Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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12 settembre 2015

In libreria

Rolando Minuti (a cura di) 
Il Web e gli studi storici. Guida critica all’uso della rete
Carocci, Roma, 2015, pp. 328.
Descrizione 
I profondi mutamenti determinati dallo sviluppo del web nella realtà culturale contemporanea hanno avuto molteplici e rilevanti implicazioni anche sul versante degli studi storici. Da ciò deriva una crescente esigenza di aggiornamento in merito all’informazione disponibile e alle possibilità offerte dalla rete, ma anche la necessità di una selezione e di un adeguato controllo, funzionali agli obiettivi della ricerca e della didattica storica. I contributi del volume – opera di autori che si sono distinti per la particolare attenzione dedicata al rapporto tra internet e ricerca storica sin dai primi tempi di affermazione del web sullo scenario culturale nazionale e internazionale – presentano un quadro ampio e approfondito di questa problematica, dalle biblioteche e gli archivi alle riviste elettroniche, ai vari ambiti cronologici che caratterizzano l’attuale partizione disciplinare degli studi storici, con l’intento di offrire una guida utile a un uso consapevole e accorto degli strumenti attualmente disponibili sul web
Indice
Introduzione di Rolando Minuti
1. Biblioteche e bibliografie online di Riccardo Ridi
Le biblioteche e Internet/Repertori di biblioteche e di cataloghi/Cataloghi e metacataloghi/Biblioteche, libri e periodici digitali/Open archive e open access/Bibliografie e indici di citazioni/La ricerca bibliografica online/Assistenza umana/Note
2. La ricerca archivistica sul web di Stefano Vitali
Una premessa metodologica/Mediazioni vecchie e nuove/I sistemi informativi archivistici/Dal sistema archivistico all’inventario/Consultare documenti in rete/Note
3. Le riviste digitali e la ricerca storica di Carlo Spagnolo
Cosa sono le riviste digitali e in cosa differiscono da quelle cartacee/Caratteristiche delle riviste digitali e loro modalità di citazione/Le riviste come strumenti per la ricerca digitale/Strumenti di raccolta e aggiornamento/Prospettive/Note
4. Il mondo antico di Alessandro Cristofori
Gli strumenti di orientamento e di consultazione/Le fonti/La bibliografia moderna/Note
5. Gli studi medievistici di Andrea Zorzi
Avviare la ricerca/Accedere alla documentazione/Accedere alle edizioni di fonti/Accedere agli studi/Accedere agli strumenti di consultazione/Note
6. Le risorse online per la storia moderna di Guido Abbattista
Le fonti primarie/Scritture della storia e disseminazione nella rete: il panorama delle fonti secondarie/Conclusioni/Note
7. Storia contemporanea digitale di Serge Noiret
Storia digitale e Storia con il digitale/Big data e “datificazione”: il web come fonte nell’era digitale/È possibile cercare la storia nella rete?/Note
Bibliografia 

09 settembre 2015

La verità del momento

La sensazione di aver viaggiato in un passato che è ancora presente. Il fascino di una scoperta annunciata, la passione per il giornalismo. Questo è, in sintesi, ciò che lascia la lettura de La verità del momento, la raccolta di reportages di Bernardo Valli a cura di Franco Contorbia. Una considerazione che non vuole essere semplice adulazione retorica, ma che, alla luce dei principi esposti nel libro, conferma l’impegno di un giornalista che ha vissuto il proprio lavoro.
[...] abbiamo attraversato il fiume con una barca a motore, risalendo la corrente che per settimane ha trascinato via centinaia di soldati uccisi [...] la sveglia la danno i mortai del Generale Gowon”
 Un passaggio scelto tra i tanti che ben rappresenta l’esperienza di Valli in quasi sessant’anni di carriera. Un cronista che non riprende i lanci delle agenzie, ma si cala nei crateri dei missili per raccontare meglio il nero della polvere.
Cinque continenti, quattro testate giornalistiche ("Il Giorno", il "Corriere della Sera", "La Stampa" e "la Repubblica”) centonovantatre pezzi e tante immagini da riuscire difficilmente a credere che un solo giornalista, in una sola carriera, abbia potuto vivere e raccontare tanti drammi e tante “verità”.
Verità che lo stesso Valli specifica non esistere in quanto concetto puro. In uno dei saggi introduttivi al volume, nel capitolo “sul mestiere del reporter”, il giornalista racconta di cronache immediate, sentite. Sono anche le sensazioni che costruiscono la verità del momento, un concetto del quale uno storico potrebbe sorridere, in quanto poco oggettivo, quasi ossimorico.
Bernardo Valli è però un giovane reporter che matura le proprie esperienze e il proprio senso di giudizio in un viaggio lungo ottantaquattro anni. Racconta una passione nata da bambino, un mestiere che si impara lavorando e sbagliando.
«Più volte - confessa Valli - ho raccolto immagini e testimonianze che mi avrebbero dovuto aprire gli occhi sul futuro imminente di Vietnam e Cambogia... il khmer rosso ci appariva un guerriero puro e invincibile... il mito del vietcong capace di umiliare una superpotenza ci ha abbagliato». Errori comuni, perché si è naturalmente portati a schierarsi con gli oppressi, ma quante volte questi diventano oppressori?
La verità del momento diventa un ossimoro, perché il concetto di vero è assoluto e oggettivo, mentre il momento è qualcosa di estremamente caduco. Tuttavia la verità del momento non si limita ad un gioco di parole, è una trappola dalla quale il giornalista deve imparare a guardarsi, ma dalla quale deve lasciarsi trasportare in quanto essenza stessa della cronaca.
Difficile non appassionarsi ad una filosofia come quella di Valli, ad un mestiere come quello del reporter.
Valli ricorda che l’errore del giornalista non è solo quello della partigianeria. Troppo spesso l’obiettivo della cronaca inquadra i dettagli più cruenti, tralasciando la cornice di vita quotidiana. Il suo giornalismo racconta di piccole bare bianche, di scuole e di mercati; ma anche di scontri sanguinosi. Passaggi malinconici si alternano a cronache veloci e incalzanti. Forse è questa la verità. Come un narratore esterno il reporter racconta la scena, vede la scena e non può che darne una visione, la sua.
Bernardo Valli non ha infatti la presunzione di interpretare acriticamente gli avvenimenti. Alla domanda di Daniel “tu fai «information ou opinion»?” egli risponde, quasi ingenuamente ma in modo onesto: “entrambi”. Consapevole della propria opinione, si sforza di elencare scrupolosamente i fatti. Valli lavora sul campo perché “Il grande giornalista che non sa le notizie può scrivere un bellissimo articolo, ma è come un chirurgo che muove elegantemente il bisturi e uccide il malato”
Elisa Romeo

