.
Cerchiamo giustizia per gli occhi di Reyhaneh Jabbari, iraniana di 26 anni impiccata perché si è difesa dal tentativo di stupro di un impiegato dei servizi segreti iraniani. Vogliamo una seconda vita in risarcimento di quella crudelmente stroncata per tutti quegli uomini decapitati dall’Isis e per tutte quelle donne violentate nelle guerre del pianeta. Chiediamo giustizia per le città di bambini rapiti, venduti o uccisi dal fanatismo islamico o dai narcotrafficanti.
Ascolta, terrorista, le urla degli uomini torturati e delle donne stuprate e dei bambini venduti. Non senti la valanga di vergogna che incombe sulla tua coscienza?
Tu non conosci la grande dignità di questa gente che hai fatto morire. Morti da eroi. Morti per noi. Le loro urla strazianti fanno eco in tutto il mondo. Saranno il nostro inno per riconquistare l’amore per la vita e la pace.
Tu, terrorista, che non hai sangue nelle vene, ma solo veleno. Davvero pensi di annientare la volontà di popoli e nazioni diffondendo il terrore?
Te lo ripeto. Noi non abbiamo paura. Perché tu non sei niente. Sei solo un fantasma cieco, assetato di soldi e dominio, imbrattato di vergogne. Una bandiera senza colore, un potere inventato. Noi giovani sappiamo come distruggere la violenta arroganza dei tuoi discorsi e il puzzo fetido dei tuoi orrori.
Noi siamo fili d’erba e cresceremo ovunque. Anche tra le bombe di Kobane, anche tra gli spari di Ottawa. Un filo d’erba lo puoi trovare sulla tomba di Maria de Rosario, morta in Messico per aver denunciato con un tweet i narcos. Ciuffi d’erba spuntano tra il fango dei vicoli di Genova alluvionata, tra le braccia solidali di tanti ragazzi o in America nel campus dove Emma Sulkowiez porta con sé il peso di quel materasso dove ha subito violenza. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Perché loro, tutti, sono morti per noi. Per non cedere di fronte ai fili spinati dell’egoismo, ai labirinti delle assurde ambizioni, alle sconfinate ipocrisie date in pasto ai media. Noi sappiamo quanto può essere ipocrita anche la lacrima o il fiore che gettiamo sulla terra dove affogano i cadaveri in fosse comuni. Siamo specialisti nel seppellire in fretta ciò che ci disturba e brucia, ostentando corone di dolore.
Sanno d’erba le preghiere di Papa Francesco e l’abnegazione di medici e infermieri che curano i malati di Ebola. Qua e là si aprono crepe nella roccia dura dell’indifferenza. E in quelle crepe nascono spontanei fili d’erba oscillanti nel vento di una nuova resistenza.
Quella di noi giovani che useremo parole invece dei coltelli, lanceremo cortei al posto delle bombe, parleremo di dialogo anziché di guerra. E tu, terrorista, che vivi camuffato nella nostra quotidianità, sappi che non potrai mai strappare quell’erba. Spunterà in ogni luogo liberando la paura del mondo dall’orrore, recuperando l’innocenza dei pensieri, cavalcando l’intelligenza dei sentimenti. Noi prendiamo dolcemente sulle spalle il peso di tutti questi morti e li portiamo alti nella nostra notte e nelle nostre tempeste. Saranno loro a bucare d’azzurro il nostro cielo. E tu, terrorista, sei già morto. Vedrai, anche il tuo falso dio capirà.
Tu che siedi comodamente dietro le scrivanie del potere pianificando la prossima “azione”. I tuoi figli vanno al college e alla sera brindi coi capi di stato.
Tu che mescoli l’arroganza e la prepotenza con l’inganno e l’odio per la guerra.
Tu che ti presenti tutto patinato nei talk-show, ma non hai il coraggio di dire la verità. Tu che non credi, ma commissioni genocidi in nome di un falso dio, sfruttando la povertà e l’ignoranza dei popoli. Ti servi di eserciti di esaltati e disperati e sei a tua volta servo della stessa depravazione. Tu che dall’alto del tuo grattacielo vedi bene l’inutilità dell’odio per la vita che rappresenti, ma lo stesso inventi guerre e nemici da abbattere per giustificare sfruttamento e invasioni.
Tu, terrorista, guardaci negli occhi. E facci vedere i tuoi.
Abbi il coraggio di mostrare la tua vera bandiera, la faccia della tua vigliaccheria.
Noi non abbiamo paura.
Noi siamo uomini e donne che ogni giorno conoscono la fatica di un lavoro onesto, della tolleranza verso chi crede a un dio con un nome diverso, del rispetto verso le altre culture, della dignità nella sofferenza e nella morte.
Noi siamo quei giovani che non si arrendono alla tua violenza.
Noi seminiamo erba di speranza e amore per la vita.
Cerchiamo giustizia per gli occhi di Reyhaneh Jabbari, iraniana di 26 anni impiccata perché si è difesa dal tentativo di stupro di un impiegato dei servizi segreti iraniani. Vogliamo una seconda vita in risarcimento di quella crudelmente stroncata per tutti quegli uomini decapitati dall’Isis e per tutte quelle donne violentate nelle guerre del pianeta. Chiediamo giustizia per le città di bambini rapiti, venduti o uccisi dal fanatismo islamico o dai narcotrafficanti.
Ascolta, terrorista, le urla degli uomini torturati e delle donne stuprate e dei bambini venduti. Non senti la valanga di vergogna che incombe sulla tua coscienza?
Tu non conosci la grande dignità di questa gente che hai fatto morire. Morti da eroi. Morti per noi. Le loro urla strazianti fanno eco in tutto il mondo. Saranno il nostro inno per riconquistare l’amore per la vita e la pace.
Tu, terrorista, che non hai sangue nelle vene, ma solo veleno. Davvero pensi di annientare la volontà di popoli e nazioni diffondendo il terrore?
Te lo ripeto. Noi non abbiamo paura. Perché tu non sei niente. Sei solo un fantasma cieco, assetato di soldi e dominio, imbrattato di vergogne. Una bandiera senza colore, un potere inventato. Noi giovani sappiamo come distruggere la violenta arroganza dei tuoi discorsi e il puzzo fetido dei tuoi orrori.
Noi siamo fili d’erba e cresceremo ovunque. Anche tra le bombe di Kobane, anche tra gli spari di Ottawa. Un filo d’erba lo puoi trovare sulla tomba di Maria de Rosario, morta in Messico per aver denunciato con un tweet i narcos. Ciuffi d’erba spuntano tra il fango dei vicoli di Genova alluvionata, tra le braccia solidali di tanti ragazzi o in America nel campus dove Emma Sulkowiez porta con sé il peso di quel materasso dove ha subito violenza. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
Perché loro, tutti, sono morti per noi. Per non cedere di fronte ai fili spinati dell’egoismo, ai labirinti delle assurde ambizioni, alle sconfinate ipocrisie date in pasto ai media. Noi sappiamo quanto può essere ipocrita anche la lacrima o il fiore che gettiamo sulla terra dove affogano i cadaveri in fosse comuni. Siamo specialisti nel seppellire in fretta ciò che ci disturba e brucia, ostentando corone di dolore.
Sanno d’erba le preghiere di Papa Francesco e l’abnegazione di medici e infermieri che curano i malati di Ebola. Qua e là si aprono crepe nella roccia dura dell’indifferenza. E in quelle crepe nascono spontanei fili d’erba oscillanti nel vento di una nuova resistenza.
Quella di noi giovani che useremo parole invece dei coltelli, lanceremo cortei al posto delle bombe, parleremo di dialogo anziché di guerra. E tu, terrorista, che vivi camuffato nella nostra quotidianità, sappi che non potrai mai strappare quell’erba. Spunterà in ogni luogo liberando la paura del mondo dall’orrore, recuperando l’innocenza dei pensieri, cavalcando l’intelligenza dei sentimenti. Noi prendiamo dolcemente sulle spalle il peso di tutti questi morti e li portiamo alti nella nostra notte e nelle nostre tempeste. Saranno loro a bucare d’azzurro il nostro cielo. E tu, terrorista, sei già morto. Vedrai, anche il tuo falso dio capirà.
Anna Scavuzzo
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23 ottobre 2014
In libreria
Pier Luigi Vercesi
Ne ammazza più la penna.
Ne ammazza più la penna.
Storie d'Italia vissute nelle redazioni dei giornali
Palermo, Sellerio, 2014, pp. 384.
disponibile anche in formato ebook.