Bernardo Valli
La verità del momento. Reportages (1956-2014)
Milano, Mondadori, 2014, XIV-1052 pp.


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07 settembre 2015

Oltre le barriere della censura

C'è un'alta letteratura che nasce e si sviluppa accanto a quella ufficiale: è quella del sottosuolo, cladestina, sotterranea, che per vedere la luce deve passare tra le mani di autori dissidenti, poeti maledetti e perseguitati dalle autorità. Questo fenomeno, diffuso in tutto il mondo, ma ancor più fortemente in Unione Sovietica, è noto con il nome di "samizdat". Questa tecnica, che vide la luce dopo la rivoluzione del 1917, si sviluppa soprattutto dopo la morte di Stalin, quando il popolo sovietico si risveglia dal lungo sonno della dittatura e pretende risposte e verità.
Proprio sulla questione delle pubblicazioni clandestine si basa il libro del russo Jurij Mal'cev, pubblicato nel 1976, anno in cui il samizdat era ancora largamente diffuso in Unione Sovietica. Il suo lavoro costituisce il primo studio sistematico della letteratura non ufficiale, che, dal Dottor Živago in poi, decide di manifestarsi oltre i canali ufficiali e libera dalle lame taglienti della censura sovietica. Mal'cev segue tutti gli sviluppi di quella che lui definisce "l'altra letteratura"; dal capolavoro di Boris Pasternak - che più che un libro rappresentò un "evento storico", un segno di vita dopo anni di silenzio della letteratura russa - a scrittori a lui contemporanei, come Georgij Vladimov, autore de Il fedele Ruslan.
La sua analisi è volta, soprattutto, a individuare le componenti estetiche e ideali di questa letteratura: l'influsso che ebbe il romanzo occidentale contemporaneo (Orwell, Sartre, Proust, Joyce, Kafka), il sentimento comune di indignazione e la ricerca della verità, causa principale della maggior parte delle pubblicazioni, prime tra tutte quelle di Solzenicyn. Capitolo dopo capitolo, Mal'cev si sofferma sulle opere dei singoli autori, alcuni dei quali conobbe di persona; accanto a nomi famosi in Occidente, come Solženicyn, Sinjavskij e Maksimov, l'autore accosta le storie di personaggi meno noti, come Grossman, Maramzin e moltissimi altri.
Artisti e personalità diverse unite dallo stesso desiderio di spezzare le catene, di liberarsi da un regime che logora nel profondo, che costringe a chiudere in un cassetto i manoscritti, così come gli ideali. Uomini arrestati, uccisi o creduti pazzi, uomini imprigionati in manicomi o in campi di concentramento. Uomini con la sola colpa di aver manifestato il proprio ideale. Ma non è forse questo il crimine più grande? Togliere a un uomo il proprio pensiero?
Chiara Tasso


Jurij Mal'cev
L'altra letteratura (1957-1976). 

La letteratura del samizdat da Pasternak a Solženicyn
Cooperativa editoriale "La Casa di Matriona", Milano, 1976, pp. 436.