Descrizione
Ne ammazza più la penna è la storia dei giornalisti italiani dai tempi della caduta di Napoleone – e precisamente dal primo possibile scoop, il misero fallimento dell’impresa di Gioacchino Murat fermato dalla plebe calabrese nel 1814 mentre tentava di tornare sul trono di Napoli – fino agli anni Sessanta del Novecento. Storia di giornalisti, più che del giornalismo, da Ugo Foscolo (messo a libro paga dagli austriaci) alla rivoluzione editoriale di Enrico Mattei. Giornalisti avventurieri, giornalisti scandalosi, giornalisti venduti e comprati, giornalisti eroici, di svelatori di luminose verità o occultatori di vergogne nazionali: dai grandi ai meno noti, ognuno con la precisa cifra della propria personalità. Mentre le loro carriere si adeguano alle innovazioni tecnologiche, politiche, culturali, sociali e finanziarie del mondo che cambia, sullo sfondo della vita in redazione scorre la storia d’Italia nei suoi momenti cruciali, colti nella realtà quotidiana. Così il rapporto tra i due versanti del racconto – i giornalisti e la storia d’Italia – è tessuto in modo tale che i giornalisti sembrano quello che in realtà furono: l’ombra della storia d’Italia, il suo lato meno noto, ma parte integrante, e a volte determinante, dell’intero. Patriottismi e scandali, ideali e corruzione, coraggio innovativo e conflitti d’interesse, servitù culturale e ardimento d’avanguardia, fanno da refrain a un racconto che diventa, pagina dopo pagina, una storia culturale minuziosissima di notizie, fatti e aneddoti. Questo libro riesce a riflettere, come uno specchio, il carattere nazionale nella minuta vicenda di ascese e cadute personali, con la concertazione vera e piacevole di una commedia di costume.
Pier Luigi Vercesi, da trent’anni giornalista in numerose testate, tra cui La Stampa e il Corriere della Sera, attualmente è direttore di Sette, il settimanale del quotidiano di via Solferino. È autore di alcuni saggi di storia del giornalismo, tra cui una Storia del giornalismo americano, e ha insegnato Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico presso la facoltà di Lettere dell’Università degli studi di Parma.
Pier Luigi Vercesi, da trent’anni giornalista in numerose testate, tra cui La Stampa e il Corriere della Sera, attualmente è direttore di Sette, il settimanale del quotidiano di via Solferino. È autore di alcuni saggi di storia del giornalismo, tra cui una Storia del giornalismo americano, e ha insegnato Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico presso la facoltà di Lettere dell’Università degli studi di Parma.
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19 ottobre 2014
Comunicare l'azienda
Lunedì 20 ottobre, alle ore 15,
nell’Aula 5 di Via Balbi 2, nell’ambito del corso di Storia della lingua
italiana per il Corso di Laurea Magistrale Interdipartimentale in Informazione
ed Editoria, curriculum Giornalismo culturale ed editoria,
Simona
FINESSI
amministratore delegato di Publicomm, communication e PR manager
dell’Associazione Design Industriale, terrà una conversazione sul tema: Comunicare l’azienda. Marketing, pubblicità,
design. Studenti e colleghi sono cordialmente invitati.
Il titolare del corso
Prof. Lorenzo Coveri
17 ottobre 2014
Il diritto diventa virtuale
L’evoluzione dei media costringe la nostra società a confondere il reale con l’immaginario.
Reale è la partecipazione del presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha istituito una commissione ad hoc per realizzare una prima bozza della Carta della Rete, una sorta di “Costituzione del web”. Così come reale è l’evidenza, posta dalla stessa Boldrini, su come i diritti sociali possano meritare l’attenzione della UE esattamente come il pareggio di bilancio.
Difendere i diritti umani sembra un’ovvietà. Ma se le istituzioni si mobilitano per regolamentare Internet, vuol dire che l’ovvietà è mutata in qualcosa di più importante. Forse troppo importante. Essere connessi è vitale come essere collegati al cordone ombelicale del mondo. Essere sconnessi è mortale come essere seppelliti nel mondo.
L’identità e le relazioni si sono trasferite dalla televisione alla rete internet, spostando il baricentro del potere e del diritto all’interno della connessione digitale. Tutto ciò è reale e quasi ovvio. Meno reale e banale è pensare che le istituzioni, nel contesto di un mondo dove il bene più esportato sembra essere la democrazia, si dimentichino dei diritti di quelle categorie di persone che la rete non la possono usare perché lasciate ai margini della società come i poveri, o gli anziani, considerati ormai di troppo, o come i “diversi”, evitati in quanto difficili da manovrare. Senza tralasciare gli immigrati, i diseredati, i disoccupati o gli esodati, ecc… Tutte quelle categorie di persone prive di spazio e voce.
Sorge il sospetto che il “pensiero debole” di questi ultimi anni sia improvvisamente diventato “forte” solo colonizzando l’universo del web. O forse che la Rete sia magicamente in grado di purificare le coscienze che nella vita reale rimangono insudiciate da bugie e scandalose defezioni. Una sorta di grande lavatrice dove centrifughiamo ogni vergogna e viltà, dove prevale lo smarrimento davanti a un oceano di parole e di visioni che confondono e, strategicamente, distraggono. Così, la certificazione della nostra esistenza deve passare per forza dalla paura di non essere presenti in tale mondo virtuale poiché si potrebbe correre il rischio di essere dimenticati. Ma a ricordarci che contiamo qualcosa ora ci pensa il Governo con la nuova Carta di Internet presentata alla Camera in formato “bozza”, in attesa di essere sottoposta all’attenzione popolare dal prossimo 27 ottobre. Parteciperemo entusiasti a questo nuovo “gioco” per ridefinire il rapporto tra pubblico e privato e, forse, vinceremo anche un premio inatteso: la partecipazione al processo democratico del controllo sociale. Finalmente anche a Roma si sono accorti che, oggi, il consenso si crea utilizzando la Rete. (Ne hanno scritto tutti i principali quotidiani: dal “Corriere della Sera” a “Repubblica” al “Sole 24ore” del 14 ottobre 2014).
Nella Carta si parla di “diritto d’identità”, di “diritto di accesso”, di “diritto all’educazione”, persino di “diritto all’oblio”. E ancora di sicurezza, di anonimato, di parità e soprattutto di libertà. Sembra di essere ai tempi della Rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité.
Peccato che, nella vita reale, quegli stessi diritti, ogni giorno, vengano regolarmente disattesi, violati, ignorati proprio da quelle stesse istituzioni.
Essere una società civile, evoluta e democratica, a quanto pare, consente di possedere una doppia identità. Una virtuale, carica di simboli e valori, che sta cercando di creare delle regole per definire il suo caos. L’altra, quella reale, che al caos ormai si è abituata e ha trovato pure il modo di farlo sembrare un grande passo verso la democrazia.
Reale è la partecipazione del presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha istituito una commissione ad hoc per realizzare una prima bozza della Carta della Rete, una sorta di “Costituzione del web”. Così come reale è l’evidenza, posta dalla stessa Boldrini, su come i diritti sociali possano meritare l’attenzione della UE esattamente come il pareggio di bilancio.
Difendere i diritti umani sembra un’ovvietà. Ma se le istituzioni si mobilitano per regolamentare Internet, vuol dire che l’ovvietà è mutata in qualcosa di più importante. Forse troppo importante. Essere connessi è vitale come essere collegati al cordone ombelicale del mondo. Essere sconnessi è mortale come essere seppelliti nel mondo.
L’identità e le relazioni si sono trasferite dalla televisione alla rete internet, spostando il baricentro del potere e del diritto all’interno della connessione digitale. Tutto ciò è reale e quasi ovvio. Meno reale e banale è pensare che le istituzioni, nel contesto di un mondo dove il bene più esportato sembra essere la democrazia, si dimentichino dei diritti di quelle categorie di persone che la rete non la possono usare perché lasciate ai margini della società come i poveri, o gli anziani, considerati ormai di troppo, o come i “diversi”, evitati in quanto difficili da manovrare. Senza tralasciare gli immigrati, i diseredati, i disoccupati o gli esodati, ecc… Tutte quelle categorie di persone prive di spazio e voce.