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06 settembre 2015

Chiavi di lettura



“Stampa. Potentissima lente d'ingrandimento. Con l'aiuto di un "noi" e di un poco d'inchiostro trasforma lo squittio di un topolino nel ruggito di un leone editoriale, le cui dichiarazioni si presume la nazione segua con reverenza e fiato sospeso.
Ambrose Gwinnett Bierce

Settembre 2015. E' un bimbo di tre teneri anni, con una maglietta rossa e piedini avvolti in scarpine blu, l'immagine della Notizia più diffusa sulle prime pagine: quotidiani, web e tv lo rappresentano, con (o senza) l'immagine di morte che porta con sé. Aylan è morto per annegamento mentre la sua famiglia migrante cercava di  raggiungere Kos fuggendo dalle bombe di Bodrum. E' la sua fotografia che ha riattivato le coscienze europee sul problema immigrazione e ha creato nuove discussioni sulla diffusione da parte dei media di immagini crude e cruenti.
E' proprio alle “Immagini delle notizie” che sto dedicando la mia attenzione di lettrice, il libro di Andrea Pogliano, docente di media e rappresentazioni visuali all'Università del Piemonte Orientale, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Ricerca Sociale.
Tratta gli studi effettuati sul Newsmaking e sul fotogiornalismo, analizzando l'attività di fotografo e l'organizzazione prevista nelle redazioni per la scelta di immagini appropriate e interessanti. E anche la tipologia di  fotografia che ritrae il piccolo Aylan rientra nell'analisi: un'immagine forte e comunque evocatrice di emozioni, definibile foto-icona e dunque perfettamente oggetto di sensazionalismo. Pogliano discute sulla messa in pagina di tali immagini, collegando la scelta di pubblicazione alla politica di testata: volontà di sensazionalismo o di denuncia?
E' accurata l'analisi di quattro differenti testate giornalistiche osservate sotto vari punti di vista: “Manifesto”, “Le Figaro”, “Corriere della sera” e “Libération”; si studiano i passaggi che portano a scegliere immagini o a produrle per pubblicare una notizia o una foto-notizia.
Il testo è articolato in quattro capitoli e conclusioni; gli argomenti rispettivamente trattati sono il newsmaking, successivo al gatekeeping, spiegato con il contributo di ricerca di cinque autori che illustrano il processo di produzione giornalistica fondata su raccolta, selezione e presentazione; l'attenzione si sposta sull'etnografia della produzione, cioè sullo studio antropologico di comportamenti sociali attinenti alla produzione di immagini: regole condivise dai fotografi, banche dati e agenzie nazionali e internazionali. Nella seconda parte del libro l'attenzione è concentrata sull'organizzazione redazionale e sulle tecniche di diffusione. E' dunque un libro tecnico, quasi per professionisti, che tratta però realtà che coinvolgono ogni genere di lettore, di qualsiasi credo politico e provenienza geografica.
Studiare la scelta di pubblicare l'immagine di Aylan è procedimento tecnico, ma anche etico: “la selezione e messa i pagina di queste immagini può provocare critiche in tutte le direzioni: sia dall'Ordine dei giornalisti, sia dal pubblico, sia dagli altri giornali. I due concetti cardine delle critiche sono quello della gratuità (cioè dell'assenza di una necessità giornalistica) nel far vedere certe immagini, e quello ad esso comunque correlato di non aver tutelato la dignità delle persone coinvolte.”
Beatrice Cogorno

Andrea Pogliano 
Le immagini delle notizie. Sociologia del fotogiornalismo
Edizioni Unicopli, Milano, 2014, 197 pp.
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05 settembre 2015

C'era una volta il giornalista


C'era una volta la figura del giornalista. Egli era il solo adibito a raccogliere le notizie e a diffonderle tra la gente; ciò avveniva attraverso il quotidiano cartaceo, unico strumento deputato a soddisfare ogni giorno il desiderio di conoscenza del lettore. Se fino a pochi anni fa questo era il più significativo veicolo delle notizie, nell'era digitale le cose sono cambiate radicalmente. Oggi le informazioni viaggiano alla velocità della luce o, per meglio dire, di un click. La fruizione semplice, immediata, gratuita - oltre che costantemente aggiornata - delle notizie, che i giornali “nativi digitali” offrono, ha spinto anche i loro più prestigiosi “colleghi” cartacei a reinventarsi sul web.  Allo stesso modo, cambiamenti importanti hanno investito la figura del giornalista.
Tali questioni trovano posto nel saggio di Alessandro Gazoia, in arte jumpinshark. Egli prende in esame la situazione italiana, dedicando ogni capitolo a una tematica degna di nota e alle varie tipologie di quei “veicoli di informazione” cui si è fatto riferimento sopra. Trovano così spazio, nell'ordine: una panoramica generale sull'informazione online, come i giornali tradizionali abbiano saputo integrare la tradizione della carta alle nuove possibilità offerte dalla rete, i giornali nativi digitali, il caso dell'Huffington Post Italia e infine i servizi di informazione locale, prima di lasciar spazio alle conclusioni e ad alcune riflessioni personali. Nella sua analisi, Gazoia si sofferma molto sulle strategie organizzative e commerciali delle singole realtà editoriali trattate (e non potrebbe essere altrimenti, vista l'inevitabile natura lucrativa che caratterizza i giornali come qualunque altra impresa commerciale, e soprattutto quegli spazi pubblicitari dai quali la vita dei giornali così tanto dipende). Lo fa in maniera puntuale, approfondita, ma mai prolissa, corredando sovente la propria analisi con grafici utili a offrire una pratica visione d'insieme dell'argomento discusso, senza comunque rinunciare a un tocco personale. Allo stesso modo l'autore non evita di dispensare sottili (ma neanche troppo) allusioni di natura politica, disseminate qua e là nel testo...
In conclusione,  jumpinshark confeziona un'opera piacevole da leggere, che offre uno sguardo attento alle dinamiche relative all'odierna diffusione delle notizie nel nostro paese. Un'opera che, proprio in virtù delle tematiche trattate, inevitabilmente necessiterà presto di eventuali aggiornamenti e/o integrazioni. Decisamente appropriata la scelta di diffondere il testo nella sola edizione e-book. Impossibile non consigliarla a chi volesse approfondire le proprie conoscenze sull'argomento. 
Alessio De Ferrari

Alessandro Gazoia
Il web e l'arte della manutenzione della notizia. 
Il giornalismo digitale in Italia
Minimum Fax, Roma, 2013.

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04 settembre 2015

Il cinguettio dell’agorà digitale




“La comunicazione è l’essenza della diplomazia. Non è mai esistito un ottimo diplomatico, che fosse un pessimo comunicatore.”  
Monteagle Stearns



Diplomazia digitale, ovvero l’utilizzo da parte dei governi degli strumenti Web per promuovere i propri obiettivi strategici nel panorama internazionale. Il titolo del volume di Antonio Deruda potrebbe apparire in sé contraddittorio, o come lo definisce l’autore stesso caratterizzato da “inconciliabili differenze genetiche”: la diplomazia, simbolo di riservatezza e formalità, unita ad Internet, paradigma di comunicazione veloce e molto informale. Eppure rappresenta uno dei fenomeni mediatici più interessanti degli ultimi decenni. Il diplomatico mette da parte feluca e valigetta e si avvale sempre più dei social media, riscontrando una predilezione per Facebook e soprattutto Twitter. Quest’ultimo, considerato il “social network della democrazia”, consente un tipo di comunicazione rapido e senza filtri. Grazie alle nuove tecnologie viene a crearsi una connessione diretta con i cittadini.
Deruda assembla una serie di casi partendo dalla “Rivoluzione verde” iraniana del 2009, guidata dagli oppositori del regime di Ahmadinejad. Fu l’inizio della cosiddetta Twitter Revolution, culminata poi alla fine del 2010 con le prime sommosse della “Primavera araba”. E pensare che la nascita di questo social network nel marzo 2006 era stata accolta con profondo scetticismo. L’autore ha lavorato sei anni all’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia, occupandosi di relazioni con i media e approfondendo sul campo il fenomeno della diplomazia digitale. Da questo si evince la padronanza con cui riesce a dipanare il fil rouge che lega i dieci capitoli, una vera e propria letteratura della public diplomacy. Deruda lascia spazio anche a situazioni spiritose e irriverenti: protagonisti assoluti i diplomatici britannici, che spesso e sovente gettano Londra in un profondo imbarazzo. L’ambasciatore Hughes, il quale, volendo tracciare una descrizione della capitale della Corea del Nord Pyongyang, sembra raccontare di un nuovo Eden e non una dittatura opprimente. O Mrs Frances Guy, ambasciatrice di Her Majesty in Libano, che elogia in maniera commovente il defunto ayatollah Fadlallah, vicino ad Hezbollah, scatenando l’ira delle autorità israeliane.
Non solo ambasciatori, ma anche guru della digital diplomacy come Jared Cohen e Alec Ross, scelti personalmente dal Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, possono commettere clamorose gaffe. I due, durante un viaggio in Siria, furono protagonisti di uno scambio di tweet che contestavano in maniera scherzosa alcuni costumi locali.
Un manuale così minuziosamente scritto non poteva escludere la paradossale situazione della Repubblica popolare cinese. Alla forte censura mediatica interna (la parola d’ordine del governo è wangluo zhuquan, “sovranità della rete”) si contrappone una propaganda all’estero illusoria e curata nei minimi dettagli.
Molto interessante e a mio avviso efficace, la decisione di concludere il libro con cinque proposte relative alla diplomazia digitale italiana. L’autore sembra quasi voler simboleggiare il ritorno a casa con qualche consapevolezza in più dopo un lungo viaggio svoltosi nei nove capitoli precedenti. Vi è una critica non troppo celata nei confronti dei politici di casa nostra, avvezzi a utilizzare i 140 caratteri quasi esclusivamente durante i periodi elettorali. Un grave errore è dato dal fatto che utilizzino sempre e comunque la lingua italiana, e questo tende a rendere più difficoltosa la comprensione del messaggio da parte di un eventuale pubblico estero. Malgrado ciò l’italiano rimane una delle lingue più studiate al mondo. Questa grande passione dei cittadini stranieri per la nostra lingua, può favorire una campagna di comunicazione digitale a livello globale. Campagna di comunicazione digitale che erroneamente non è stata effettuata nel 2007, con l’approvazione della moratoria universale della pena di morte da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite , in seguito a una risoluzione proposta dal governo italiano. Un grande successo diplomatico per l’Italia, tuttavia quasi dimenticato. Non solo soft diplomacy come turismo, arte, moda e design: i presupposti affinché il nostro Paese possa ritagliarsi un ruolo predominante nel nuovo scacchiere geopolitico sono evidenti.
Il volume si propone quindi come utile guida per addetti ai lavori, portando i lettori dietro le quinte della “diplomazia 2.0”. Risalendo al 2012, il libro non dedica alcuna attenzione al “social network delle immagini” Instagram, che ha visto nel 2013 il proprio anno di consacrazione. Instagram può annoverare tra le iscritte la First Lady Michelle Obama, la regina Rania di Giordania e l’attivista pakistana Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace. La diplomazia digitale è strettamente legata alla diplomazia visuale, la quale sta percorrendo e portando avanti il percorso tracciato dalla televisione, rimarcando il contenuto comunicativo delle immagini. Un tema così attuale in questi giorni, dove le istantanee dell’esodo dei migranti dalla Siria e dal Nordafrica scorrono davanti ai nostri occhi, più assordanti di qualsiasi tweet.
Elena Oricelli