Sorge il sospetto che il “pensiero debole” di questi ultimi anni sia improvvisamente diventato “forte” solo colonizzando l’universo del web. O forse che la Rete sia magicamente in grado di purificare le coscienze che nella vita reale rimangono insudiciate da bugie e scandalose defezioni. Una sorta di grande lavatrice dove centrifughiamo ogni vergogna e viltà, dove prevale lo smarrimento davanti a un oceano di parole e di visioni che confondono e, strategicamente, distraggono. Così, la certificazione della nostra esistenza deve passare per forza dalla paura di non essere presenti in tale mondo virtuale poiché si potrebbe correre il rischio di essere dimenticati. Ma a ricordarci che contiamo qualcosa ora ci pensa il Governo con la nuova Carta di Internet presentata alla Camera in formato “bozza”, in attesa di essere sottoposta all’attenzione popolare dal prossimo 27 ottobre. Parteciperemo entusiasti a questo nuovo “gioco” per ridefinire il rapporto tra pubblico e privato e, forse, vinceremo anche un premio inatteso: la partecipazione al processo democratico del controllo sociale. Finalmente anche a Roma si sono accorti che, oggi, il consenso si crea utilizzando la Rete. (Ne hanno scritto tutti i principali quotidiani: dal “Corriere della Sera” a “Repubblica” al “Sole 24ore” del 14 ottobre 2014).
Nella Carta si parla di “diritto d’identità”, di “diritto di accesso”, di “diritto all’educazione”, persino di “diritto all’oblio”. E ancora di sicurezza, di anonimato, di parità e soprattutto di libertà. Sembra di essere ai tempi della Rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité.
Peccato che, nella vita reale, quegli stessi diritti, ogni giorno, vengano regolarmente disattesi, violati, ignorati proprio da quelle stesse istituzioni.
Essere una società civile, evoluta e democratica, a quanto pare, consente di possedere una doppia identità. Una virtuale, carica di simboli e valori, che sta cercando di creare delle regole per definire il suo caos. L’altra, quella reale, che al caos ormai si è abituata e ha trovato pure il modo di farlo sembrare un grande passo verso la democrazia.
Anna Scavuzzo
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14 ottobre 2014
Genova in libreria
Marco Fantasia
Una storia sorridente
La RAI di Genova raccontata dalle origini
Chiavari, Internòs edizioni, 2014, 112 pp.
Descrizione
Una storia sorridente
La RAI di Genova raccontata dalle origini
Chiavari, Internòs edizioni, 2014, 112 pp.
Descrizione
Fu l'annunciatrice Lea Landi a coniare l'espressione "una storia sorridente" per descrivere la sua esperienza a Radio Genova, quella che sarebbe poi diventata la sede regionale Rai per la Liguria. Furono sorrisi soprattutto all'inizio, quando l'aspetto pionieristico dominava su qualunque difficoltà. E parliamo di difficoltà non da poco, nella Genova che usciva dalla guerra e che proprio attraverso le frequenze della "sua" radio apprese dell'avvenuta liberazione, grazie agli impianti sottratti alla guerra dall'eroico Franco Tommasino. Una storia che finalmente viene alla luce (certamente incompleta, certamente da arricchire ancora) grazie ai ricordi e ai documenti di Cesare Viazzi, che per tanti anni cruciali fu giornalista, caporedattore e infine direttore della sede. Dalle prime trasmissioni solo radiofoniche all'avvento della tv, da Marzari a Provenzali, dal teatro radiofonico ai telegiornali di oggi, il libro prova a raccontare, senza pretese di esaustività, piccole e grandi storie dei tanti personaggi che hanno fuso la loro vita con quella della sede.
Marco Fantasia è nato a Genova. Dopo una solida formazione nell'emittenza locale genovese, mette piede per la prima volta alla Rai di Genova con un contratto di due mesi ed arriva all'assunzione definitiva dopo undici anni di precariato. È stato conduttore del tg regionale e dell'edizione ligure di Buongiorno Regione. Dal 2012 lavora nella redazione di Milano di RaiSport, prevalentemente come telecronista e conduttore dei notiziari.
Marco Fantasia è nato a Genova. Dopo una solida formazione nell'emittenza locale genovese, mette piede per la prima volta alla Rai di Genova con un contratto di due mesi ed arriva all'assunzione definitiva dopo undici anni di precariato. È stato conduttore del tg regionale e dell'edizione ligure di Buongiorno Regione. Dal 2012 lavora nella redazione di Milano di RaiSport, prevalentemente come telecronista e conduttore dei notiziari.