Antonio Deruda
Diplomazia digitale. La politica estera e i social media.
Apogeo, Milano, 2012 pp. 240.

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03 settembre 2015

Strumenti per lo studio dei media



Giuseppe Tipaldo, ricercatore e docente universitario di Sociologia dell’informazione e della comunicazione e di Metodi di analisi del contenuto presso l’Università di Torino, nel volume  L’analisi del contenuto e i mass media si propone di presentare l’influenza che l’analisi del contenuto ha apportato sugli studi delle comunicazioni.
L’analisi del contenuto ha contribuito in maniera determinante alla descrizione dei fenomeni sociali e culturali da un punto di vista pratico piuttosto che teorico e astratto. Il volume presenta una rassegna delle principali tecniche di analisi del contenuto con una particolare attenzione per le potenzialità applicative insite nell’analisi del contenuto che si rilevano estremamente utili per gli studi inerenti i mass media. Il libro è rivolto in particolare agli studenti, ai ricercatori e ai professionisti della comunicazione e della ricerca sociale.
Tipaldo divide il manuale in due parti distinte: la prima dedicata alla discussione dell’analisi del contenuto nell’ambito della ricerca sociale in termini più generici, la seconda incentrata sulla realizzazione concreta dell’analisi del contenuto nel campo dei mass media.
Iniziando la lettura del manuale sorge spontaneo interrogarsi sul significato del termine “analisi del contenuto”. Le pagine del volume mettono in luce quanto sia complesso individuare una definizione univoca del termine. La pluralità di approcci e definizioni sembrano collocare l’analisi del contenuto in una dimensione fortemente multidisciplinare comprendente la sociologia, la psicologia sociale, la linguistica, la semiotica e la statistica. Analisi del contenuto diventa un “termine-ombrello” che tenta di racchiudere un’intricata matassa di pratiche, approcci e tecniche.
Tipaldo riporta in particolare una classificazione delle definizioni dell’analisi del contenuto realizzata da Klaus Krippendorff in base alla posizione assunta dal contenuto dei testi. L’autore distingue le definizioni in tre principali classi: nella prima il contenuto si configura come una componente interna in un testo, nella seconda il contenuto è una proprietà della fonte di un testo, infine l’ultima tipologia considera il contenuto un dato emergente nel processo di analisi di un testo in relazione a uno specifico contesto.
Tra le definizioni riportate da Tipaldo, estremamente chiara ed efficace risulta essere quella fornita da Franco Rositi secondo il quale l’analisi del contenuto è “l’insieme di metodi orientati al controllo di determinate ipotesi su fatti di comunicazione (emittenti, messaggi, destinatari e le loro relazioni) e che a tale scopo utilizzano procedure di scomposizione analitica e di classificazione, normalmente a destinazione statistica di testi e di altri insiemi simbolici” (Livolsi e Rositi 1988, 66). 
L'analisi del contenuto è quindi una tecnica di ricerca capace di descrivere in modo sistematico e quantitativo il contenuto di una comunicazione. Tre sono gli attori che entrano in gioco in tale analisi: emittente-produttore del testo, il suo destinatario-lettore e l’analista. È proprio quest’ultima figura che ha la funzione di individuare i significati da ascrivere al contenuto che sembrerebbero corrispondere alle interazioni tra le intenzioni degli autori della comunicazione e la ricezione effettiva da parte del pubblico. 
Per definire i contorni di questo intricato ambito di studio, l’autore affronta la discussione attorno alle metodologie di analisi, ai requisiti dell’analisi del contenuto dei testi e alla classificazione delle principali tecniche dell’analisi del contenuto. Inoltre l’autore si concentra in modo particolare sull’analisi del contenuto automatica dei testi: introdotta a seguito della recente diffusione dei testi digitali, tale analisi apre la possibilità di catalogare su supporto elettronico documenti dalle dimensioni  sempre più grandi per i quali risulta impraticabile l’analisi del contenuto svolta a mano. 
È da sottolineare come il manuale non si limiti a una mera presentazione degli studi e delle ricerche già elaborati ma proponga nuove metodologie di lavoro spiegandone il funzionamento. 