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12 ottobre 2014
In libreria
Giuseppe Ghigi
Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, pp. 262.
disponibile anche in ebook
Descrizione
In cent’anni sono stati prodotti un migliaio di film sulla Prima guerra mondiale che hanno contribuito a costruire il visibile dell’immane tragedia. Pur in diverse modalità e funzioni, il cinema ha determinato figure stabili, simbologie, cliché, diventati nel tempo parte dell’immaginario bellico. Il volume li ripercorre mettendoli in relazione all’arte, alla letteratura, alle storiografie, ai sistemi politici, culturali, e ai valori del tempo in cui sono stati creati, perché ogni film è figlio di una memoria, contribuisce a crearla, ed è la “cenere” del presente e del passato.
Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, pp. 262.
disponibile anche in ebook
Descrizione
In cent’anni sono stati prodotti un migliaio di film sulla Prima guerra mondiale che hanno contribuito a costruire il visibile dell’immane tragedia. Pur in diverse modalità e funzioni, il cinema ha determinato figure stabili, simbologie, cliché, diventati nel tempo parte dell’immaginario bellico. Il volume li ripercorre mettendoli in relazione all’arte, alla letteratura, alle storiografie, ai sistemi politici, culturali, e ai valori del tempo in cui sono stati creati, perché ogni film è figlio di una memoria, contribuisce a crearla, ed è la “cenere” del presente e del passato.
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10 ottobre 2014
In libreria
Vittorio Roidi
Piccolo manuale del giornalismo. Che cos'è, come si fa
Roma-Bari, Laterza, 2014
anche in formato ebook
Descrizione
«Abbiamo bisogno di notizie, come dell'acqua e del cibo. Il commercio di queste informazioni deve rispondere ai bisogni della collettività, ma in quale misura la libertà e l'indipendenza dei media – requisito primo del giornalismo – possono essere accompagnate da precetti e regole di comportamento?» In questo volume, Vittorio Roidi si propone di ‘insegnare' al lettore non solo ‘che cos'è', ma anche ‘come si fa' il giornalismo, stilando un piccolo manuale in cui racconta la storia, le pratiche e i segreti di una professione in continua evoluzione.
Indice: Introduzione - Parte prima La teoria- 1. Natura ed evoluzione del giornalismo – 2. Il sistema giuridico – 3. Professionalità e organizzazione – 4. L’etica, la deontologia, l’autonomia - Parte seconda La pratica- 5. Il giornale di carta – 6. L’informazione radiofonica – 7. Potere e pericoli della televisione – 8. L’affermazione del web - Bibliografia - Piccolo glossario del giornalismo - Indice degli argomenti.
Piccolo manuale del giornalismo. Che cos'è, come si fa
Roma-Bari, Laterza, 2014
anche in formato ebook
Descrizione
«Abbiamo bisogno di notizie, come dell'acqua e del cibo. Il commercio di queste informazioni deve rispondere ai bisogni della collettività, ma in quale misura la libertà e l'indipendenza dei media – requisito primo del giornalismo – possono essere accompagnate da precetti e regole di comportamento?» In questo volume, Vittorio Roidi si propone di ‘insegnare' al lettore non solo ‘che cos'è', ma anche ‘come si fa' il giornalismo, stilando un piccolo manuale in cui racconta la storia, le pratiche e i segreti di una professione in continua evoluzione.
Indice: Introduzione - Parte prima La teoria- 1. Natura ed evoluzione del giornalismo – 2. Il sistema giuridico – 3. Professionalità e organizzazione – 4. L’etica, la deontologia, l’autonomia - Parte seconda La pratica- 5. Il giornale di carta – 6. L’informazione radiofonica – 7. Potere e pericoli della televisione – 8. L’affermazione del web - Bibliografia - Piccolo glossario del giornalismo - Indice degli argomenti.