Il volume fornisce così al lettore formule e metodi finalizzati al lavoro sul testo configurandosi in tal modo come una guida nel complesso svolgimento delle diverse metodologie di analisi del contenuto nelle quali la statistica svolge un ruolo fondamentale.
L’autore riflette poi sull’utilità dell’analisi del contenuto, con uno specifico riguardo per l’ambito dei media. L’analisi del contenuto è di particolare importanza in questo settore in quanto gli individui passano la maggior parte del proprio tempo a contatto con i mass media, davanti a un PC o uno schermo televisivo.
È  proprio la seconda parte del manuale a concentrarsi sull’ambito dei mass media. Innovativa e interessante, soprattutto per coloro che si occupano di comunicazione e media, tale sezione prende in esame l’analisi del contenuto applicata ai mass media. Allo scopo di rendere maggiormente comprensibili le teorie esposte, Tipaldo realizza una raccolta di analisi del contenuto dei mass media tratti da casi di ricerca realmente realizzati.
Tale raccolta è organizzata in tre classi: l’analisi del contenuto dei giornali, della televisione e del web. In tal modo viene ripercorsa la storia dei mezzi di comunicazione di massa partendo proprio dalla stampa. 
L’analisi del contenuto di un giornale diventa uno strumento di ricerca finalizzato alla ricostruzione  delle cornici interpretative di un tema e all’individuazione delle strategie comunicative instaurate fra gli attori della sfera pubblica mediatizzata: mass media, pubblico e sistema politico.
L’articolo di giornale viene pensato come un oggetto complesso ottenuto dall’insieme di due artefatti concettuali: uno su un piano formale-espressivo, l’altro  di contenuto. 
Tipaldo passa poi all’analisi dell’ambito televisivo e del web riportando una serie di studi effettuati da specialisti del settore. L’autore evidenzia la complessità di internet che rappresenta una difficile sfida per l’analisi del contenuto. Per orientarsi in un settore così ampio risulta necessario selezionare un’area specifica e pertanto Tipaldo si concentra sui social network. Tale scelta deriva dal fatto che quest’ambito gioca attualmente un ruolo crescente sull’organizzazione sociale. In particolare il manuale si concentra sullo studio di Twitter, uno dei patrimoni informativi più ricchi  per gli addetti del settore dell’analisi del contenuto.
In ultima istanza viene affrontato il tema riguardante le forti critiche mosse dagli studiosi  in merito all’analisi del contenuto. Tali critiche si concentrano su svariate lacune metodologiche rilevate nella disciplina. L’autore evidenzia come nell’analisi del contenuto sia necessaria la presenza di alcuni criteri quali il criterio dell’attendibilità, ovvero la replicabilità dei risultati di ricerca, e il criterio della validità, ovvero la capacità di riflettere il concetto teorico.
In tutto il manuale l’attenzione di Tipaldo è continuamente rivolta alla funzionalità dell’analisi del contenuto che si rivela un efficace strumento di misurazione di concetti non direttamente osservabili. Concetti astratti vengono collegati a indicatori empirici. Il volume tocca molteplici aspetti  dell’argomento in analisi, accompagnando coloro che voglio approfondire il tema a piccoli passi. Passando dalla carta stampata, alla TV e a Twitter, il manuale risulta essere una moderna e completa guida per le ricerche nel campo dei media. Il volume è pensato per studiosi e addetti al settore trasformandosi in uno strumento attivo per le eventuali ricerche future. Sicuramente è una lettura a fini didattici piuttosto che d’intrattenimento. Pagina dopo pagina emerge la complessità degli argomenti presi in esame. È pertanto necessario un profondo impegno per la sua comprensione. Responsabile di tale difficoltà è sicuramente la complessità del tema trattato.
Con quest’opera Tipaldo quindi oltre a fornire uno strumento attivo per gli studiosi permette anche ai non addetti al settori di potersi avvicinare a una materia così intricata ma al contempo utile, innovativa e interessante.     
Virginia Grozio 
  
Giuseppe Tipaldo
L’analisi del contenuto e i mass media
Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 216.

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02 settembre 2015

La libertà è di tutti


 

“Lesbiche e gay sostengono i minatori!” “Lesbiche e gay sostengono i minatori!” urla a gran voce un manipolo di ragazzi sparso tra i marciapiedi londinesi. E’ il 1984 e i minatori della Gran Bretagna rifiutano ostinatamente di tornare al lavoro, mentre una pallida e cotonata Margaret Thatcher, imperturbabile nel suo tailleur di ferro e gabardine, calpesta con le eleganti scarpette nere un’Inghilterra ormai agonizzante. Con la chiusura della miniera di carbone di Cortonwood, il Primo Ministro britannico inaugura una fase di smantellamento di ben venti siti estrattivi le cui conseguenze appaiono immediatamente insostenibili. L’Unione Nazionale dei Minatori, nel tentativo di salvaguardare più di 20.000 posti di lavoro, indice uno sciopero senza precedenti, che si protrarrà per un intero anno. Nonostante la signora Thatcher si mostri priva di qualsiasi scrupolo, sciogliendo in ogni luogo e in ogni ora il guinzaglio di centinaia e centinaia di poliziotti, i minatori non sono soli. Tra i numerosissimi gruppi di sostenitori che, in un modo o nell’altro, tentano di dare il loro apporto a una più che giusta battaglia per la vita, vi sono undici ragazzi omosessuali guidati da Mark Ashton, ventiquattrenne tanto giovane quanto determinato a liberare il mondo dalle sue ingiustizie. Spinti dalla solidarietà verso persone che, come loro, sono vittime di un sistema che teme e condanna la diversità, gli LGSM (Lesbiche e Gay Sostengono i Minatori) riescono con non poche difficoltà a convincere una piccola comunità di minatori gallesi ad accettare il loro sostegno. La diffidenza e l’imbarazzo iniziali svaniscono in fretta, mutandosi in un reciproco sentimento di stima e affetto, destinato a sfociare in una vera e propria amicizia che coinvolgerà tutti. O quasi tutti.

Pride, diretto da Matthew Warchus e impreziosito da una splendida colonna sonora e da un cast spumeggiante, è assurdamente passato quasi sotto silenzio nelle sale cinematografiche italiane sul finire dello scorso anno. Osannato invece dal Times e dal Guardian,  viene premiato ai Bafta Film Awards di Londra in un trionfo di applausi e consensi. Il film riscrive una storia vera di lotta e coraggio che dimostra quanto una piccola realtà possa cambiare le regole di una nazione intera. Al pugno di ferro del governo Thatcher si oppone la voce di coloro che questo stesso governo si affanna ad ammutolire e nemmeno la fine dello sciopero nel marzo del 1985 può incanalare un fiume ormai sfuggito ai propri argini. L’anno successivo infatti viene proposta in Parlamento una mozione per introdurre i diritti di lesbiche e gay nel manifesto del partito laburista, mozione infine approvata grazie anche al voto unanime di uno dei sindacati chiave d’Inghilterra: quello dei minatori.

E se il Galles nei suoi giorni più bui ha visto riaccendersi un barlume di speranza per l’entusiasmo di un gruppo di ragazzi, liberi e fieri della propria identità sessuale, allo stesso modo il gay pride di Londra del 1985 accoglierà un’inattesa fiumana di minatori, pronti a sollevare gli striscioni per una lotta ormai comune. Perché ciò che Pride mostra è che poco importa quale sia il motivo per cui ci si ribella. La Libertà è di tutti ed è giusto sempre e comunque combattere per essa.

Tuttavia Mark Ashton fu costretto a deporre presto le armi, poiché la morte lo colse l’11 febbraio del 1987 a soli ventisei anni, ma quando passeggiando per le strade di Londra oggi ci si imbatte senza difficoltà in coppie serenamente omosessuali sono certa che da qualche parte, chissà dove, chissà quanto lontano, il giovane eroe del 1984 possa sorridere ancora una volta.  “Abbiamo vinto noi signora Thatcher.” mi sembra di sentirgli dire  “E tu hai perso.”

 G. Camilla Severino

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01 settembre 2015

Four days



“Te lo voglio dire una volta sola, non l’ho mai detto prima d’ora. Questo genere di certezza si ha soltanto una volta nella vita”
Clint Eastwood, “I ponti di Madison County”.