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09 ottobre 2014
In libreria
Roberto Casati
Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere
Roma-Bari, Laterza, 2014, 144 pp.
disponibile anche in ebook
Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere
Roma-Bari, Laterza, 2014, 144 pp.
disponibile anche in ebook
Descrizione
Roberto Casati non è affatto contro le tecnologie digitali. Piuttosto, è per una resistenza della scuola alle nuove tecnologie distraenti: una scuola che
faccia valere l’immenso vantaggio, anche grazie alle sue inerzie, di essere uno spazio protetto in cui lo zapping è vietato per definizione. E che riesca così a incubare il vero cambiamento, cioè lo sviluppo morale e intellettuale delle persone. Paolo Di Stefano, “Corriere della Sera” Più che un attacco al libro elettronico il saggio di Casati è una accorata difesa della scuola e della lettura dei libri, dei tempi lenti, di uno spazio protetto dalla continua distrazione che ci consegna l’incessante innovazione tecnologica. Al contrario del tablet, il libro di carta è insostituibile dal punto di vista cognitivo, perché protegge la nostra risorsa mentale più preziosa: l’attenzione.
Roberto Casati non è affatto contro le tecnologie digitali. Piuttosto, è per una resistenza della scuola alle nuove tecnologie distraenti: una scuola che
faccia valere l’immenso vantaggio, anche grazie alle sue inerzie, di essere uno spazio protetto in cui lo zapping è vietato per definizione. E che riesca così a incubare il vero cambiamento, cioè lo sviluppo morale e intellettuale delle persone. Paolo Di Stefano, “Corriere della Sera” Più che un attacco al libro elettronico il saggio di Casati è una accorata difesa della scuola e della lettura dei libri, dei tempi lenti, di uno spazio protetto dalla continua distrazione che ci consegna l’incessante innovazione tecnologica. Al contrario del tablet, il libro di carta è insostituibile dal punto di vista cognitivo, perché protegge la nostra risorsa mentale più preziosa: l’attenzione.
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04 ottobre 2014
Frida Khalo e Diego Rivera: una mostra bella e rivoluzionaria
Diego e Frida 1934 (Martin Munkacsi) |
Un braccio teso muove il pennello, posa il colore sulla tela bianca, gli occhi guardano lo specchio: ecco il volto, lo sguardo, ricambiato, restituito, faccia a faccia, è qui, adesso, speculare, nella stanza, insieme con il suo reale impalpabile. Tutto il resto del mondo è svanito.
I colori esistono nella loro purità, con essi il ritratto danza, grida, cerca. Deve pur esserci un'altra esistenza. La fatica che pare spingersi sull'orlo di un precipizio non è per riprodurre l'originale ma atomi, atomi con i colori dell'iride. Il mondo è fatto di atomi per la sfera dell'esistere, e questo Frida lo sapeva.
Frida Khalo |
Ospedali, il tormento del dolore. La colonna legata da una placca di metallo lunga 15 cm. La gamba le si accorcia e si rende necessario livellare la scarpa. Anche il busto sarà in acciaio e senza quel sostegno, non sopportabile, non si regge in piedi.
Frida Khalo sapeva dipingere e sapeva pensare. Può essere che Diego non resistette alla pennellata correttiva sul lavoro di Frida, ma furono gesti di tenerezza e come tali la sposa li accettò, ancora per amore. Ne poteva fare a meno, non aggiungeranno null'altro che amore sulle tele di Frida.
Il suo curriculum artistico è la sua cartella clinica. Qui si capisce che il confronto con certi celebrati colleghi del tempo, Diego incluso, non regge. Non fosse altro, con rispetto parlando, perché posare il loro deretano davanti al cavalletto e produrre, produrre, come il mercato impone, era del tutto naturale. Per Frida no. Ogni atto era accompagnato da una disperata speranza di farcela. Trascorrere lunghe e lunghe ore ad aggiustare nasi e bocche, ad avvicinare occhi, ad alzare orecchie, accademicamente, si intende, era come vincere i 100 metri a ostacoli.
Nel carrozzone dell'arte e delle mostre acclamate per la pubblica
visione, quella dedicata a Frida Khalo e a Diego Rivera, risulta
rivoluzionaria: è seria, è bella.Ideata da MondoMostre Skira insieme a Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, per il Comune di Genova. La curatrice Helga Prignitz-Poda, la pronipote di Frida, Cristina Khalo, la figlia di Diego, Guadalupe Riverae il nipote Juan Coronel Rivera, autorità messicane hanno voluto accompagnare Frida e Diego, artisti, immensi, sino a Genova, portarci i loro atomi con i colori dell'iride, esposti sino all'otto febbraio 2015. Sono innumerevoli i capolavori, i dipinti e i disegni, le fotografie. Tutto in mostra a Genova, nel medioevale Palazzo Ducale.
Francesco Pirella
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