 

Il mondo contemporaneo, quel mondo che ha relegato in una soffitta le grandi locomotive a vapore, le macchine da scrivere e i merletti, sembra aver mandato in pensione anche l’Amore. Certamente non vi è inverno in cui i negozi di piccole e grandi città non si riempiano di cuori e fiori in occasione di San Valentino, non vi è libreria che si privi di tomi e tomi di autentiche romanticherie (strazianti passioni adolescenziali, distanze incolmabili sconfitte dall’ancora non amaro sapore di una lettera…) e infine non vi è sala cinematografica nella quale almeno un paio di volte all’anno non si possa assistere a un matrimonio da favola, a un bacio o a una passeggiata mano nella mano alla luce del tramonto. Ma l’Amore è un’altra cosa, e troppo spesso lo si soffoca nello smielato simulacro di se stesso, ammantandolo di quella banalità che non ne fa altro che uno degli innumerevoli elementi della spettacolarizzazione. Fortunatamente però non è sempre così. Girovagavo tra gli scaffali di un negozio del centro per ingannare il tempo, non c’è poi molto da fare quando fuori il termometro sfiora i quaranta gradi, non si vede una nuvola all’orizzonte nemmeno sforzandosi di cercarla e si è costretti a rinunciare alla spiaggia per svolgere una di quelle odiose “commissioni” che spesso etichettiamo con questo nome che significa tutto e non significa nulla. Insomma era una di quelle giornate in cui avrei volentieri appeso al chiodo i doveri filiali, demandando ad altri l’ingrato compito di attendere mia madre nel forno cittadino, ma ahimè il sì ormai mi era sfuggito e l’aria condizionata del primo negozio aperto mi era sembrata l’unica momentanea consolazione. Avevo già tra le mani una discreta pila di dvd e temevo il momento in cui avrei dovuto sceglierne uno, magari in tutta fretta ricevendo d’improvviso la telefonata di mia madre, quando scorsi, tra un thriller e un cartone animato I ponti di Madison County. La regia di Clint Eastwood mi parve una garanzia, il nome di Meryl Streep appena sopra al titolo mi tolse ogni dubbio (nel caso ancora ne avessi avuti) e, cestinati automaticamente gli altri dvd,  mi avviai risoluta verso la cassa. Il film racconta una storia senza guerre e senza eroi; racconta di un uomo, di una donna e del loro amore. Lui, Robert Kincaid (Clint Eastwood)  è un fotografo giramondo lei, Francesca Johnson (Meryl Streep), moglie e madre in una piccola fattoria dell’Iowa. Quando Francesca, nel fiore degli anni, lascia l’Italia per seguire un giovane soldato americano e divenirne presto la moglie, non avrebbe potuto immaginare che l’amore non avesse ancora giocato tutte le sue carte. Carte che avrebbe scoperto sul tavolo solo molti anni dopo, nel 1965, quando uno sconosciuto inviato del National Geographic avrebbe bussato alla sua porta. Sarà lì che Francesca scoprirà il vero significato dell’essere donna e dell’Amore (quello per un uomo, certo, ma anche quello per la propria famiglia). Quando Francesca lascia sul tavolo del giardino il suo bicchiere di tè freddo e decide di aprire la portiera della macchina di Robert, senza saperlo inizia a riscrivere la storia della propria vita. A Robert e Francesca sono concessi soltanto quattro giorni: quattro giorni per conoscersi, per innamorarsi, per vedersi l’uno come il riflesso dell’altra. Quattro giorni per fuggire insieme o per dirsi addio. In un mondo dominato dall’ipocrisia nel quale donne e libertà mal s’accompagnano, Francesca trova il coraggio di rispolverare i sogni del passato e da questi trae  la forza per lasciarsi travolgere dall’amore. Ma quattro giorni si consumano in fretta e quando il pick-up del marito, con i due figli e il vitello, vincitore di quella fiera che tanto provvidenzialmente li aveva tenuti lontani da casa, compare all’orizzonte la realtà riprende prepotentemente il proprio posto e Francesca deve scegliere tra due parti di se stessa. Il film traspone sullo schermo l’omonimo romanzo di Robert James Waller, lasciandone inalterati la delicatezza e l’eleganza, un tocco leggero che indaga i sentimenti nel profondo, restituendo al lettore – ora anche spettatore – emozioni autentiche e struggenti. Non vi sono retorica né inutili orpelli stilistici nella pellicola di Clint Eastwood, all’epoca già vincitore di due premi Oscar (miglior film e miglior regia per Gli Spietati), ma si fa tangibile l’occhio attento di un uomo che sa creare altri uomini, facendo di ogni film un autentico capolavoro, un intenso istante di vita strappato all’oblio e fatto immagine. E a chi guarda adagiato tra i cuscini di una poltrona non resta che perdersi negli sterminati spazi della campagna dell’Iowa, dove due vite unite ben oltre la morte non possono non strappare una lacrima nemmeno ai più cinici.

 G. Camilla Severino


 

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